Palermo
Nuove minacce al giornalista Salvo Palazzolo
La Squadra mobile di Palermo ha informato nei giorni scorsi l'inviato del quotidiano La Repubblica che nel corso di alcune indagini sono state rilevate «gravi ostilità nei suoi confronti»
Redazione24 Gennaio 2025 - Cronaca
  • Nuove minacce al giornalista Salvo Palazzolo Cronaca

    Palermo – Nuove minacce al giornalista Salvo Palazzolo. La Squadra mobile di Palermo ha informato nei giorni scorsi l’inviato del quotidiano La Repubblica che nel corso di alcune indagini sono state rilevate «gravi ostilità nei suoi confronti». Palazzolo sta conducendo da mesi un’inchiesta sui boss scarcerati che sono tornati in città dopo lunghi periodi di detenzione, ha anche svelato i permessi premio concessi ad alcuni ergastolani condannati per omicidi e strage. Ha inoltre denunciato un fiorente giro di spaccio di droga sui canali Telegram. Adesso, sono state rafforzate le misure di vigilanza attorno al cronista che lavora alla redazione palermitana del quotidiano la Repubblica.

    Una situazione che allarma la categoria e l’Ordine dei giornalisti Sicilia.

    «I giornalisti sono sentinella dell’informazione – dichiara il presidente Roberto Gueli – e quando fanno informazione danno fastidio. La nostra categoria deve essere compatta e respingere con fermezza gli attacchi al mittente. Esprimiamo la nostra vicinanza, il nostro sostegno e la nostra piena solidarietà al collega Salvo Palazzolo».

    Palazzolo, in passato, è già stato oggetto di minacce.

    Nel dicembre 2018, la Squadra mobile di Palermo intercettò alcuni mafiosi del clan Inzerillo mentre discutevano di dare al cronista “due colpi di mazzuolo”: in quei giorni, Palazzolo stava raccontando il ritorno in Sicilia dagli Stati Uniti degli “scappati” della seconda guerra di mafia, dopo la morte di Totò Riina. Nell’aprile 2020, un altro episodio. Il capomafia dello Zen Giuseppe Cusimano insultò pesantemente il cronista di Repubblica su Facebook (“Giornalisti peggio del Coronavirus”): il giovane boss, poi arrestato sei mesi dopo dai carabinieri, non aveva gradito l’articolo che svelava la sua distribuzione di generi alimentari agli abitanti della periferia palermitana durante il lockdown.
    informazione pubblica”.




  • Trapani
    Sei nuovi agenti al Carcere Pietro Cerulli
    Penitenziaria, 1327 nuovi agenti entreranno in servizio presso gli istituti penitenziari italiani.
    Redazione24 Gennaio 2025 - Cronaca
  • Carcere di Trapani, rinvenuti dalla polizia due smartphone Cronaca

    Trapani – Alla casa circondariale Pietro Cerulli di Trapani arrivano sei nuovi agenti. “Il loro arrivo garantirà il miglioramento delle condizioni lavorative di chi vive il carcere, alleviando le carenze di organico causate dalla grave noncuranza dei governi precedenti. Queste nuove assunzioni si innestano nel percorso intrapreso dal Governo negli ultimi 28 mesi e finalizzato a potenziare gli organici delle Forze dell’Ordine, e in particolare la Polizia Penitenziaria. Presto ci saranno altre assegnazioni: 2568 agenti inizieranno il 185° Corso a maggio 2025 mentre, con la firma del nuovo bando allievi agenti del 15 gennaio scorso, è iniziato il reclutamento di ulteriori 3246 unità”.

    E quanto dichiara il Sottosegretario di Stato alla Giustizia Andrea Delmastro delle Vedove.

