Palermo
Processo Hesperia, chiesta condanna per cinque presunti affiliati a cosa nostra trapanese
Il processo scaturì dall'operazione antimafia effettuata il 6 settembre 2022 e interessò parte della provincia di Trapani
Redazione12 Novembre 2025 -
  • Tribunale Palermo TpOggi 1

    Palermo – Il procuratore generale della Corte d’appello di Palermo ha chiesto la conferma di cinque delle sette condanne emesse il 23 luglio 2024 dal Tribunale di Marsala nel processo con rito ordinario scaturito dall’operazione antimafia dei carabinieri «Hesperia», che il 6 settembre 2022 vide finire in carcere o ai domiciliari presunti affiliati e fiancheggiatori di Cosa nostra a Marsala, Mazara del Vallo, Campobello di Mazara, Castelvetrano, Paceco.

    Pur riqualificando alcune imputazioni in reati meno gravi e in qualche caso escludendo l’aggravante del metodo mafioso, lo scorso anno il tribunale ha inflitto sette anni di carcere al marsalese Stefano Putaggio 52 anni, agente immobiliare, ex attivista del M5S, processato per estorsione a un imprenditore che si era aggiudicato, per circa 400 mila euro, un immobile a un’asta giudiziaria.

    Il pm della Dda di Palermo Pierangelo Padova aveva invocato 10 anni.

    In aula la presunta vittima di estorsione, l’agente di commercio Giuseppe Sturiano, ha negato, però, di aver subito pressioni.

    Le altre condanne riguardavano

    Vito De Vita, di 47 anni, condannato a sei anni ma nel frattempo è tornato in libertà, accusato della cessione di una partita di droga per 1.300 euro; a cinque anni ciascuno Riccardo Di Girolamo, di 46, e Filippo Aiello, di 77; a tre anni e mezzo Lorenzo Catarinicchia, di 44, anche loro tutti di Marsala. Infine, a un anno e tre mesi ciascuno, con pena sospesa, Nicolò e Bartolomeo Macaddino, di 64 e 60 anni, di Mazara del Vallo, imprenditori del settore ittico, per i quali l’accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso è stata derubricata in quella meno grave di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, confermando però l’aggravante.

    Per questo i difensori Giuseppe De Luca e Giuseppe Tumbiolo hanno fatto ricorso, sostenendo l’assenza del metodo mafioso.

    E il Pg della Corte d’appello ha accolto questa tesi, chiedendo l’assoluzione dei due Macaddino per assenza di querela delle presunte vittime.




  • Trapani
    E venne il giorno del “ribaltone” dentro Cosa nostra
    Mafia, processo "Scialandro": in aula l'investigatore della Dia Sanclemente ha ricostruito le dinamiche delle "famiglie" di Trapani e Custonaci
    Rino Giacalone16 Ottobre 2025 -
  • Tribunale

    Trapani – di Rino Giacalone – Quando alla fine del 1982 , eliminato, per ordine dei “corleonesi”, lo storico capo del mandamento mafioso di Trapani, Totò Minore, pare che ad ambire alla successione erano i conclamati boss di Custonaci appartenenti all’omonima famiglia dei Mazzara. Ma ci fu “un ribaltone” per utilizzare un’affermazione intercettata dagli investigatori durante le indagini che nell’ottobre 2023 portarono ad una serie di arresti, nell’ambito dell’inchiesta antimafia “Scialandro“.

    Nel processo che è in corso dinanzi al Tribunale di Trapani, presidente giudice Carrara, ha deposto uno degli investigatori che si sono occupati dell’inchiesta, il sovrintendente Roberto Sanclemente della Dia. Non un investigatore tra i tanti, ma colui il quale si è adoperato di mettere insieme i rapporti informativi considerato che l’indagine fu congiuntamente condotta dalla Dia assieme a Polizia e Carabinieri. Sanclemente conosce esattamente in ogni sua parte il copioso faldone informativo, e ha risposto alle domande del pm Beux della Dda di Palermo.

    In questa prima parte della sua testimonianza, che proseguirà nella prossima udienza fissata a novembre, Sanclemente si è soffermato parecchio sulle dinamiche della famiglia mafiosa di Custonaci, sugli interessi, illeciti, nel settore agricolo e pastorizio ed in quello industriale della produzione del calcestruzzo, le estorsioni compiute e quelle rimaste tentate. Custonaci “sotto il controllo dei Mazzara”, “abbiamo saputo di incendi dolosi e abigeati” rimasti non denunciati. Tra gli episodi, uno davvero cruento, quello di quattro vitelli uccisi e le cui teste mozzate vennero fatte trovare al loro padrone appesi sulla staccionata all’ingresso della sua azienda.

