Roma – Ansa – Un Tricolore immenso nel cielo di Roma, disegnato dalle Frecce, e un silenzio carico di significato mentre Sergio Mattarella depone la corona d’alloro all’Altare della Patria. Così sono iniziate, come ogni anno ma con emozione sempre nuova, le celebrazioni del 79° anniversario della Repubblica Italiana.
La scena, come da tradizione, è potente e solenne. Il presidente della Repubblica arriva scortato dai Corazzieri e accolto dal ministro della Difesa Guido Crosetto. A fianco a lui, la premier Giorgia Meloni, i presidenti di Senato e Camera – Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana – e il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri. Lì, sotto il Vittoriano, anche le più alte cariche militari e civili.
Dietro le transenne, tanti: cittadini, turisti, famiglie. Si sono messi in fila presto per assistere a quel momento simbolico che dà il via alla parata lungo via dei Fori Imperiali. E quando la Pattuglia Acrobatica Nazionale ha lasciato la sua firma nel cielo, una scia verde, bianca e rossa, il boato di stupore è stato unanime. Non è solo uno spettacolo. È un segno d’identità.
Nel suo messaggio ufficiale al Capo di Stato Maggiore della Difesa, Mattarella ha ricordato l’essenza del 2 giugno:
“Settantanove anni fa, gli italiani scelsero la Repubblica. Scelsero la libertà, la democrazia, la pace. E quei valori li abbiamo scritti nella nostra Costituzione. Su quei principi si fondano la nostra comunità civile e l’operato delle istituzioni.”
Parole che risuonano forti, specie in un’epoca dove la pace, come ammonisce il presidente, non può più essere data per scontata. L’omaggio alle Forze Armate è chiaro e sentito: donne e uomini in uniforme che, in Patria e all’estero, difendono non solo i confini, ma “la speranza, il futuro, la dignità delle persone”.
Sui social, la premier Giorgia Meloni ha affidato ai cittadini un messaggio diretto, patriottico, personale:
“Celebrare l’Italia è onorare chi ha dato la vita per difenderla. Siamo un popolo fiero, capace di rialzarsi dopo le prove più dure. Viva l’Italia!”
Un pensiero che mescola fierezza, memoria e visione. L’identità nazionale, sottolinea la premier, va custodita come si fa con un’eredità preziosa: da trasmettere, difendere, amare.
Anche Ignazio La Russa, presidente del Senato, affida ai social il proprio tributo:
“Il 2 giugno è il giorno in cui celebriamo la sovranità popolare, l’unità della Nazione, il nostro orgoglio di essere italiani.”
Toni simili quelli di Lorenzo Fontana, presidente della Camera, che ha colto l’occasione anche per ricordare la portata storica del voto femminile, con l’elezione di 21 donne all’Assemblea Costituente. Un passo che, sottolinea, ha segnato per sempre il cammino democratico del Paese.
Nel suo messaggio, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha rotto ogni illusione:
“Dobbiamo lasciare l’idea che la pace sia un fatto scontato. Esistono minacce reali, e difendere l’Italia significa anche proteggere chi sogna un futuro più giusto.”
Un passaggio che richiama la necessità di rafforzare la NATO e costruire un pilastro europeo della Difesa, perché – come sottolinea – la missione delle Forze Armate non è solo militare, ma anche profondamente umana:
“Difendete non solo i confini, ma le persone. La speranza. La dignità. Lo fate per l’Italia, ma anche per chi vi è vicino: i vostri figli, le vostre famiglie.”
Il 2 giugno, per molti, è solo una data sul calendario. Ma oggi, in quella piazza baciata dal sole e nel rombo delle Frecce, ha avuto il suono delle radici che tornano a farsi sentire. Un promemoria, per tutti: la Repubblica è viva se lo siamo noi. Se la ricordiamo, la proteggiamo, la portiamo nel cuore.
Buona Festa della Repubblica.
Palermo – “La mafia, come ogni fatto umano, ha avuto un inizio ed avrà anche una fine”: questo ripeteva Falcone, sollecitando coerenza e impegno educativo, spronando chiunque nella società a fare la propria parte insieme alle istituzioni, a ogni livello. La mafia ha subìto colpi pesantissimi, ma all’opera di sradicamento va data continuità, cogliendo le sue trasformazioni, i nuovi legami con attività economiche e finanziarie, le zone grigie che si formano dove l’impegno civico cede il passo all’indifferenza”.