    “Passo dopo passo – dice il senatore Raoul Russo – il governo Meloni, grazie all’operato del sottosegretario Del Mastro, lavora sul tema delle carceri, in particolare potenziando gli organici del personale negli istituti con maggiori criticità. In questo caso specifico oltre ringraziare il sottosegretario per la sua attenzione alla Sicilia, confermo il mio impegno a seguire con particolare impegno la situazione degli istituti penitenziari della provincia di Trapani”.

    il Coordinatore Provinciale di FdI

    “Queste nuove assegnazioni – sottolinea il Coordinatore Provinciale di FdI Maurizio Miceli – sono una preziosa boccata d’ossigeno per gli uomini e le donne in divisa che lavorano negli istituti penitenziari e dimostrano l’attenzione del Governo Meloni per le esigenze del nostro territorio. Ringrazio il Sottosegretario Delmastro per il suo instancabile impegno verso la Polizia Penitenziaria, continuerò a lavorare al suo fianco per il bene del territorio”.





  • “Gioca con le autobombe”. Gioco su mafia vince premio in Francia [VIDEO]
    De Leo (FI) contro "La famiglia": "Offende la memoria delle vittime e tutti i siciliani onesti"
    Redazione21 Gennaio 2025 - Politica
  • Politica

    Palermo – L’On. Alessandro De Leo di Forza Italia ha inviato oggi una lettera al Presidente della Regione Siciliana Renato Schifani per denunciare la commercializzazione di un controverso gioco da tavolo che banalizza la storia della criminalità organizzata in Sicilia. Il gioco ha vinto di recente l’As d’Or nel 2024 come miglior gioco per esperti. Si tratta uno dei maggiori premi per i giochi da tavoli che viene assegnato ogni anno in Francia.

    Il gioco da tavolo la famiglia:

    Il gioco “La Famiglia – The Great Mafia War”, prodotto dalla tedesca Boardgame Atelier, simula la guerra di mafia degli anni ’80 in Sicilia. Recentemente tradotto in italiano e distribuito su diverse piattaforme di vendita online, il gioco invita i partecipanti a competere per il “controllo dei mandamenti delle famiglie mafiose siciliane”, usando “strumenti di gioco” come le autobombe, l’uccisione dei “soldati”, la costruzione di laboratori per la droga e le barche per il trasporto della droga e per il contrabbando.

    Inaccettabile asserisce L’On. De Leo

    “È inaccettabile che un fenomeno criminale con il suo carico di violenza e sofferenza venga trasformato in un gioco da tavolo”, ha dichiarato l’On. De Leo. “Questo prodotto non solo offende la dignità dei siciliani, ma svilisce anche l’impegno quotidiano di milioni di cittadini che si battono per la legalità e la giustizia nella nostra Regione.”

    Banalizzazione di elementi violenti

    “Ancora più grave, sotto ogni punto di vista, è la banalizzazione di elementi violenti come l’uso delle autobombe, ridotte a semplici strumenti di gioco”.”Ho chiesto al Presidente Schifani”, prosegue De Leo, “di valutare ogni possibile azione per contrastare la diffusione di questo gioco, seguendo l’esempio di quelle imprese e associazioni che già si sono mobilitate contro la commercializzazione di prodotti che banalizzano il fenomeno mafioso.”

    Il dolore diventa intrattenimeno?

    Il gioco in questione, premiato con l’As d’Or 2024 come miglior gioco per esperti, permette a fino a quattro giocatori di assumere il controllo di sei diverse famiglie mafiose, ciascuna dotata di “abilità speciali”, per competere per il dominio della Sicilia. Una meccanica che, secondo il parlamentare, “trasforma in intrattenimento uno dei capitoli più dolorosi della storia siciliana”.





  • Trapani
    Dedicata al giudice GianGiacomo Ciaccio Montalto, la barca a vela della legalità affidata alla Lega Navale Italiana
    Domenica 26 la cerimonia di intitolazione
    Laura Spanò21 Gennaio 2025 - Cronaca
  • Cronaca

    Trapani – Cerimonia di intitolazione domenica 26 gennaio alla memoria del magistrato GianGiacomo Ciaccio Montalto della barca a vela “Vega” confiscata nell’ambito delle attività di contrasto all’immigrazione clandestina. “Abbiamo mantenuto una promessa, un impegno nei confronti di tutta la comunità trapanese – dice Piero Culcasi, presidente della Lega Navale Italiana, sezione Trapani – un doveroso atto di memoria collettiva”. La cerimonia è prevista alle 10 presso la sede della Lega Navale.