    Mazzara e il “ribaltone”. Una delle vicende che erano rimaste nascoste dentro Cosa nostra.

    Gli investigatori ne hanno sentito dire a due degli imputati, Gaetano Barone e Giuseppe Maranzano. Sanclemente parlando della “famiglia” Mazzara ha posto in rilievo una sorta di “autonomia” operativa che avrebbe goduto all’interno del mandamento di Trapani, e questo perché per la guida del mandamento a loro era stato preferito il trapanese Vincenzo Virga, il boss mafioso rimasto latitante tra il 94 e il 2001 e oggi in carcere anche a scontare l’ergastolo per l’omicidio del sociologo e giornalista Mauro Rostagno.

    “Vincenzo Virga – ha detto Sanclemente – era il capo ma i Mazzara erano in un certo senso autonomi perché tenevano la cassa del mandamento”. Cosa che avrebbe portato anche dei contrasti, tanto che “Virga – ha sottolineato l’investigatore – pensava di uccidere l’anziano Mario Mazzara”. “Virga divenne capo del mandamento “grazie a un ribaltone”.

    La nomina spettava ai Mazzara e invece arrivò Virga”, almeno così Barone è stato sentito dagli investigatori, raccontare a Maranzano.

    L’investigatore della Dia rispondendo alle domande della pm Beux, si è parecchio soffermato sulle dinamiche della famiglia mafiosa di Custonaci, sul ruolo di Giuseppe Costa (già condannato per il sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo), di Mario e Vito Mazzara (quest’ultimo conclamato killer di Cosa nostra), di Roberto Melita (che avrebbe avuto il ruolo di fido “scudiero” di Costa).

    Il sovrintendente della Dia ha anche fatto cenno al circuito di relazioni con esponenti di altre famiglie, tra i nomi emersi quello dei Minore e del castellammarese Mariano Asaro.

    Numerose le intercettazioni telefoniche e ambientali riassunte dall’investigatore , dalla viva voce degli indagati sono stati scoperti gli interessi, illeciti,della consorteria mafiosa, nel territorio compreso tra Trapani, Valderice e Custonaci. Un serrato controllo del territorio, e una certa vitalità dell’organizzazione mafiosa, a dispetto di chi ancora oggi ne sostiene l’inesistenza e la sconfitta




  • Marsala
    Mafia Marsala e Mazara, a giudizio sette fra gli indagati dell’operazione antimafia
    Prima udienza il prossimo 2 dicembre
    Redazione11 Ottobre 2025 - Cronaca
  • guardia di finanza Cronaca

    Marsala – Sette fra gli indagati dell’operazione antimafia eseguita a dicembre 2024 da guardia di finanza e coordinata dalla Dda – tra Marsala e Mazara – sono stati rinviati a giudizio dal gup di Palermo Ivana Vassallo, davanti al tribunale di Marsala. Prima udienza il 2 dicembre prossimo.

    I sette rinviati a giudizio sono: Giancarlo Nicolò Angileri, di 60 anni, Giovanni Piccione, di 58, Michele Marino, di 65, Gaspare Tumbarello, di 49, Massimo Antonio Sfraga, 52, tutti di Marsala, Giuseppe Prenci, di 28, e Vito Ferrantello, 42, entrambi di Mazara del Vallo.

    Nell’ambito dello stesso procedimento, lo scorso 30 settembre, il pm della Dda Francesca Dessì ha invocato la condanna dei nove imputati che hanno scelto l’abbreviato. Dodici anni di carcere, sono stati chiesti per Domenico Centonze 50 anni, pastore marsalese Dieci anni ciascuno, per Pietro Centonze, classe ’50, padre di Domenico e Pietro Centonze, classe ’69, cugino di Domenico, e per il mazarese Alessandro Messina. Le altre richieste del pm: 8 anni ciascuno per Pietro Burzotta, genero del defunto boss mafioso Vito Gondola; Paolo Apollo e Ignazio Di Vita, pure di Mazara, due anni e 8 mesi per il marsalese Antonino Giovanni Bilello e 6 mesi per il mazarese Lorenzo Buscaino. Per gli inquirenti, Burzotta avrebbe ereditato il ruolo di comando del suocero Vito Gondola, assumendo un ruolo di primo piano nella gestione delle attività illecite legate al controllo delle aree di pascolo.




