Trapani
Rostagno, e quel pensiero vero di libertà
Mauro e quella Trapani degli anni '80 incollata alla Tv in attesa del Telegiornale di RTC
Rino Giacalone26 Settembre 2025 - Attualità
  • Attualità

    Trapani – di Rino Giacalone – “A cui’ apparteni chisto? A Trapani questo interrogativo è ricorrente, soprattutto quando davanti c’è chi mostra di poter avere un certo credito, una determinata presa, capace di attirare attenzione. Per forza deve avere un’appartenenza, una etichetta: appunto (tradotto), “a chi appartiene”.

    La Trapani nel 1988 che ci dicono, è vero, essere stata incollata agli schermi tv in attesa del telegiornale delle 14 della tv privata Radio Tele Cine, Rtc, per ascoltare gli interventi di Mauro Rostagno, nonostante l’attenzione, interessata, non lo ha esonerato da questa illogica domanda. Ovviamente mai posta direttamente, ma era facile ascoltare che in tanti ponevano questo interrogativo, lo sentivi in giro per la città, negli uffici, tra i politici, in quel Consiglio comunale (che a causa degli scandali appellava Palazzo D’Alì e dei 40 ladroni) per la strada o nei bar, o anche a scuola. La gente commentava e poi reciprocamente si chiedeva, “a cui’ apparteni chisto”, a chi appartiene questo. Svaniva di colpo l’autenticità e la sincerità del personaggio, Rostagno in questo caso, del giornalista Mauro Rostagno.

    Ecco la storia del suo omicidio

    Ecco la storia del suo omicidio dovrebbe partire da questo punto. Lui conosceva la domanda che si faceva sulla sua persona, ma non mollava la presa, diventando all’orecchio e agli occhi dei mafiosi (borghesi) una “camurria” da togliere di mezzo. E’ il suo delitto, un omicidio che continua a pesare sulla società trapanese. Pochi possono dire di non essere stato complici.

    Mauro Rostagno era diventato un capo popolo, di quel popolo però che dice “armati e parti”. La gente stava zitta ad ascoltarlo, aspettando lo scoop del giorno, e lui dalla tv all’ora di pranzo parlava, raccontava, infieriva sulle malefatte di politici e criminali, intervistava la mamma di Roberto Antiochia, il poliziotto ucciso a Palermo con il suo dirigente, Ninni Cassarà, oppure portava il microfono davanti a Paolo Borsellino o Leonardo Sciascia, o ancora faceva lunghe chiacchierate televisive con lo scrittore Michele Cimino o con l’avv. Salvatore Maria Cusenza.

    Raccontava la mafia borghese

    Raccontava della mafia borghese, quella senza coppole e lupare che però i killer li conosceva bene, quella mafia che partoriva i veri boss, che andava in banca a riciclare denaro. Lui portava tutto in tv, tanto che dalla gabbia degli imputati durante la pausa di un processo, il boss di Mazara del Vallo, Mariano Agate, gli mandò a dire di non scrivere…minchiate. La gente lo ascoltava…ma a causa della cultura predominante, “a megghio parola è chidda chi un si rice” (la miglior parola è quella che non si dice), non nascondeva di sapere come sarebbe andata a finire.

    Il 26 settembre a Lenzi e i depistaggi

    La sera del 26 settembre 1988 quando fu ammazzato nelle campagne valdericine di Lenzi, quell’interrogativo sull’appartenenza servì subito ad alimentare le false piste sul suo omicidio: subito, la prima, come sempre per i delitti di mafia, delitto d’onore, la vendetta di un marito tradito, o anche la vendetta di un gruppo di quei giovani che lui curava dentro la comunità Saman, depistaggi conditi con storie di dollari trovati nella sua borsa, di cassette sparite, o di piste che portavano al delitto del commissario Luigi Calabresi, addirittura per ultimo saltò fuori il delitto tra amici, maturato dentro la comunità; fu quello il momento degli arresti, a finire con altri a San Vittore a Milano fu la sua compagna, Chicca Roveri, accusata di favoreggiamento, una bestemmia della giustizia.

    “a chisso un ‘gghiorno o n’autro l’ammazzano”,

    A Trapani lo dicevano in giro e lo sapeva anche lui, “a chisso un ‘gghiorno o n’autro l’ammazzano”, u giorno o l’altro l’ammazzano, ma non sarebbe stata la mafia, perchè a Trapani, si sosteneva in città, la mafia non esisteva, pensate lo diceva anche il procuratore della Repubblica, Antonio Coci, “sul mio tavolo non c’è un rapporto dove si denuncia la mafia”.