    Vega è l’imbacazione sequestrata in una operazione antimmigrazione

    Vega, è il nome di registrazione dell’imbarcazione, che affidata alla Lega Navale di Trapani è stata sottoposta a interventi di ristrutturazione e rimessaggo da parte dei soci della lega navale per renderla nuovamente governabile in mare e destinata ad attività sociali e sportive, alcune delle quali sono state svolte in collaborazione con l’Ufficio esecuzioni penali esterne, di Trapani, nell’ambito di progetti di promozione della legalità. Nell’ottobre scorso Vega ha regatato tra i contendenti della VII edizione del Trofeo “GianGiacomo Ciaccio Montalto” con a bordo un equipaggio di magistrati, ufficiali della guardia di finanza, carabinieri e capitaneria di porto.

    Chi era GianGiacomo Ciaccio Montalto

    GianGiacomo Ciaccio Montalto era un uomo di grandi valori e aveva un profondo senso del dovere. La lotta alla mafia e in particolare gli intrecci tra massoneria deviata e mondo imprenditoriale politico, ha visto in lui un precursore, svolgendo per primo indagini finanziarie e patrimoniali. Ciaccio Montalto nel corso della sua carriera si era occupato di inchieste delicate, come quella sulle distrazioni di denaro legate alla ricostruzione post terremoto del Belice. Ma c’erano anche le inchieste sull’inquinamento del golfo di Cofano, uno dei più bei paesaggi della Sicilia messo a rischio dagli scarichi illegali e anche dal tentativo di costruirvi negli anni ’70 una raffineria di petrolio, sponsorizzata dalle famiglie mafiose locali; c’erano le inchieste sui soldi sporchi nelle banche, gli appalti truccati. La mafia di quegli anni è la stessa di oggi. Una mafia che non spara più ma che si è infiltrata nelle istituzioni, nell’impresa, nelle banche come ai tempi di Ciaccio Montalto, che era andato a bussare alla porta di alcune di queste prendendosi e portandosi in ufficio gli assegni dei boss, i guadagni dei traffici di droga, delle raffinerie di eroina impiantate nel trapanese, degli appalti.

    L’omicidio di Ciaccio Montalto:

    La mafia che uccise Ciaccio Montalto è la stessa che oggi potente ha saputo proteggere Matteo Messina Denaro. Nonostante le numerose minacce Ciaccio Montalto, non si arrese mai, continuando a lavorare con disciplina e rigore. Attualissime rimangono ancora ora le indagini di quel giudice che prima di essere ammazzato stava per essere trasferito a Firenze. Gian Giacomo Ciaccio Montalto, marito e padre di tre bambine, fu ucciso a sangue freddo a 42 anni, il 25 gennaio del – 1983 a Valderice. Il giudice Ciaccio Montalto è una delle prime vittime eccellenti nel segno dell’aggressione voluta dal boss Totò Riina.




  • Caltanissetta
    Caltanissetta, affari all’ombra della mafia. La dia confisca beni per 9 milioni all’imprenditore Giuseppe Li Pera [VIDEO]
    Si tratta di un impero milionario costruito in oltre 30 anni di attività e di rapporti con il gotha dell'imprenditoria mafiosa
    Redazione21 Gennaio 2025 - Cronaca
  • Cronaca

    Caltanissetta – Colpire i beni dei mafiosi o di chi fa affari con essi, è l’obiettivo primario delle forze dell’ordine che combattono le organizzazioni criminali mafiose nel Paese. I beni confiscati sono uno degli strumenti più efficaci per colpire le mafie, attaccandole nei loro patrimoni e nelle relazioni di forza con le quali ingabbiano i contesti territoriali. Lo stesso Papa Francesco nel 2017  ai componenti la Commissione antimafia aveva detto “beni confiscati sono palestre di vita”.

    Esistono tre diverse categorie di beni confiscati, ognuna delle quali ha delle peculiarità normative e di reimpiego:

    Eseguito il provvedimento di confisca di beni

    L’ultima attività del genere è stata messa in atto dalla Dia di Caltanissetta. Eseguito il provvedimento di confisca di beni di pertinenza  dell’imprenditore Giuseppe Li Pera, 73enne imprenditore originario di Polizzi Generosa sulle Madonie, ma da anni residente a Caltanissetta, coinvolto nella storica inchiesta “Mafia e appalti”.