  • Trapani
    “Scialandro”, cambia il collegio del Tribunale
    Presidente Carrara subentra alla Troja
    Rino Giacalone10 Settembre 2025 -
  • Tribunale

    Trapani – di Rino Giacalone – Non è stata oltre modo lunga l’udienza di ieri mattina del processo scaturito dall’operazione antimafia denominata “Scialandro”. Intanto in aula si è presentato alle parti un nuovo collegio, presidente la giudice Cristina Carrara, dopo il trasferimento a Caltanissetta della giudice Daniela Troja, confermato a latere il giudice Oreste Marroccoli, altro a latere il giudice onorario Gaspare Sammartano, subentrato al giudice Cantone, anche lui trasferito ad altra sede. Dalle prime battute in aula, i normali scambi tra presidente e parti, la presidente Carrara ha già mostrato di conoscere alla perfezione gli atti sin qui compiuti, quindi per tutti rappresenta una precisa garanzia sul prosieguo del dibattimento.

    In aula a testimoniare ancora per l’ennesima , ma stavolta ultima udienza, il maggiore dei Carabinieri Vito Cito. L’indagine “Scialandro” portò nell’autunno 2023 ad una serie di arresti, a conclusione di una indagine coordinata dalla Procura antimafia di Palermo e condotta da Polizia, Carabinieri e Dia. Il maggiore Cito fu uno degli investigatori impegnati nell’inchiesta, quale dirigente di una delle sezioni del Reparto Operativo provinciale dei Carabinieri. La sua testimonianza è stata suddivisa in diverse udienze, dapprima ha risposto alle domande del pm Giacomo Brandini della Dda di Palermo, e poi alle difese degli imputati, quasi tutti sottoposti alle misure cautelari, tra il carcere e i domiciliari. Tra i nomi di spicco quelli dei trapanesi Pietro Armando Bonanno (recluso a Parma) e Mariano Minore (ai domiciliari). Ieri quasi tutti gli imputati erano presenti, quelli reclusi hanno seguito il dibattimento in video conferenza, unico rinunciante Mario Mazzara (Custonaci, dove nel quinquennio 85/90 è stato anche consigliere comunale), in aula c’erano Minore e Zichichi.

    Il maggiore Cito ha risposto al controesame delle difese, avvocati De Luca, Sammartano, Galluffo, e di fatto il pm ha concluso la prima prova testimoniale. Nella lista da sentire ci sono ancora altri investigatori, della Polizia e della Dia. In attesa che il perito consegni al collegio la trascrizione delle numerose intercettazioni.

    Le difese hanno puntato a mettere in risalto la rete dei rapporti e sopratutto le relazioni con i personaggi più compromettenti dell’inchiesta, ma il maggiore Cito ha risposto spiegando che se è vero che in alcuni casi non sono state scoperte relazioni dirette, di fatto esisteva un sistema di relazioni collaudato, anche attraverso interposte persone. Ha inoltre confermato che l’operazione “Scialandro” si è da subito concentrata sull’anziano Mario Mazzara, per via del suo rapporto con Giuseppe Costa, uno dei sequestratori del piccolo Giuseppe Di Matteo (il figlio del pentito Santino, sequestrato, strangolato e sciolto nell’acido per vendetta mafiosa contro il padre, per un periodo il ragazzino venne nascosto nella frazione Purgatorio di Custonaci e se ne occupava Costa, condannato già per questo reato e poi nuovamente arrestato dopo la sua scarcerazione per associazione mafiosa).

    Mazzara era già finito nel mirino degli investigatori che nel 2019 si occuparono dell’inchiesta denominata Scrigno (concentrata sulla mafia trapanese, e sui rapporti anche tra politici e Cosa nostra), per questa ragione l’inchiesta “Scialandro” ripartì proprio dalla sua figura: uno parecchio “ntiso” nell’ambito politico e anche criminale di Custonaci ha sottolineato il maggiore Cito. Mazzara è stato visto partecipare a riunioni “politiche” ma fuori da aule istituzionali, locali dove i partecipanti, come l’allora vice sindaco di Custonaci Carlo Guarano (anche lui arrestato e già condannato nel processo col rito abbreviato), ha spiegato l’investigatore dell’Arma, discutevano di tante cose, deleghe amministrative, appalti, gestione della distribuzione idrica.