    I rapporti investigativi invece c’erano, ed erano finiti negli armadi dell’archivio. Li avrebbe tirato fuori un gruppo di giovani magistrati, quelli che Cossiga chiamava giudici ragazzini,: c’era tra loro anche l’attuale procuratore, Gabriele Paci. Nel 1992 a Trapani noi cronisti abbiamo potuto seguire i processi contro conclamati mafiosi, politici corrotti, imprenditori collusi, gli stessi dei quali parlava nei suoi editoriali Rostagno, molti anni prima.

    Ma fuori dai contesti giudiziari la città continuava a farsi sempre le stesse domande, a chi appartenevano ora i magistrati e i giudici, o ancora i giornalisti che scrivevano, o ancora quelle vittime che denunciavano l’asservimento, pensate che un giorno a Margherita Asta, familiare delle vittime della strage di Pizzolungo del 1985, le venne detto che “strumentalizzava il suo dolore”.

    Una città ieri come oggi e speriamo di no nel futuro, con nessuna voglia di assumere consapevolezza. Oggi è ancora la consapevolezza ad essere assente in larga parte degli strati sociali. E’ vero il Consiglio comunale ha votato all’unanimità la cittadinanza onoraria (post mortem) a Mauro Rostagno, ma se fosse stato vivo, se la mafia non l’avesse ucciso, a Trapani a cominciare da certa politica (trasversale), ancora oggi si sentirebbe girare la domanda ” a cu’ appartieni chisso”.

    Altro che cittadino onorario, un giornalista che racconta continua a non avere meriti da reclamare. Non solo a Trapani, un po’ dappertutto. Le mafie non sparano più, per fortuna, ci pensa certa politica, con i bavagli, le leggi che impongono il silenzio, le querele temerarie. Non stiamo messi bene, ma non dobbiamo fermare le nostre penne, non dobbiamo smettere di far scorrere le mani sulle moderne tastiere di un pc, se il ricordo dei morti ammazzati non deve essere retorica.

    Tanti, tutti a Trapani sapevano a chi apparteneva Mauro Rostagno: apparteneva a se stesso, alla voglia di fare, come raccontò in aula davanti agli imputati, la figlia Maddalena, il terapeuta della città, il suo era il desiderio antico di riscattare la società dalla sottomissione mafiosa.

    Cosa nostra impedì a Rostagno di far nascere “L’Altra Trapani”.

    Cosa nostra c’era ed è ancora ben radicata, Trapani la terra della mafia economica, la città delle logge segrete della massoneria, impregnata dalla cultura grazie alla quale il sistema illegale divenne legale, e così sarebbe stato per tanti anni ancora. E forse in certi ambienti lo è ancora oggi. Oggi si sente dire che la mafia è stata sconfitta, grazie alla cattura del latitante Matteo Messina Denaro, è come ribadire il concetto della sua inesistenza.

    Mauro Rostagno sapeva

    Mauro Rostagno aveva ben chiaro questo scenario, non sapremo mai se sapesse, come Peppino Impastato che a Cinisi abitava a 100 passi dalla casa di don Tano Badalamenti, che lui a Rtc lavorava, senza saperlo, in una stanza a dieci passi da quella del suo editore che frattanto riceveva Angelo Siino, il ministro dei lavori pubblici di Totò Riina. Era il 1988 l’anno della trasformazione di Cosa nostra, che metteva piede nell’economia con i suoi uomini dentro le banche, o nell’imprenditoria con le sue imprese, non più con i prestanome.

    Una camurria

    Per Cosa nostra era diventato una “camurria”, parole del patriarca mafioso di Castelvetrano Ciccio Messina Denaro. Puccio Bulgarella, l’editore di Rtc, con un pizzico di coraggio, forse anche per mettere il bello in vetrina, nascondendo dietro i suoi affarucci, aveva messo la tv in mano a Rostagno, ma si racconta che Bulgarella era meno spavaldo dopo che parlava con Siino ed entrava in redazione a consigliare prudenza, ad abbassare i toni.

    Quell’editoriale di Rostagno

    Ricordi che però in alcuni testimoni si sono accesi fuori tempo massimo, quando oramai Bulgarella non c’era più Lui, Rostagno, però lasciò traccia di quegli inviti. Tra i suoi editoriali ce ne è uno emblematico, “qualche mio caro amico mi ha consigliato di abbassare i toni perchè questo lavoro rischia di fare male alla Sicilia e alla comunità, io continuo a pensare e a dire che la migliore pubblicità che si può fare alla Sicilia è quella di affermare che la mafia va abbattuta”.

    Monsignor Adragna e la Chiesa di Trapani

    Quando fu ucciso Rostagno ci furono sindaci che non ne volevano sapere di occuparsi dei funerali, la sera del 26 settembre 1988 il Consiglio comunale di Trapani era riunito e il delitto non fermò i lavori. Solo la Chiesa, con padre Adragna, fu coraggiosa: aprì la Cattedrale e pronunziò una omelia di fuoco contro i mafiosi e i soci dei boss. Ma morto Rostagno la città tornò ad essere serena, pacifica, niente domande e niente risposte.