    Il provvedimento ha interessato l’intero capitale sociale ed il complesso di beni strumentali di 3 ditte e quote di partecipazioni in altre 5 società di capitali, 7 immobili, 4 autoveicoli e 22 rapporti bancari per un valore stimato pari a oltre 9 milioni di euro. 

    Origine del provvedimanto

    Il provvedimento trae origine da una articolata e complessa attività investigativa condotta dal Centro Operativo di Caltanissetta, che ha ripercorso la carriera dell’imprenditore dalla metà degli anni ’80 ai giorni nostri, accertandone la pericolosità sociale e un’ascesa economico-imprenditoriale costellata da costanti e continui rapporti intrattenuti con il gotha dell’imprenditoria mafiosa.

    complesso reticolo societario

    Le investigazioni hanno delineato un quadro d’insieme caratterizzato da un complesso reticolo societario, solo apparentemente svincolato da connessioni con il mondo della criminalità organizzata, ancorché lo stesso imprenditore, già dal 2007, risultava condannato definitivamente per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., al termine di un complesso percorso giudiziario, le cui origini risalgono al 1991, nell’ambito di una nota indagine su mafia e appalti. In tale sistema era emersa anche la figura dell’imprenditore, il quale, alla fine degli anni ’80, quale dipendente di una grossa società del nord Italia, attiva nel settore delle grandi opere, non soltanto si prodigò in favore di quella società per ottenere illeciti vantaggi in termini di aggiudicazione e gestione degli appalti in Sicilia ma, grazie alla sua vicinanza al contesto mafioso dell’epoca, ne trasse personale illecito arricchimento tramite imprese allo stesso intestate o a lui direttamente riconducibili tramite prestanome. Un impero milionario costruito in oltre trent’anni di attività imprenditoriale e rapporti d’affari, intrattenuti anche con diversi boss mafiosi di vertice della mafia siciliana.





  • Campobello di Mazara
    Matteo Messina Denaro. Leonardo Gulotta “Dopo l’assoluzione ho pianto”
    L'uomo è stato assolto dal Gup di Palermo
    Redazione20 Gennaio 2025 - Cronaca
  • Leonardo Gulotta, 32 anni, di Campobello di Mazara Cronaca

    Campobello di Mazara – Dopo l’assoluzione per non aver commesso il fatto, quel che è successo a Leonardo Gulotta, 32 anni, di Campobello di Mazara, il suo legale Mariella Gulotta lo definisce una “brutta coincidenza”. Il giovane è stato assolto dal gup di Palermo Marco Gaeta (l’accusa aveva chiesto 6 anni e 8 mesi) dopo una vicenda che l’ha visto coinvolto nel troncone d’inchiesta riguardante la latitanza di Matteo Messina Denaro. Il boss di Castelvetrano, nel 2014, al momento di stipulare il contratto d’assicurazione per una Fiat 500 che acquistò sotto il falso nome di Massimo Gentile, indicò il numero di telefono che solo successivamente, nel 2011, al compimento della maggiore età, fu acquisito da Leonardo Gulotta. Il numero fornito dal boss già nel 2007 risultava agli atti dell’assicurazione, legato al nome di Gentile, ma rispetto a quello dell’intestatario differiva di una cifra.

    Una cifra ha coinvolto l’allora giovane Gulotta

    E quella cifra sbagliata portava al nome di Leonardo Gulotta. Per la procura il giovane avrebbe così avuto un ruolo nella latitanza del boss. “Nel 2007 il mio assistito aveva 15 anni e non poteva avere una sim a suo nome – spiega il legale -. Il certificato d’attivazione con quel numero risale al 2011, quando compì 18 anni e questo l’ha prodotto la procura dopo l’interrogatorio di garanzia”.