    Le difese hanno evidenziato che in fin dei conti parlavano dei “problemi della cittadinanza”, affermativa la risposta del teste che però ha aggiunto “ne parlavano nella sede sbagliata”.

    Il contenuto dell’inchiesta ha riguardato Custonaci, Valderice, Paceco Trapani ed Erice, i punti cardinali di Cosa nostra trapanese. Pietro Armando Bonanno, gestiva una macelleria che sarebbe stato il suo “ufficio” per sbrigare le faccende di mafia, dal controllo del territorio alla riscossione dei guadagni, dal recupero crediti per conto terzi all’intestazione fittizia di beni. Le relazioni in generale emerse quelle tra uomini d’onore e professionisti con il “colletto bianco”, con il pallino del fare politica, impresa e commercio, anche tutte tre le cose assieme, in particolare a Custonaci.

    Sullo sfondo dell’inchiesta relazioni importanti intrecciate fin dentro le istituzioni, grazie anche ad agganci in certe logge della massoneria, vecchia e nuova. Il resoconto investigativo offerto dal maggiore Cito nelle udienze durante le quali è stato sentito, non è risultato datato nel tempo, ma è apparso collocato in un ambito temporale recente, recentissimo.

    A dispetto di chi dice che la mafia non esiste, ieri la si negava davanti ai corpi straziati degli uccisi, seguendo quella cultura delle negazione imposta proprio dai mafiosi, oggi si sostiene sia stata sconfitta da arresti e condanne, ecco che l’informativa “Scialandro” dimostra tutt’altro e che nell’arco temporale dell’inchiesta, tra il 2021 e il 2023, Cosa nostra trapanese, grazie anche a Pietro Armando Bonanno, era parecchio attiva, emergendo come una sorta di “mafia di prossimità”, pronta ad offrire servizi alla popolazione, e non solo a quella disagiata.

    Ufficialmente i mafiosi non li conosce nessuno, non sappiamo chi sono, ma se per caso qualcuno si ritrova un grave problema da risolvere, ecco che invece di andare a bussare alle porte degli uffici giudiziari, si va a cercare il mafioso.

    Come Pietro Armando Bonanno a trapani o Mario Mazzara a Custonaci. Tra le intercettazioni emerse anche quelle destinate all’informazione giornalistica, anche chi scrive è risultato tra le penne sgradite.

    Prossima udienza a metà ottobre.




  • Trapani
    Quattro amici a Custonaci
    Processo Scialandro. Mafia: prosegue dinanzi al Tribunale la testimonianza del maggiore Vito Cito
    Redazione8 Marzo 2025 - Cronaca
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    Trapani – Non tutte le ciambelle riescono col buco, e anche questo avevano messo in conto coloro i quali secondo la Procura antimafia di Palermo facevano parte della cosca mafiosa di Custonaci. Qualcosa non riusciva ma tante altre cose finivano sotto il loro controllo. Particolari che sono stati oggetto ancora nell’udienza di oggi scaturita dall’operazione antimafia “Scialandro” e che si sta svolgendo dinanzi al Tribunale, collegio presieduto dal giudice Daniela Troja con a latere i giudici Marroccoli e Cantone.

    Sentito il Maggiore dei carabinieri Vito Cito

    Per la seconda udienza consecutiva ha deposto come testimone uno degli investigatori che ha firmato l’informativa, il maggiore dei Carabinieri, Vito Cito, appartenente al Roni del comando provinciale di Trapani. Scorrendo alcune delle tantissime intercettazioni, il maggiore Cito si è soffermato su alcune delle conversazione tra gli indagati che hanno avuto come oggetto l’affidamento diretto di appalti pubblici, come i lavori per il lungomare della frazione di Cornino, la fornitura di servizi alla collettività, come quello idrico, l’intestazione fittizia di beni, ma anche i rapporti con la politica e la pubblica amministrazione. Questo resta un aspetto di grande rilevanza, già per la circostanza che nella giunta comunale all’epoca guidata dal sindaco Giuseppe Morfino, sedeva come vice sindaco Carlo Guarano, tra i condannati nell’altro troncone processuale tenutosi col rito abbreviato.

