Trapani – Uno dei meriti di Libera è stato quello di aver continuato a dare voce anche a chi “voce” non ne aveva avuta in questi anni. Nella storia delle famiglie di vittime innocenti di mafia infatti ci sono le storie anche di chi non ha avuto non solo verità e giustizia ma anche il giusto riconoscimento, perchè quell’omicidio per anni è stato “mascariato” da bugie, costruite ad arte per sviare le indagini ma anche l’opinione pubblica. La mafia ha saputo fare anche questo.
E tra queste storie anche quella del Giudice GianGiacomo Ciaccio Montalto, ucciso a Valderice il 25 gennaio 1983. Era evidente che il delitto era di mafia, ma Cosa nostra si diede subito da fare a sporcare, a mascariare, il nome di quel magistrato.
La sera del 24 gennaio era andato a cena con alcuni amici, in un paese poco distante da Valderice. Al ritorno nella sua villetta dove risiedeva da poco, non riuscì neanche a scendere dall’auto, non aveva aperto neanche lo sportello, quando tre uomini gli sparano armati di una mitraglietta e due pistole calibro 38, spezzandone la vita a quarantadue anni. Sul cruscotto l’orologio era fermo all’1.12. Nessuno sentì e vide nulla. Il suo corpo dovrà attendere la mattina seguente prima di essere ritrovato da un contadino, esangue e senza vita, poco prima delle 7.00. Si era trasferito a vivere da solo nella villetta di campagna per proteggere la moglie e le figlie, aveva paura per loro dopo l’inizio delle telefonate minacciose. Il giorno dell’omicidio, Ciaccio Montalto non aveva scorta: non era stata prevista, nonostante fosse stato destinatario di diverse minacce. Tale circostanza (la mancata scorta, nonché l’isolamento del magistrato) divenne oggetto di una interrogazione parlamentare al Ministro dell’Interno e di un acceso dibattito alla Camera dei Deputati, che vide fra gli altri come protagonista, Leonardo Sciascia
“Venire a Trapani per me è stata una scelta volontaria ma quasi obbligata, perché qui sono a casa e mi sembrava giusto iniziare questo cammino di testimonianza in questo luogo dove mio padre ha perso la vita“. E’ Marene Montalto la figlia di Gian Giacomo Ciaccio Montalto, sostituto procuratore a Trapani ucciso dalla mafia quando lei aveva 12 anni a parlare emozionata da tutto ciò che il 21 marzo le sta portando, a partire dall’affetto profondo di chi la circonda.
Marene Montalto vive a Parma ed è stata chiamata sul palco ad aprire la XXX Giornata della memoria e dell’impegno per le vittime di mafia a Trapani.
“Ogni momento è un rispolverare i ricordi per me – spiega la figlia del magistrato – mio padre è stato ucciso a gennaio e dopo il suo omicidio sono continuate le minacce e, tra queste, quello di rapire la figlia più grande che ero io“.
Marene è venuta a Trapani per “gridare forte il nome di suo Padre” tenuto per troppo tempo dentro il suo cuore.
La testimonianza di vita del padre Marene Montalto in questi anni l’ha raccontata in giro per l’Italia. “Oggi per la lotta alla mafia c’è ancora tanto da fare – dice – per anni abbiamo vissuto col bollino che la mafia esisteva solo a sud, ma poi si è scoperto che la mafia si è espansa a livelli indecifrabili. Che fare? L’importante è lavorare dal basso, tutti insieme. È una questione culturale, innanzitutto. Evitare i favori e far entrare tra le nostre coscienze il senso del dovere e della comunità”.