    L’arresto assieme a Gentile e Leone

    Gulotta è stato arrestato dal Ros il 27 marzo 2024 per concorso esterno in associazione mafiosa. “In sede d’interrogatorio ho sempre dichiarato che non ho mai conosciuto Matteo Messina Denaro – spiega Leonardo Gulotta – ho lavorato per la famiglia Luppino (sono in carcere Giovanni e i figli Antonino e Vincenzo, ndr) con tre contratti stagionali nel 2019, 2022 e 2023, ma i rapporti sono stati sempre di natura lavorativa”.

    Il legale di Gulotta

    “Dalla visione degli atti abbiamo potuto accertare che un numero di telefono quasi uguale (differente per una sola cifra rispetto a quello del mio assistito), è stato in uso al boss latitante – spiega l’avvocato – e non è escluso che nel compilare la scheda per l’assicurazione, Messina Denaro abbia fornito erroneamente quel numero quasi coincidente”.

    Quel pianto liberatorio dopo l’assoluzione

    Gulotta è rimasto due mesi in carcere al Pagliarelli di Palermo: “Ho sempre ribadito la mia innocenza – dice -. Conoscevo, sì, Andrea Bonafede (classe ’63), l’ho sempre salutato e non ho mai avuto rapporti con la mafia. Durante la detenzione ho pianto e non mi sono mai dato pace per quello che stava succedendo. Quando il giudice ha pronunciato la formula d’assoluzione ho pianto pensando a tutte le persone che mi sono state vicine in questi momenti difficili che non auguro a nessuno”.




  • Campobello di Mazara
    Matteo Messina Denaro. Indagata per favoreggiamento aggravato una insegnante
    La donna è stata una delle amanti del boss ora deceduto
    Redazione17 Gennaio 2025 - Cronaca
  • professoressa indagata per aver aiutato il boss. Cronaca

    Campobello di Mazara – I magistrati della Procura di Palermo che si occupano da due anni delle indagini sui favoreggiatori di Matteo Messina Denaro ieri(come scrive oggi il quotidiano La Repubblica) hanno interrogato un’altra delle amanti del boss oggi deceduto. Si tratta di una insegnante di matematica di Campobello di Mazara, che insegna a Mazara, il cui nome ancora rimane segreto.

    La professoressa è stata sentita dai pm antimafia di Palermo come indagata

    È la stessa donna che un paio di giorni dopo l’arresto del capo mafia, si era presentata dai carabinieri per dire che con il boss aveva intrattenuto una relazione, ma l’uomo a lei aveva detto chiamarsi Francesco Salsi, medico in pensione. La professoressa è stata sentita dai pm antimafia di Palermo come indagata. E questo dopo le ulteriori indagini condotte dal Ros dei Carabinieri e dallo Sco della Polizia. «Diceva di chiamarsi Francesco Salsi — mise a verbale — e che era un medico anestesista in pensione». «Mai sospettato che si trattasse di Matteo Messina Denaro, sono sotto choc aveva detto allora».

    In silenzio davanti ai PM

    La donna, davanti ai pm stavolta è rimasta in silenzio, avvalendosi della facoltà di non rispondere. E’ indagata di favoreggiamento aggravato, secondo quanto accertato dagli investigatori attraverso la lettura di alcuni dei “pizzini” trovati nella casa di Campobello di Mazara, ultimo nascondiglio del latitante. Come è stato per Laura Bonafede, anche la professoressa non avrebbe avuto solo il ruolo di amante del boss. Ma avrebbe avuto ruolo di favoreggiamento, sapeva di chi era quell’uomo. Quando venne sentita da teste, cinque giorni dopo la cattura del latitante, la donna raccontò di averlo incontrato «in un momento di crisi personale e coniugale» e di averlo conosciuto in un supermercato di Campobello, vicino casa sua era stato lui a presentarsi e poi successivamente si erano scambiati il cellulare. Il mese successivo, la donna era già nell’appartamento di via Cb 31, il covo del superlatitante.

    I Pizzini.

    Per i pm, l’insegnante ora indagata nei “pizzini” viene indicata come “Sbrighisi” e “Handicap”, a tradirla anche alcuni particolari emersi nelle lettere al boss firmate da Laura Bonafede, che quindi sarebbe stata a conoscenza della frequentazione tra la professoressa e Messina Denaro. Anche la vivandiera Lorena Lanceri, pure lei condannata, sapeva della relazione e parlava dell’insegnante indicandola come « gatta morta».