    La mancata costituzione di parte civile e il fastidio per certa Stampa locale

    Proprio scorrendo la parte diciamo “politica” il maggiore Cito ha citato alcune intercettazioni dalle quali è emerso con chiarezza di toni, anche aspri, e non certo leggeri nelle espressioni usate, il fastidio per la cronaca giornalistica della testata Alqamah.it e del giornalista Rino Giacalone, allorquando con un articolo venne resa nota la mancata costituzione del Comune di Custonaci, come parte civile, nel processo che vedeva imputato il riconosciuto capo mafia di Custonaci Giuseppe Costa. Una costituzione che era stata annunciata ma che non venne esercitata. Una vicenda che era stata anche oggetto di una interrogazione in Consiglio comunale da parte dell’opposizione all’epoca rappresentata dall’odierno deputato regionale di Fdi Giuseppe Bica. L’articolo e gli interventi consiliari vennero qualificati – nella migliore delle parole usate – come vespaio mediatico, ma le intercettazioni hanno svelato che la mancata costituzione di parte civile non era stata una dimenticanza, o peggio ancora la conseguenza, lamentata dal sindaco Morfino, di una mancata comunicazione da parte dell’autorità giudiziaria che a suo dire avrebbe dovuto notificare la richiesta di rinvio a giudizio. All’epoca Morfino ebbe anche a lamentarsi della stampa “che non aveva dato notizia dell’avvio del processo contro Costa”.

    Il contenuto delle intercettazioni

    Ma ieri in aula il maggiore Cito ha fatto cenno al contenuto di una intercettazione dove a parlare con i suoi soliti “quattro amici” era il vice sindaco Carlo Guarano che in particolare così parlava con uno degli attuali imputati accusati di mafia, Mario Mazzara, peraltro imparentato con Giuseppe Costa: “che vuoi compare io ero riuscito a metterci una pietra sopra…Costa quale danno d’immagine poi aveva provocato”. Il nome di Costa è “pesante”, si tratta della stessa persona che è stata anche condannata per aver partecipato al sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, fu uno dei suoi “carcerieri” nel periodo in cui il ragazzino, figlio del pentito Santino Di Matteo, venne nascosto nella frazione di Purgatorio, prima di essere ucciso per ordine di Brusca. Guarano, lo stesso intercettato a sparlare dei giudici Falcone e Borsellino, o a pretendere che i familiari del giudice Capponnetto dovevano pagare una targa posta in Municipio, da una parte dicevano di combattere Cosa nostra mentre ne facevano parte, e si sperticavano di risate, ancora durante una conversazione è stato sentito esprimere propositi rancorosi contro l’attuale sindaco di Custonaci Fabrizio Fonte, all’epoca esponente dell’opposizione politica al sindaco Morfino, e Giuseppe Bica: “Fonte è pericoloso ci sta rompendo la minchia ” e Mazzara di rimando proponeva che “bisognava alzargli contro le mani”.

    Il controllo degli appalti

    Il controllo degli appalti è stato un altro aspetto toccato dal maggiore Cito. Oggetto delle intercettazioni le conversazioni tra Baldassare Bica e il sindaco Morfino, e ancora quelle con Carlo Guarano e l’imprenditore Marceca, quest’ultimo sebbene debitore con il Comune di Custonaci doveva risultare affidatario di alcune opere. Una figura emersa quella di un ex dipendente comunale, Baldassare Campo (il figlio componente della Giunta Morfino) che secondo le indagini si muoveva addirittura “quasi sembrando che il sindaco fosse lui”.

    I “quattro amici”

    Quando i “quattro amici ” si incontravano, in una occasione furono sentiti dire che “possiamo parlare tutti assieme perché tutti una cosa noi siamo”. “Rapporti equivoci” infine sono stati definiti quelli tra un ispettore all’epoca in servizio alla Dia, Nicola Asta, ora in pensione, con gli imprenditori Marceca e Bica, scoperti “a fare viaggi in Marocco dove si occupavano di affari nel mondo della lavorazione marmifera. Infine il capitolo della distribuzione idrica in città. Un affare finito nelle mani di un altro soggetto frattanto condannato per mafia, Paolo Magro: “lui faceva da autista di una ditta e riceveva da Guarano e Morfino le indicazioni di dove portare l’acqua”.





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