Editoriale
Peppino e quel suo chiamare le cose con il proprio nome
Peppino Impastato, vittima innocente di mafia, far memoria della sua vicenda umana ci esorta a non restare in silenzio, a ribellarci, a non cedere alla rassegnazione
Rino Giacalone9 Maggio 2025 - Editoriale



  • Trapani – Se Cosa nostra non lo avesse ucciso quante volte, ogni giorno, a Peppino Impastato sarebbe stato chiesto come si fa buon giornalismo? O ancora come far la giusta politica? Mettendoci la faccia, senza nascondersi dietro pseudonimi, non inseguendo like e social, senza creare le fake news. Non ordendo segreti complotti, mischiando le carte vere con quelle truccate. Immaginiamo queste possibili risposte. Conoscendolo grazie ai suoi scritti e alle testimonianze di chi lo ha conosciuto, immaginiamo che non potrebbero esserci risposte diverse. Restiamo orfani della sua voce,, perché Peppino Impastato, giornalista di Cinisi, cronista senza tessera, ma più serio dei “titolati”, è stato ammazzato in maniera atroce il 9 maggio del 1978. L’abilità della mafia è notoria, sfuggire per anni ai processi creando depistaggi: e per anni la morte di Peppino Impastato, dilaniato da una bomba sul binario della ferrovia, venne fatta passare come conseguenza di un attentato terroristico che lui stesso stava preparando. Solo dal 2002 la matrice della sua morte è certa, fu un omicidio di Cosa nostra. Se lui fosse vivo sappiamo, e con certezza, il nostro territorio sarebbe diverso, anche se per una parte di società lui oggi sarebbe qualificato come un “professionista dell’antimafia”. Perché ancora oggi c’è chi fingendo di voler parlare e scrivere contro la mafia, finisce puntualmente con il mettere sotto accusa il mondo dell’antimafia, cominciando dal puntare l’indice contro quella sociale, che ha fatto danno, alla mafia, quasi quanto quella giudiziaria, perché alle malefatte sono stati attribuiti nomi e cognomi. L’atto di nascita del movimento antimafia in Sicilia, ricordiamolo, porta anche la firma di Peppino Impastato.

    Peppino Impastato venne ucciso mentre era candidato alle elezioni comunali di Cinisi, dal seggio consiliare avrebbe urlato contro Tano Badalamenti, “Tano seduto” lo chiamava dalla sua Radio Aut, e i suoi complici. Lui impersonava la politica senza ambiguità, lontano da galà e festini, rifiutando l’ipocrita dovere della mediazione e della giustificazione istituzionale. E di questi tempi, mentre dai social emergono visioni completamente opposte alla verità e al fare informazione, noi vogliamo ricordare Peppino con le sue parole: “La mafia è una montagna di merda! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente”. Peccato che per sentenza passata in giudicato non si possa dare del pezzo di merda ad ogni uomo che fa parte di questa collina merdosa.

     

    Ricordiamo oggi Peppino Impastato, fatto saltare in aria dalla mafia a Cinisi il 9 maggio 1978, e non c’è niente di più vero che quella fu l’inizio della notte buia della nostra Repubblica. Nelle stesse ore di quel giorno, il terrorismo brigatista uccideva a Roma Aldo Moro uno Statista che mai avrebbe permesso le degenerazioni criminali della Politica e delle istituzioni Parlamentari, la mafia ammazzava in Sicilia Peppino Impastato che mai avrebbe scelto il silenzio dinanzi alle commistioni criminose e criminogene che in quegli anni ’70 stavano prendendo forma. Peppino Impastato lo aveva ben compreso come Cosa nostra era riuscita a frequentare i migliori red carpet, a infiltrarsi nel tessuto sociale.
    Peppino Impastato, vittima innocente di mafia, far memoria della sua vicenda umana ci esorta a non restare in silenzio, a ribellarci, a non cedere alla rassegnazione.
    Non dobbiamo temere di chiamare le cose con il proprio nome. Perché in un paese che vuole essere normale la prima cosa da fare è riuscire a chiamare le cose con il loro nome. Così è se vi pare.




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