Così il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del 33° anniversario della strage di Capaci, ricordando l’importanza di “tenere sempre alta la vigilanza, coinvolgendo le nuove generazioni nella responsabilità di costruire un futuro libero da costrizioni criminali”.
Ancora una volta, a fare da sfondo alle manifestazioni – quella “ufficiale” della Fondazione Falcone, presieduta dalla sorella del giudice, Maria Falcone, e quella “alternativa” organizzata da diverse associazioni – non mancano le polemiche tra due anime dell’antimafia che non si sono mai amate. Anime molto distanti che, nei giorni scorsi, si sono scambiate frecciate a distanza.
E se Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso il 19 luglio in via D’Amelio, parteciperà al corteo promosso da Cgil e associazioni come Libera e Next Gen, che si muoverà alle 15 da piazza Verdi, Maria Falcone accoglierà ministri e istituzioni al Museo del presente a Palazzo Jung, che sarà inaugurato domani in tutti i suoi spazi.
La lunga giornata di Palermo è cominciata alle 9, quando 200 studenti siciliani sono saliti sulla motovela “MareNostrum Dike”, partita da Napoli per il viaggio “Un mare di legalità”. L’imbarcazione, dal forte significato simbolico, veniva utilizzata dagli scafisti per la tratta dei migranti.
Alle 9.30 poi appuntamento al Museo del Presente presenti tra gli altri il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il ministro della Giustizia Carlo Nordio e quello della Cultura Alessandro Giuli, la presidente della commissione parlamentare Antimafia Chiara Colosimo, magistrati e autorità civili e militari.
Stamane le cerimonie sul luogo della strafe, alle 13.15 alla caserma Lungaro della Polizia verranno deposte corone di fiori in memoria delle vittime dell’attentato di Capaci.
Diverse le iniziative organizzate anche al Palazzo di giustizia dove si terrà la seconda edizione di Tribunale chiama scuola, evento promosso da Ordine degli avvocati, Associazione nazionale magistrati e Rete per la cultura antimafia nella scuola. Dalle 9 gli studenti di 59 scuole palermitane si sono alternati in letture e riflessioni, alle 11.30 in piazza della Memoria cerimonia con giudici avvocati, studenti universitari e delegazioni scolastiche.
Ancora in tribunale alle 15 si discuterà di “Strategie criminali e strumenti di contrasto”. Parteciperanno tra gli altri, Francesco Lo Voi , procuratore della Repubblica di Roma, Maurizio de Lucia, procuratore di Palermo e il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo.
Come ogni anno, alle 16 ci si ritroverà sotto l’Albero Falcone dove alle 16.45 si esibirà Giovanni Caccamo e alle17.00 interverrà di Maria Falcone.
Alle 17.30 l’ex magistrato Piero Grasso leggerà i nomi delle vittime delle stragi di Capaci e Via d’Amelio e alle 17:58, l’ora della strage, un trombettiere della Polizia di Stato suonerà il silenzio.
Diversi gli appuntamenti organizzati anche al Giardino della Memoria, un’area sottostante l’autostrada che fu teatro della strage, curato da Tina Montinaro, vedova del capo-scorta di Falcone. Centinaia di studenti verranno coinvolti in laboratori artistici e spettacoli. Prima che diventasse un metodo, il lavoro del pool antimafia di Palermo dovette fare i conti con gli scettici. Il gruppo messo su da Rocco Chinnici, ucciso nell’83, e poi guidato da Antonino Caponnetto fino all’88, venne persino additato di fare “turismo giudiziario”, che consisteva nel seguire da vicino le indagini, andare nei luoghi dove portavano gli elementi man mano acquisiti.
“Ci spostavamo ovunque – ricorda Giuseppe Di Lello, che del pool di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino fece parte insieme a Leonardo Guarnotta e al giovane Ignazio De Francisci -, contravvenendo alla prassi di delegare burocraticamente le indagini fuori da Palermo a giudici di altri distretti, che nulla sapevano delle nostre inchieste e che raramente potevano esserci d’aiuto. Questo nuovo modo di operare ha dato credibilità al pool e ha portato a notevoli risultati”.
