Castelvetrano – La cifra corrisponde, in eccesso, al Tfr (trattamento di fine rapporto) di un “normale” dipendente pubblico apicale con oltre 40 anni di servizio. Ma quei 130 mila euro nascosti nel sottofondo di un armadio in casa dei potenti Messina Denaro, trovati dai Carabinieri dei Ros nei giorni successivi alla cattura del latitante, pare fossero lì a disposizione per le spese spicce del latitante. Quisquiglie per il capo mafia che in media ogni mese spendeva tra i 10 mila e i 15 mila euro e che nel tempo, negli anni della sua latitanza, ha subito sequestri e confische, direttamente o in maniera indiretta, per svariati milioni di euro.
La scoperta della cassaforte celata dentro quel mobile nella disponibilità di Rosalia Messina Denaro, ha così arricchito di ulteriore particolare lo scenario del dopo cattura del pericoloso latitante. Soldi cash per l’ultimo dei corleonesi e il primo in tante cose nelle faccende di Cosa nostra trapanese.
Occuparsi quindi delle necessità del latitante aveva un ricco ritorno per chi ne era incaricato, la certezza di mettere mano su ricompense nell’ordine del centonaio, massimop migliaio di euro, avere qualche regalo prezioso, ne beneficiavano vivandieri, autisti, maestrine e amanti, figliocci. Ma essere super ricercato, custodire segreti e fare il burattinaio di innumerevoli faccende, coltivare trame anche stragiste, aveva a sua volta il dorato ritorno, per il prootagonista di tutto questo, Matteo Messina Denaro.
Le indagini che hanno riguardato il boss nel corso della sua trentennale latitanza, hanno fatto via via emergere il suo ruolo di capo di Cosa nostra capace non solo di ordinare stragi e delitti, ma anche di tenere in mano le fila di molteplici attività imprenditoriali. Lui assoluto monarca di una holding imprenditoriale con svariati interessi. Uno scenario conclamato da numerosi provvedimenti di confisca, che hanno fatto risalire al boss un patrimonio per svariati milioni di euro. I soldi trovati nella cassaforte nascosta, trovata dai Carabinieri nella casa di famiglia, in via Alberto Mario a Castelvetrano, alla luce delle possidenze economiche del capo mafia, rappresentavano il portafoglio personale per far fronte alle esigenze immediata di quella latitanza dorata.
Da quando il capo mafia è stato arrestato, ammonta a 800 mila euro il patrimonio trovato nella sua disponibilità, tra denaro e gioielli. A tenere il “tesoretto” era Rosalia Messina Denaro, frattanto è stata anche lei arrestata e condannata a 14 anni: ha seguito in carcere il marito, il mafioso di rango palermitano Filippo Guttaduaro, e suo figlio Francesco, il nipote prediletto di Matteo Messina Denaro. Rosalia Messina Denaro li custodiva perché il suo ruolo era non solo quello proprio di sorella del mafioso, ma lei stessa è stata riconosciuta essere “donna di mafia”. Gli appunti trovati nella sua casa sono stati letti come vere e proprie agende sulle quali tenere in ordine i conti, tra entrate e uscite, appunti sottolineati da sigle, queste quelle che nascondono i nomi dei complici di quella latitanza. Fino ad oggi sono finiti arrestati, con i congiunti più intimi, anche personaggi risultati primari solo per avere protetto la latitanza in quel di Campobello di Mazara: amanti, vivandieri e vivandiere, complici, prestanome, ma anche medici, come quelli che in appena dieci giorni hanno permesso al boss di ricevere quelle cure oncologiche che normalmente la sanità pubblica disbriga in mesi e mesi di liste di attesa. C’è ancora da stanare chi per trent’anni ha tagliato la strada agli investigatori che si occupavano della ricerca del pericoloso latitante.
Campobello di Mazara – Donne e massoneria. Insegnanti e colletti bianchi. Il “cerchio magico” che ha protetto la trentennale latitanza di Matteo Messina Denaro ogni giorno che passa prende sempre di più questi connotati che sembrano avere delimitato i confini di quell’area dentro la quale il capo di Cosa nostra trapanese si è mosso.
L’ultimo tassello è di oggi con l’arresto dell’avvocato Antonio Messina. Anche lui, come i Bonafede, è da decenni protagonista della saga mafiosa della provincia di Trapani. E non solo, considerato che da qualche tempo aveva fatto di Bologna la sua seconda città dopo quella di origine, Campobello di Mazara. Si celava lui dietro “Solimano” , sigla nella quale gli investigatori si sono imbattuti leggendo la corrispondenza tra Matteo Messina Denaro e la “maestrina” Laura Bonafede, amante, postina e chissà quante altre cose, o ancora nei “pizzini” trovati nel suo ultimo dei nascondigli, nella casa a un tiro di schioppo da quella dell’avvocato o ancora da quella di suo fratello, l’ex dipendente di banca Salvatore Messina Denaro, dirimpettaio dell’odierno arrestato. In quel quadrato di strade e piazze, lungo la via dove adesso compare un murales dedicato al ricordo dei giudici Falcone e Borsellino, si muoveva strategicamente la cupola mafiosa. In mezzo alla gente. L’avvocato Messina, 79 anni, condannato per mafia e traffico internazionale di droga, da oggi è ai domiciliari, arrestato dai Carabinieri dei Ros su ordine della magistratura palermitana.
