Tre anni di conflitto e ancora si parla di “operazione speciale”, di “difesa della democrazia”, di “negoziati possibili”. La guerra tra Russia e Ucraina, che ha già causato centinaia di migliaia di morti e distruzioni incalcolabili, è diventata un paradosso narrativo, un gioco di parole tra chi vuole venderla come necessaria e chi la usa come moneta di scambio nelle relazioni internazionali.
Mentre le bombe continuano a cadere e le vite vengono spezzate, il mondo occidentale gioca una partita cinica. Da un lato, si invocano trattative e pace. Dall’altro, si inviano armi senza limiti, aumentando la potenza di fuoco e alimentando un’escalation che sembra non avere fine. L’ipocrisia delle diplomazie è evidente, soprattutto negli Stati Uniti, dove ogni nuova amministrazione ridisegna la propria politica estera con repentini dietrofront e strategie che servono più all’industria bellica che alla stabilità mondiale.
Washington ha oscillato tra dichiarazioni di pace e invii massicci di armamenti. Si parte con l’indignazione per l’invasione russa, si passa attraverso gli annunci di supporto illimitato a Kyiv e si arriva a velati inviti a negoziare con Mosca quando la guerra diventa troppo costosa. Gli alleati europei seguono il copione, talvolta riluttanti, ma incapaci di discostarsi dalla linea dettata dalla Casa Bianca e dal Pentagono.
Il mercato delle armi, intanto, prospera. Gli Stati Uniti hanno fornito all’Ucraina un arsenale sterminato, dalle munizioni agli aerei da combattimento, fino ai sofisticati sistemi di difesa. I pacchetti di aiuti miliardari sembrano più un investimento nell’industria militare che un reale aiuto per fermare l’invasione russa.
La narrazione occidentale ha cercato in tutti i modi di presentare il conflitto come una difesa della democrazia contro l’autoritarismo, evitando però di riconoscere che la guerra è stata alimentata anche dalle scelte errate della NATO e dalla volontà di isolamento della Russia. Il linguaggio stesso utilizzato dai media riflette questa ambiguità: non si parla di guerra totale, ma di “conflitto prolungato”, di “operazione militare speciale” per la Russia, di “aiuto militare” invece di escalation bellica.
E mentre si discute su come definirla, la guerra uccide, sfolla milioni di persone e devasta intere città. La realtà è che nessuno sembra realmente interessato a fermarla. Troppi interessi in gioco, troppi equilibri di potere da mantenere.
L’Europa, sempre più marginale nella scacchiera globale, si ritrova schiacciata tra il bisogno di seguire le direttive di Washington e il rischio di un’escalation che la colpirebbe in prima linea. Mentre le economie europee subiscono l’impatto delle sanzioni, della crisi energetica e del riarmo forzato, il dibattito pubblico si fa sempre più fragile. Chi chiede pace viene etichettato come “filorusso”, chi invoca una soluzione diplomatica è accusato di debolezza.
Nonostante tre anni di sangue e distruzione, la fine della guerra non appare vicina. Ogni spiraglio di tregua viene spazzato via dal prossimo invio di armi o dal prossimo ultimatum geopolitico. Nel frattempo, il mondo continua a guardare, forse con meno attenzione rispetto all’inizio, mentre il numero dei morti cresce e la speranza di pace si fa sempre più lontana.