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Portella della Ginestra: fuoco mafioso sul Primo Maggio
Nel 1947, undici contadini furono uccisi mentre chiedevano terra e lavoro. La mafia spense con il piombo la speranza di riscatto
Trapani Oggi30 Aprile 2025 - Altre Notizie



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    C’era un’aria tiepida quella mattina del Primo Maggio del 1947, tra le colline di Piana degli Albanesi. L’erba, ancora bagnata di rugiada, sapeva di terra viva. Le famiglie erano uscite presto, a piedi, coi bambini sulle spalle, i fazzoletti rossi al collo, i tamburi artigianali legati alla vita. Come ogni anno, si ritrovavano a Portella della Ginestra per la festa dei lavoratori: non solo una ricorrenza, ma un grido condiviso per un futuro diverso, per avere finalmente un pezzo di terra da coltivare senza padroni.

    Quel giorno però non portava solo canti e bandiere. Si sentì prima un tonfo, come un sasso che cade giù da una roccia. Poi un altro, e poi ancora. Ma non era pietra: erano fucili. Dalla montagna sopra il valico cominciarono a sparare.

    Non un colpo, non due. Una raffica. Lunghissima. Invisibile e feroce.

    Undici corpi caddero tra i garofani e le ginestre. Altri trenta furono feriti. Erano contadini, madri, ragazzini. Nessuno armato. Nessuno pericoloso. Solo persone che quel giorno volevano festeggiare il diritto di essere cittadini, non servi.

    Fu Salvatore Giuliano, il bandito di Montelepre, a guidare l’agguato. Ma dietro di lui, ombre più dense: la mafia, i latifondisti, forse persino pezzi dello Stato. Tutti infastiditi da quella gente che chiedeva troppo: terra, pane, dignità.

    È difficile raccontare Portella senza stringere i denti. Perché fu una strage, ma fu anche una dichiarazione di guerra. Non contro lo Stato, ma contro i sogni di una Sicilia nuova. Era il 1947, dopoguerra, democrazia appena nata, la sinistra aveva vinto le elezioni regionali. Ma quel successo popolare era diventato una minaccia per chi deteneva il potere con le armi, i ricatti e i legami occulti.

    La memoria di Portella non è fatta di lapidi. È fatta di una voce che ancora oggi risuona tra le pietre del valico: “Terra! Terra! Terra!”. Come un’eco che non vuole spegnersi. Come se quei morti avessero ancora qualcosa da dire.

    Chi cammina oggi in quel luogo sente qualcosa. Il silenzio pesa, ma racconta. Racconta che la libertà, quando si avvicina troppo, fa paura a chi non l’ha mai voluta.




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