Il suo arresto non è quindi una sorpresa ma la conferma di tanti sospetti: il primo quello che sebbene si tratti, ufficialmente, di un massone in “sonno”, cioè “posato” dalla loggia di appartenenza, probabilmente tanto inattivo dentro la massoneria non sarebbe stato. A indurre a pensare in questa maniera l’attività di indagine condotta da due delle ultime commissioni parlamentari antimafia, quelle presiedute dall’on. Rosi Bindi e dal sen. Nicola Morra, a proposito di “massomafia”, mafia e massoneria, non divise da un trattino ma costituenti un unico agglomerato criminoso.
Il nome di Antonio Messina compare già dagli anni ’70 nelle indagini antimafia. Nel 1975 fu coinvolto nel sequestro del possidente di Salemi Luigi Corleo, suocero del potente esattore Nino Salvo. Corleo rapito, morì durante il sequestro e il suo corpo non venne mai ritrovato. Negli anni ’90 venne arrestato assieme all’ex sindaco di Castelvetrano, Tonino Vaccarino, per mafia e droga, e con loro lo zoccolo duro della “famiglia” di Campobello di Mazara. Fu anche sospettato di aver preso parte all’omicidio del magistrato trapanese Gian Giacomo Ciaccio Montalto, ammazzato il 25 gennaio del 1983. Ma fu assolto. E’ rimasto scritto nero su bianco che l’auto usata dai killer quella notte di gennaio per raggiungere Valderice, dove Ciaccio Montalto abitava, era stata rubata proprio a Campobello di Mazara.
Tra gli ultimi capitoli giudiziari che lo hanno riguardato e che apre altri scenari, quelli sui collegamenti costanti tra le cosche di Trapani e Palermo, i contatti con Giuseppe Fidanzati, uno dei figli di Gaetano Fidanzati, boss dell’Acquasanta, quest’ultimo deceduto da qualche tempo. Gaetano Fidanzati fu indagato in quel periodo pare per aver fatto di Milano una sua base per traffico di droga.
Intercettati a parlare di un “ragazzo” di Castelvetrano, identificato, da chi li ha ascoltati, in Francesco Guttadauro, nipote “prediletto” di Matteo Messina Denaro, all’epoca da poco arrestato. Francesco, figlio di Filippo Guttadauro, boss palermitano trapiantato a Castelvetrano dopo aver sposato la maggiore delle sorelle Messina Denaro, Rosalia. Genitori e figlio tutt’ora detenuti. In quella chiacchierata, Messina e Fidanzati ricordavano un incontro avvenuto alla stazione di Trapani con “Iddu” che si era fatto accompagnare a bordo di una Mercedes da un certo “Mimmu”. Non è mai stato chiarito se “Iddu” fosse riferito a Guttadauro jr o, come invece si sospetta ancora di più oggi, era proprio l’allora latitante Messina Denaro. Quel “Mimmu” pare fosse invece l’imprenditore di Partanna Domenico Scimonelli, un personaggio, adesso in carcere, che frequentava Roma e Milano, cose se fossero casa sua. Qualche segreteria politica o ministeriale e uffici finanziari. E spesso pedinato anche in Svizzera.
Se bisogna trovare altri segreti sulla latitanza del mafioso stragista e assassino spietato, ma risultato perfetto amante, descrizione che risulta combaciare con quella dell’altrettanto personaggio, frutto di fantasia, Diabolik, è anche a casa di Antonio Messina che bisogna fare approfondite ricerche. E sembra proprio che , a parte la quasi certezza che da scoprire restano ancora altre donne vicine al boss, una sola “Eva Kant” (la compagna di Diabolik dei fumetti), non bastava al capo mafia, ricostruendo le indagini sull’avvocato sospeso e massone in sonno, altri nomi potrebbero essere svelati. Attira attenzione per esempio la circostanza dei contatti che avrebbe avuto con siciliani residenti nel nord Africa, tra Marocco e Tunisia. O ancora in Spagna, sarebbero state le rotte dei grandi traffici di droga. Ma non meno importante la proprietà di una casa nella costa di Torretta Granitola, frazione di Campobello di Mazara, limitrofa ad una sede usata dal Cnr, e dove risulta esserci stata tempo addietro una segnalazione relativa proprio alla presenza dei capo mafia. Che ci faceva Matteo Messina Denaro dentro o nei pressi immediati di quelle stanze del Cnr?