    Trapani continuò ad essere la città dove la mafia economica primeggiava, arrivando a portare in Parlamento e al Governo uno dei suoi uomini più osannati, il banchiere Tonino D’Alì, il datore di lavoro dei mafiosi Messina Denaro. Venne annientata dalla seconda Repubblica la vecchia classe politica, ma il rinnovamento risultò essere cosa peggiore.

    Le indagini della Squadra Mobile

    Quando finalmente le indagini grazie all’allora capo della Squadra Mobile di Trapani Giuseppe Linares furono indirizzate contro i vertici di Cosa nostra trapanese, proprio Linares sintetizzò quell’inchiesta nell’affermazione che poi la sentenza di condanna del boss Vincenzo Virga, confermerà: Rostagno era circondato dai lupi e i lupi lo hanno azzannato a morte. Oggi molti di quei lupi, o i loro figli o nipoti, sono in circolazione, sono diventati manager, dirigenti, professionisti, gestiscono la nuova Cosa nostra, quella che ha esportato i suoi modelli in Europa, fin dentro le city finanziarie, anche a Londra, dove ci sono strane società e tante scatole…cinesi e arabe che si riempiono o svuotano con un solo click.

    Gli anni trapanesi di Mauro

    Gli anni trapanesi per Mauro Rostagno furono successivi di un decennio dall’esperienza palermitana. A Palermo dirigeva Lotta Continua, portò i senza casa ad occupare la Cattedrale, riuniva il gruppo dirigente e sul tavolo portava gli atti della commissione parlamentare antimafia. E poi chiedeva a tutti di leggerle, scoprite, diceva loro, quale nome manca. Tutti rispondevano di non sapere e lui rispondeva, l’avvocato Vito Guarrasi, il consigliori e forse qualcosa di più di Cosa nostra.

    Mauro Rostagno e Mauro De Mauro

    Non si sbaglia quindi quando si lega il nome di Rostagno a quello di Mauro De Mauro. In tutti e due i racconti del loro impegno incontriamo la figura oscura dell’avvocato Guarrasi.
    Uno scenario presente in tanti delitti. La Giustizia che arriva in ritardo, distratta, è provato per Rostagno, dai depistaggi. Ci sono voluti 22 anni per vedere avviato in Corte di Assise a Trapani, il processo per l’omicidio del sociologo e giornalista (senza tessera) Mauro Rostagno.

    La sentenza in 4 mila pagine

    Ci sono voluti “anni” come cantava Paolo Conte per giungere alla verità, scritta in 4 mila pagine di una sentenza “monumentale”, scritta dai giudici Angelo Pellino e Samuele Corso, che dovrebbe essere pubblicamente letta. Lì si racconta della Trapani che fu e della Trapani che oggi è diventata, dove il marcio è dietro l’angolo e dove qualcuno vuol portare indietro gli orologi della storia.
    Mauro Rostagno non è morto, è vivo (una volta su di un muro dalle parti della sede di Rtc c’era questa scritta, poi cancellata e forse non solo dal passar del tempo), Rostagno resta vivo con chi vuole vedere la mafia sbattuta nelle galere e l’emarginazione sociale sconfitta, le povertà annientate, l’informazione libera e la democrazia e la libertà restare inviolate.

    Mauro 40 anni dopo

    Mauro Rostagno nel 2025, a quasi 40 dal suo omicidio: non è il protagonista di una storia ma dell’attualità: I lupi sono sempre in mezzo a noi, è vero un pezzo di società civile si è organizzata, ci sono le associazioni, i movimenti per la Giustizia, per la Pace, ma c’è tanta inquietudine sociale, quella della quale le mafie sanno approfittare.

    Cosa ci resta da fare.

    Sfuggire alle cerimonie, ricordarsi di Mauro Rostagno ogni giorno e non solo nel giorno del suo barbaro omicidio. Non smettere mai di fare i giornalisti, curiosare, di sporcarsi le mani tentando di potere scrivere una notizia, “la notizia”, essere e restare fedeli all’articolo 21 della Costituzione. Operare per poter vivere in una società non più complice ma nemica del malaffare, se non adesso magari domani. Sapendo soprattutto che nessuno potrà mai mettere sullo stesso piano Mauro Rostagno e Charlie Kirk, per il sol fatto che tutti e due sono stati vilmente uccisi. Rostagno raccontava la libertà, l’altro aveva un’idea del mondo decisamente opposta

    "® Riproduzione Riservata" - E’ vietata la copia anche parziale senza autorizzazione




  • Altre Notizie
  • Altre Notizie Attualità