Mazara del Vallo – di Rino Giacalone – Non c’è nessun legame tra il mazarese Giuseppe Di Giorgi e il boss mafioso Matteo Messina Denaro. A conclusione del processo col rito abbreviato , il gip del Tribunale di Palermo non ha accolto le richieste di condanna della Procura di Palermo . Il caso si ricorderà venne fuori l’anno scorso, a luglio, dopo il ritrovamento di alcune chiavi nella disponibilità di Rosalia Messina Denaro, sorella del famigerato boss mafioso e di Andrea Bonafede, l’operaio del comune di Campobello, cugino omonimo del geometra che prestò la sua identità a Matteo Messina Denaro.
Le indagini portarono gli investigatori all’interno di un residence di Mazara, in via Castelvetrano, e in particolare a due garage, di proprietà del Di Giorgi. Uno di questi arredato come se fosse una sorta di mini appartamento. Venne anche trovata una pistola, il cui possesso l’indagato, che venne subito arrestato, giustificò dicendo di averla ritrovata un giorno, di dieci anni prima, mentre percorreva una strada a Mazara. Un’arma che risultò avere la stessa matricola di una pistola legittimamente detenuta da un investigatore dei carabinieri, che presto riuscì a dimostrare la propria completa estraneità con la vicenda.
Con Giuseppe Di Giorgi finirono indagati la moglie Sabrina Caradonna e ancora il fratello della donna e la di lui moglie. Due coppie travolte da una indagine che puntava a dimostrare l’esistenza di altri favoreggiatori della latitanza del pericoloso capo mafia.
A gennaio scorso la Procura antimafia chiese il processo solo per Giuseppe Di Giorgi, lasciando semplici indagati la moglie e i cognati. Per Di Giorgi le accuse sono state quelle di possesso d’arma clandestina, favoreggiamento aggravato e procurata inosservanza della pena.
Oggi la sentenza del gip. La vicenda giudiziaria all’esito del pronunciamento del giudice è stata sgombrata da ogni giallo. Il gip infatti ha condannato Di Giorgi solo per il possesso di arma comune da sparo, e non più per arma clandestina, ed è stato assolto da tutti gli altri reati. Tra l’altro è stato dimostrato che le Chiavi trovate in possesso di Bonafede e di Rosalia Messina Denaro non potevano essere le copie di quelle originali. Difeso dagli avvocati Marcello Montalbano e Walter Marino, Di Giorgi è stato condannato solo a due anni e otto mesi, ed è stata disposta la sua scarcerazione
Castelvetrano – La cifra corrisponde, in eccesso, al Tfr (trattamento di fine rapporto) di un “normale” dipendente pubblico apicale con oltre 40 anni di servizio. Ma quei 130 mila euro nascosti nel sottofondo di un armadio in casa dei potenti Messina Denaro, trovati dai Carabinieri dei Ros nei giorni successivi alla cattura del latitante, pare fossero lì a disposizione per le spese spicce del latitante. Quisquiglie per il capo mafia che in media ogni mese spendeva tra i 10 mila e i 15 mila euro e che nel tempo, negli anni della sua latitanza, ha subito sequestri e confische, direttamente o in maniera indiretta, per svariati milioni di euro.
La scoperta della cassaforte celata dentro quel mobile nella disponibilità di Rosalia Messina Denaro, ha così arricchito di ulteriore particolare lo scenario del dopo cattura del pericoloso latitante. Soldi cash per l’ultimo dei corleonesi e il primo in tante cose nelle faccende di Cosa nostra trapanese.
Occuparsi quindi delle necessità del latitante aveva un ricco ritorno per chi ne era incaricato, la certezza di mettere mano su ricompense nell’ordine del centonaio, massimop migliaio di euro, avere qualche regalo prezioso, ne beneficiavano vivandieri, autisti, maestrine e amanti, figliocci. Ma essere super ricercato, custodire segreti e fare il burattinaio di innumerevoli faccende, coltivare trame anche stragiste, aveva a sua volta il dorato ritorno, per il prootagonista di tutto questo, Matteo Messina Denaro.
Le indagini che hanno riguardato il boss nel corso della sua trentennale latitanza, hanno fatto via via emergere il suo ruolo di capo di Cosa nostra capace non solo di ordinare stragi e delitti, ma anche di tenere in mano le fila di molteplici attività imprenditoriali. Lui assoluto monarca di una holding imprenditoriale con svariati interessi. Uno scenario conclamato da numerosi provvedimenti di confisca, che hanno fatto risalire al boss un patrimonio per svariati milioni di euro. I soldi trovati nella cassaforte nascosta, trovata dai Carabinieri nella casa di famiglia, in via Alberto Mario a Castelvetrano, alla luce delle possidenze economiche del capo mafia, rappresentavano il portafoglio personale per far fronte alle esigenze immediata di quella latitanza dorata.
Da quando il capo mafia è stato arrestato, ammonta a 800 mila euro il patrimonio trovato nella sua disponibilità, tra denaro e gioielli. A tenere il “tesoretto” era Rosalia Messina Denaro, frattanto è stata anche lei arrestata e condannata a 14 anni: ha seguito in carcere il marito, il mafioso di rango palermitano Filippo Guttaduaro, e suo figlio Francesco, il nipote prediletto di Matteo Messina Denaro. Rosalia Messina Denaro li custodiva perché il suo ruolo era non solo quello proprio di sorella del mafioso, ma lei stessa è stata riconosciuta essere “donna di mafia”. Gli appunti trovati nella sua casa sono stati letti come vere e proprie agende sulle quali tenere in ordine i conti, tra entrate e uscite, appunti sottolineati da sigle, queste quelle che nascondono i nomi dei complici di quella latitanza. Fino ad oggi sono finiti arrestati, con i congiunti più intimi, anche personaggi risultati primari solo per avere protetto la latitanza in quel di Campobello di Mazara: amanti, vivandieri e vivandiere, complici, prestanome, ma anche medici, come quelli che in appena dieci giorni hanno permesso al boss di ricevere quelle cure oncologiche che normalmente la sanità pubblica disbriga in mesi e mesi di liste di attesa. C’è ancora da stanare chi per trent’anni ha tagliato la strada agli investigatori che si occupavano della ricerca del pericoloso latitante.