  • Messina
    Barcellona Pozzo di Gotto: operazione antimafia di polizia e Dda, 15 le persone indagate [VIDEO]
    Sono 150 gli agenti che stanno operando nella zona
    Redazione14 Gennaio 2025 - Cronaca
  • Cronaca

    Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) – Dalle prime luci dell’alba, la Polizia di Messina, nell’ambito di una vasta operazione contro la criminalità organizzata barcellonese, è impegnata nell’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip presso il Tribunale di Messina, su richiesta della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, a carico di 15 soggetti ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, peculato, trasferimento fraudolento di valori, violazione della pubblica custodia di cose e sottrazione di cose sottoposte a sequestro.
    Per le operazioni di polizia giudiziaria – coordinate dalla Squadra Mobile della Questura di Messina e dal Commissariato di P.S. di Barcellona Pozzo di Gotto – sono impiegati circa 150 agenti della Polizia di Stato, tra cui personale delle Squadre Mobili di Palermo, Catania, Siracusa, Enna e Vibo Valentia; delle S.I.S.C.O. di Palermo, Catania e Messina; del Reparto Prevenzione Crimine “Sicilia Orientale”; del Reparto Cinofili della Questura di Vibo Valentia; dei Commissariati di P.S. della provincia di Messina.

    Alle 10.45, presso la Sala Riunioni della Caserma della Polizia di Stato “Nicola Calipari”, si terrà una conferenza stampa alla presenza del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Messina, Dott.Antonio D’Amato, del Direttore del Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine del Dipartimento della P.S., Dott. Vincenzo Nicolì, e del Questore di Messina, Dott. Annino Gargano.





  • Salemi
    Mafia e politica. Quando Toscani fece scoppiare il “caso Salemi” e raccontò ai giudici il “patto del tovagliolo”
    Il fotografo fu a Salemi assessore del sindaco Vittorio Sgarbi. Oliviero Toscani, aveva la delega alla Creatività, alla Comunicazione e ai Diritti umani. Poi la rottura quando scoprì che dietro le quinte governava ancora il discusso politico Pino Giammarinaro
    Rino Giacalone13 Gennaio 2025 - Cronaca
  • Cronaca

    Trapani – Pubblichiamo l’articolo comparso il 14 Maggio 2013 su “Il Fatto Quotidiano”.
    La sua denuncia fece scoppiare il “caso Salemi”.

