Trapani – Comprendere il sistema della giustizia minorile e le dinamiche della giustizia riparativa per contrastare bullismo e cyberbullismo: è stato questo il cuore del progetto “Dal reato alla vittima. Contrastare il Bullismo e il Cyberbullismo”, che ha coinvolto 200 studenti dell’IISS Rosina Salvo di Trapani in un percorso di formazione dedicato alle classi quarte e quinte del Liceo Economico Sociale e di Scienze Umane.
L’iniziativa, che si è conclusa oggi nell’aula magna del Polo Universitario di Trapani, ha rappresentato una preziosa occasione di crescita per gli studenti, offrendo loro strumenti concreti per comprendere le implicazioni giuridiche e sociali di determinati comportamenti. Un Percorso per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (PCTO) pensato per far conoscere da vicino il mondo della Giustizia Minorile e il funzionamento della Magistratura Minorile, con un focus su chi si trova ad affrontare un procedimento penale in giovane età.
Grazie agli interventi di magistrati, assistenti sociali, sociologi ed esperti del settore, gli studenti hanno potuto approfondire gli strumenti della giustizia riparativa, oggi sempre più rilevanti alla luce della Riforma Cartabia.
L’iniziativa, promossa dall’Organizzazione di Volontariato Azione X, è stata realizzata con la collaborazione del Centro Giustizia Minorile di Palermo, dell’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Palermo (sezione di Trapani) e dell’Ente Professione Assistenti Sociali, con il sostegno economico dell’Assessorato Regionale all’Istruzione e Formazione.
Durante gli incontri, grande interesse ha suscitato il contributo di Alessandra Camassa, Presidente del Tribunale di Trapani, di Claudia Caramanna, Procuratore della Repubblica per i Minorenni di Palermo, di Sonia Fonte, referente dell’USSM di Trapani, e di Giuseppe Ciulla, direttore dell’USSM di Palermo, oltre agli interventi dei dirigenti e ispettori della Polizia di Stato.
Un progetto che ha messo al centro i giovani e il loro futuro, fornendo loro una maggiore consapevolezza dei diritti, dei doveri e delle conseguenze delle proprie azioni, affinché diventino cittadini responsabili e attenti al valore della legalità.
Roma – “Bisogna aprire i palazzi di Giustizia, non chiuderli. I cittadini devono conoscere ciò che accade nei processi: alzare muri impedendo la conoscenza dei motivi per i quali una persona viene arrestata costituisce un pericolo significativo”.
Lo ha dichiarato il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, intervenendo al convegno dal titolo “Giustizia. Informazione a rischio –Tutte le criticità introdotte dalle nuove norme”, organizzato a Roma, lo scorso 13 gennaio, dall’Ordine nazionale dei giornalisti, e introdotto dal presidente del Cnog, Carlo Bartoli, nel corso del quale si è discusso anche della recente riforma dell’articolo 114 del Codice di procedura penale, entrata in vigore lo scorso 7 gennaio, in base alla quale non è più consentito riportare il contenuto delle ordinanze cautelari, se non per riassunto. Santalucia ha ricordato che il processo è pubblico e che durante le indagini preliminari il segreto è funzionale a garantire lo sviluppo delle indagini stesse: se non ha più questo scopo non ha ragione di essere.
“Il legislatore deve fare un bilanciamento degli interessi in gioco, libertà di stampa da una parte, diritto alla riservatezza dall’altro”, ha proseguito Santalucia rilevando come in questo momento vi sia uno sbilanciamento a favore del secondo. “Il processo mediatico deve essere evitato, ma non attraverso limitazioni e divieti; piuttosto attraverso la valorizzazione di comportamenti rispettosi della deontologia”.
Le crescenti difficoltà che i giornalisti incontrano nel poter informare correttamente e compiutamente i cittadini su quanto accade nei Palazzi di giustizia, anche a seguito dell’entrata in vigore del decreto Cartabia sulla presunzione d’innocenza, sono state ricordate dal coordinatore del Gruppo Informazione e giustizia del Cnog, Gianluca Amadori, il quale ha ricordato cosa scriveva nel 1997 l’allora pm Carlo Nordio, rivendicando il diritto dei giornalisti di dare informazioni in modo ampio sull’attività giudiziaria: “Spiace che ora, diventato ministro, abbia cambiato idea”.
Il giornalista del Corriere della Sera, esperto cronista di giudiziaria, Giuseppe Guastella, ha dichiarato che “è assurdo vietare di riportare virgolettati tratti dalle ordinanze di custodia cautelare, obbligando il giornalista ad interpretarle, con il rischio di essere poi querelato perché non ha riportato correttamente le motivazioni di un arresto”.
Il professor Vittorio Manes, autore di un volume sul processo mediatico, in cui denuncia l’eccessiva spettacolarizzazione di una parte dell’informazione giudiziaria, con gravi danni per la reputazione delle persone, ha sostenuto che l’attuale equilibrio tra privacy e diritto all’informazione “non è soddisfacente, a danno della prima, come dimostrato dai ripetuti interventi del legislatore negli ultimi anni. La narrazione, in particolare durante le indagini preliminari è a senso unico a favore delle tesi dell’accusa: il giornalista dovrebbe avere una posizione più critica, dando voce anche alla difesa”, ha auspicato il noto avvocato penalista, confidando in una sempre maggiore consapevolezza da parte dei professionisti dell’informazione della necessità di maneggiare con cautela il materiale giudiziario. Le intercettazioni innanzitutto, che una volta pubblicate si trasformano da “mezzo di ricerca della prova, in una prova vera e propria, rendendo la persona coinvolta in un’indagine penale un colpevole in attesa di giudizio, alla faccia della presunzione d’innocenza”.
Ma anche secondo Manes, da sempre critico sugli eccessi dell’informazione, la strada non è quella dei divieti o delle limitazioni alla stampa. “La questione è di carattere culturale – ha dichiarato – per arrivare ad un’informazione che eviti toni sensazionalistici, non trascuri la versione difensiva, che si astenga dal divulgare dati sensibili”.
La professoressa Marina Castellaneta dell’Università di Bari, esperta in diritto internazionale e libertà di informazione, ha ripercorso lo scenario di norme e giurisprudenza europee a sostegno della libertà di informazione, sostenendo che il decreto 188/2021 sulla presunzione d’innocenza di fatto limita la possibilità dei giornalisti di raccontare ciò che accade nei palazzi di Giustizia esorbitando i confini della direttiva europea sulla presunzione d’innocenza, che non si occupa della stampa e fornisce prescrizioni unicamente alla pubblica amministrazione, obbligandola a non indicare come colpevole una persona prima della sentenza definitiva. Castellaneta ha parlato anche della proposta di riforma del reato di diffamazione con la possibile introduzione di sanzioni pecuniarie spropositate (fino a 50 mila euro) al posto delle pene detentive “bocciate” dalla Corte costituzionale: “Sanzioni eccessive per punire la diffamazione sono state definite dalla Cedu non compatibili con la Convenzione europea in quanto producono il cosiddetto “chilling effect”, ovvero impedendo ai giornalisti di esercitare liberamente il compito di informare la collettività”.