Una “rivoluzione” che si sarebbe potuta fare anche prima, se la mafia non fosse stata considerata “un fenomeno oscuro – aggiunge Di Lello – e impenetrabile. Invece, siamo entrati nelle banche, che Cosa nostra riteneva dei santuari impenetrabili; nelle Camere di commercio, esaminando gli intrecci societari”. Quel gruppo di pionieri istruì il primo maxiprocesso che nell’86 portò alla sbarra 475 imputati. “Lo Stato ci diede una mano – spiega Di Lello – trasferendo a Palermo investigatori di primo livello, alcuni dei quali sacrificarono la loro vita. Il nostro lavoro fu preceduto dalle intuizioni di magistrati impareggiabili, come Cesare Terranova e Gaetano Costa”.
Nel novembre 1985 (in coincidenza con il deposito dell’ordinanza di rinvio a giudizio dei 475), all’ufficio istruzione arriva Ignazio De Francisci, che allora aveva 33 anni. De Francisci era legato all'”estroverso e gioviale” Paolo Borsellino, che un anno dopo andò a dirigere la procura di Marsala.
“Rimasi con Falcone – dice – che aveva un carattere diverso, era riservato, un po’ timido. Prudente e realista, da lui imparai moltissimo. Falcone e Borsellino si completavano perfettamente e quelli sono stati gli anni più importanti della mia ultraquarantennale carriera”.
Quando nell’89, in piena stagione dei veleni, Falcone passò alla procura (era appena entrato in vigore il nuovo Codice), De Francisci, su suggerimento dell’amico, lo seguì: “Arrivai nel febbraio ’91, un mese prima che Giovanni si trasferisse a Roma, nel pieno scontro tra lui e il procuratore Pietro Giammanco. Non sapevo molto dei loro dissidi, ma il clima era incandescente. Quando Falcone lasciò la procura, rimasi ‘ostaggio’ dei suoi nemici: non avevo alcuna intenzione di riposizionarmi sulla linea del capo”.
De Francisci ricorda il documento firmato da otto sostituti e inviato al Csm per chiedere la rimozione di Giammanco: “Questo episodio viene spesso ignorato, ma fu un momento importante. Il Consiglio superiore non decise alcun trasferimento, perché, dopo la strage di via D’Amelio, Giammanco chiese di andare in Cassazione”. De Francisci, da poco in pensione dopo l’incarico alla procura generale di Bologna, ricorda l’ultimo incontro con Borsellino: “Avvenne il giorno prima della sua morte. Era appena tornato da Roma e venne in procura, in anticamera ci accennò a quello che aveva appena saputo da Gaspare Mutolo e che avrebbe dovuto verbalizzare”. Non ci fu il tempo.
Latina – Durante la visita all’azienda BSP Pharmaceuticals S.p.A. di Latina, Mattarella ha evidenziato quanto il lavoro dignitosamente retribuito sia essenziale per una società equa. “Molte famiglie – ha detto – non riescono più a sostenere l’aumento del costo della vita. È necessario affrontare la questione salariale con urgenza”
Il Capo dello Stato ha ribadito che salari adeguati sono fondamentali per garantire pari opportunità e accesso ai benefici dell’innovazione e del progresso.
Secondo gli esperti, l’inflazione in aumento, la crescita economica rallentata e una produttività stagnante sono tra le principali cause del divario tra redditi e costo della vita. Questo squilibrio colpisce soprattutto le aree del Mezzogiorno, aggravando tensioni sociali già presenti.
Un lavoro ben retribuito non è solo una conquista individuale, ma un pilastro di coesione sociale: un concetto che Mattarella ha voluto sottolineare nel suo discorso (fonte: ANSA).
Il monito del presidente spinge verso un’agenda politica più incisiva: salari minimi, rafforzamento della contrattazione collettiva e nuove misure per sostenere il potere d’acquisto delle famiglie.
Governo e parti sociali sono ora chiamati a un confronto che miri a risultati concreti, capaci di ridurre le disuguaglianze e restituire dignità al lavoro.
Le parole di Sergio Mattarella sono un richiamo etico, una precisa indicazione di priorità: senza salari equi e un reale sostegno alle famiglie, la crescita sociale ed economica dell’Italia resterà incompleta