    Oliviero Toscani il fotografo famoso nel mondo per i suoi scatti aveva seguito nel 2008 Vittorio Sgarbi nell’avventura politica in Sicilia dove il critico d’arte era stato eletto senza fatica sindaco della città trapanese. Dietro Sgarbi (che proprio oggi ha accettato l’incarico di assessore alla Cultura a Ragusa) grande promoter un ex deputato della Dc, Pino Giammarinaro, uno degli andreottiani di Sicilia, che volle Sgarbi candidato. Lo fece eleggere sindaco a furor di popolo. Ma contro Giammarinaro puntò il dito Oliviero Toscani, indicandolo come uomo della mafia. L’esperienza amministrativa si concluse con lo scioglimento per inquinamento mafioso dell’amministrazione Sgarbi. Giammarinaro uscito assolto da un processo per mafia si è ritrovato sorvegliato speciale e adesso destinatario di un provvedimento di sequestro di beni per 30 milioni di euro.
    Oggi Toscani è stato sentito dai giudici del Tribunale delle misure di prevenzione di Trapani che stanno decidendo le sorti di Giammarinaro e del suo patrimonio. Citato dalla difesa, la sua deposizione è stata una spina al fianco dell’imputato Giammarinaro. Nessun passo indietro. Tutt’altro. “Qui a Salemi la mafia c’è come in qualsiasi parte d’Italia – ha detto Toscani – solo che qui più di altrove è come la colla che tutto cattura, c’è un sistema impregnato di questa colla”. Tra tanti “patti” che nel tempo hanno segnato la storia d’Italia e della Sicilia, a Salemi ci fu il “patto del tovagliolo”, proprio così, un “contratto” che Toscani ha ricordato fu scritto al tavolo di un ristorante su un tovagliolo di carta, firmato da lui e da Sgarbi. “Gli avevo chiesto di staccarsi da Giammarinaro e lui aveva promesso di farlo, firmando quell’accordo che io volli scrivere subito, salvo poi te giorni dopo scordarsene”.
    “Ricordo – ha proseguito Toscani – di una riunione di Giunta dove al solito c’era presente Giammarinaro, lo affrontai e gli dissi di andare via. Io lo chiamavo Giamburattinaio, lui reagì quasi mettendosi a piangere, e Sgarbi lo inseguì fuori dalla stanza per consolarlo… ero assessore a Salemi e il mio nemico era il paese di Salemi… pensavo di potere fare un lavoro eccellente e lo avevo cominciato con un gruppo di giovani, eravamo diventati una sorta di università, ma ci siamo dovuti fermare e oggi l’esperienza di Salemi la posso solo ricordare come un magnifico fallimento”.
    Oggi il rapporto con Vittorio Sgarbi, Toscani lo ha cancellato: “E’ impazzito per la sua vanità, a Milano aveva fatto un buon lavoro e per questa ragione una squadra lo aveva seguito a Salemi, ma qui fu altra cosa”, racconta il fotografo dopo l’udienza. Toscani alla fine non assolve nessuno, nemmeno i siciliani che la mafia la subiscono: “Colpa loro, non hanno diritto a essere tolleranti, qui chi sbaglia dice tre pater noster e un ave gloria e viene assolto, magari poi accade che chi come Franco Battiato dice una cosa giusta viene allontanato”. “Il mondo purtroppo ha imparato dalla Sicilia, quello che oggi accade a Milano, il sistema Formigoni, i processi a Berlusconi, è in Sicilia che hanno preso esempio…”.




  • Custonaci
    Colosimo: “Ricordiamo il sangue innocente di Giuseppe Di Matteo”
    Stamane il ricordo del piccolo nel corso di una cerimonia a Custonaci
    Redazione11 Gennaio 2025 - Cronaca
  • Cronaca

    Custonaci – La città di Custonaci stamane ha ricordato il piccolo Giuseppe Di Matteo.

    A Custonaci la memoria diventa impegno civile per le nuove generazioni. Anche quest’anno, si è tenuta terrà la manifestazione “Un Angelo al Galoppo”, per ricordare il piccolo Giuseppe Di Matteo barbaramente assassinato dalla mafia l’11 gennaio del 1996 all’età di 12 anni. La sua unica colpa era quella di essere il figlio di un collaboratore di giustizia. Nella villetta intitolata proprio al piccolo Di Matteo, che fu anche prigioniero nel corso del lungo sequestro, per circa due mesi, nella frazione di Purgatorio, è stata svelata un’installazione artistica,  realizzata da Martina Angelo, frutto di un progetto della democrazia partecipata, alla presenza degli studenti dell’Istituto Comprensivo “Lombardo Radice – Enrico Fermi” e delle autorità civili, religiose e militari.

    Un’opera artistica per non dimenticare l’orrore e la ferocia di Cosa nostra. Custonaci, questa mattina, ha ricordato il piccolo Giuseppe Di Matteo sciolto nell’acido nel 1996. Aveva 12 anni. La sua colpa? Quella di essere figlio di un collaboratore di giustizia. La mafia decretò la sua condanna a morte e lo fece nel modo più brutale.

    Questa mattina, nella villetta dove venne tenuto prigioniero il ragazzino dopo il sequestro, nella frazione di Purgatorio, è stata scoperta l’opera “Un angelo al galoppo”realizzata da Martina Angelo.

    Chiara Colosimo, presidente della commissione Antimafia. “Oggi ricordiamo il sangue di un innocente tra gli innocenti; quello di un bambino: Giuseppe Di Matteo. La sua storia è la fotografia della crudeltà della mafia.  L’efferatezza di un omicidio che incarna il male e scuote, giorno dopo giorno, le nostre coscienze”. Così sui social la presidente della commissione Antimafia, Chiara Colosimo, nel ricordo del bambino ucciso dalla mafia l’11 gennaio del 1996 a San Giuseppe Jato.




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