
Trapani – di Rino Giacalone Le motivazioni ancora non si conoscono, le si potrà conoscere tra trenta giorni. C’è però il dispositivo depositato dai giudici della Corte di Cassazione. Cancellata la condanna a 15 anni dell’imprenditore trapanese Matteo Bucaria, pronunciata l’anno scorso a luglio, dalla Corte di Appello di Palermo, per essere stato il mandante dell’agguato subito dal cognato, Domenico Cuntuliano, nel marzo 2013.
Un caso che si era chiuso con l’arresto e la condanna dell’esecutore, un ex operaio del Comune di Trapani, Gaspare Gervasi, e che di colpo si è riaperto nell’agosto 2020 con l’arresto di Matteo Bucaria, un imprenditore parecchio noto in città, a Trapani, anche per il ruolo svolto nell’ambito di indagini antimafia. Il nome di Bucaria è legato ad una stagione investigativa che tra le fine degli anni ’90 e i primi anni del 2000 portò alla scoperta di un sistema mafioso che pilotava gli appalti. Bucaria contribuì a svelare gli intrecci con le sue rivelazioni.
Secondo l’accusa c’erano interessi economici dietro l’ordine dato da Bucaria a Gervasi, che solo sul finire della detenzione, per i dodici anni avuti inflitti, si decise di svelare quel segreto tenuto per se per tanti anni, durante le indagini e il processo da lui subito ha sempre respinto l’invito a rispondere alle domande di investigatori, pm e giudici. Tesi accolta dai giudici di primo grado, che lo avevano condannato a 19 anni, e di appello, che avevano ridotto la condanna a 15 anni, ma adesso la Cassazione ha deciso di accogliere il ricorso dei difensori dell’imprenditore, avvocati Gian Domenico Caiazza, Nino Reina e Giovanni Liotti. Disponendo l’annullamento della sentenza e la ripetizione del processo di secondo grado.
Bucaria frattanto resta ai domiciliari.
Un caso giudiziario parecchio controverso, che ha visto Cuntuliano costituirsi parte civile nel processo , affidandosi all’avv. Antonio Ingroia, l’ex pm della Procura di Palermo.
Gaspare Gervasi, l’esecutore, venne arrestato proprio su indicazione del Cuntuliano: l’uomo riuscì infatti a salvarsi dai colpi di arma da fuoco esplosi contro di lui da colui il quale doveva essere il suo sicario, per fortuna riuscì solo a ferirlo anche gravemente. Proprio sul finire della sua detenzione Gervasi fu intercettato a scrivere dal carcere delle lettere a Bucaria, dove gli chiedeva denaro. Interrogato, rompendo il silenzio che aveva tenuto sin dai giorni del suo arresto e per tutta la durata dei processi dove è stato imputato, svelò che a Cuntuliano aveva sparato su incarico di Matteo Bucaria. Sentito nel processo contro Bucaria ha accusato l’imprenditore quale mandante dell’agguato a Cuntuliano, ed ha raccontato di avere accettato l’offerta di 50 mila euro da parte di Bucaria per uccidere il cognato. Bucaria ha sempre respinto ogni accusa.
In Cassazione i difensori di Matteo Bucaria, avvocati Reina e Caiazza, hanno presentato un ricorso basato su cinque motivi. A cominciare dalle valutazioni date dai giudici al movente, la necessità del Bucaria di coprire le ingenti appropriazioni in denaro fatte a danno del cognato, per la difesa nel processo emerge ben altro e che certamente l’imprenditore non ha sottratto al familiare alcunché. Sottolineati inoltre gli scenari relativi all’improvvisa decisione dei Gervasi di rompere il suo silenzio sull’accaduto, quasi per induzione e vendette personali, la carenza nelle motivazioni di condanna, nella sostanza una sopravvalutazione dei riscontri e l’assenza di valutazione invece dei profili sull’attendibilità del teste, un movente, quello indicato da Gervasi, del tutto infondato, anche per alcune testimonianze raccolte nel processo.
Secondo le difese emergerebbero prove sull’esistenza di “una calunnia ordita contro Bucaria”, in un primo tempo respinta dal Gervasi, e poi infine chissà come mai accolta. Altre prove di dubbia fondatezza quelle legate all’arma usata da Gervasi per sparare contro Cuntuliano, in quel loro faccia a faccia del 30 marzo 2013 nelle campagne di Xiggiare. Un’arma che Gervasi ha fatto ritrovare solo nel 2020, risultata parecchio vetusta e che all’esito delle perizie inutilizzabile per uccidere, la sua consegna da parte di Bucaria a Gervasi in un luogo, l’azienda dell’imprenditore, sottoposto a controllo video.
Il movente del gesto criminale raccontato dal Gervasi, per la difesa del Bucaria, “dissimula quello vero e di natura inconfessabile”, un movente per i difensori dell’imprenditore da cogliere nei rapporti diretti tra Gervasi e Cuntuliano e che le sentenze “liquidano in modo superficiale”. L’incontro tra quei due in campagna , le parole stesse di Gervasi, il racconto di Cuntuliano, dimostrerebbero che non vi fu alcuna volontà omicidiaria, Gervasi arrivò lì solo con l’intento di ferire l’uomo, ipotesi che quindi farebbe cadere l’ipotesi del mandato ricevuto per uccidere. Movente che Gervasi stranamente decide di rivelare solo a fine carcerazione. In carcere, durante la detenzione, confidandosi con un compagno di cella, Gervasi avrebbe raccontato di aver cercato di uccidere Cuntuliano “per ritorsione” per la promessa non mantenuta di “aiutarlo ad aprire un panificio”.
Poi, per le difese, è stata organizzata una scena diversa, solo e soltanto per “colpire” l’imprenditore Matteo Bucaria. Le motivazioni con le quali la Cassazione ha annullato la condanna e ordinato un processo di Appello bis, si conosceranno fra trenta giorni.
