Sicilia – “Il turismo è il petrolio della Sicilia”. Lo ripetono da decenni, come se bastasse accendere l’interruttore e aspettare il flusso. In realtà, le cose sono più complesse.
Sì, il turismo ha portato visibilità, investimenti, vitalità. Ma anche squilibri profondi: affitti impazziti, quartieri svuotati di residenti, contratti stagionali da poche centinaia di euro.
E soprattutto: una generazione di giovani siciliani che lavora tanto, ma costruisce poco. Che fatica a progettare un futuro, figuriamoci a pensare alla pensione.
Nel cuore dell’isola o sulla costa, cambiano i panorami ma non le dinamiche. I ragazzi fanno la stagione in cucina, alla reception, come guide turistiche. Lavorano duro, imparano lingue, si adattano. Ma quasi sempre a tempo. Contratti brevi, contributi irrisori. E intanto, l’età pensionabile in Italia vola verso i 71 anni.
Con queste condizioni, chi oggi ha 25 o 30 anni – se va bene – andrà in pensione nel 2065. Forse. Sempre che abbia avuto la fortuna di lavorare abbastanza da maturare i requisiti minimi.
Palermo, Cefalù, Noto, San Vito Lo Capo, Scicli. Luoghi da cartolina che attirano il mondo. Ma anche territori dove trovare un pediatra o un treno puntuale è un’impresa.
Nei borghi interni, si restaurano chiese ma chiudono le scuole. Si finanziano B&B, ma mancano le librerie.
E i giovani? Costretti a scegliere: o fare la valigia per il Nord, o restare e barcamenarsi tra lavoretti, estati infinite e inverni vuoti. Una terra che chiede tanto e restituisce poco.
Molti dei grandi profitti del turismo in Sicilia vanno a operatori esterni, portali internazionali, investitori immobiliari. La ricchezza si concentra, i margini per chi vive sul posto si assottigliano.
Eppure, l’isola continua a finanziare promozione, eventi, bandi con fondi pubblici. Il turismo estrae valore dai territori, ma raramente lo reinveste nelle comunità.
Trasformare il turismo in un vero volano occupazionale non è utopia. Ma serve cambiare prospettiva. Non più turismo “per” i turisti, ma “con” chi abita i luoghi.
Solo così il turismo potrà essere una scelta dignitosa, non un ripiego. Una strada che porta lontano, e non un vicolo cieco.
I giovani siciliani non chiedono scorciatoie. Chiedono rispetto. Opportunità. Fiducia. E una visione che non li costringa a vivere di estati e sopravvivere agli inverni.
Perché chi lavora nel turismo oggi, tra turni infiniti e stipendi bassi, rischia di essere escluso domani da ogni forma di sicurezza.
E allora, che futuro è?
Forse la vera sfida della Sicilia non è aumentare i flussi turistici, ma dare un senso a ciò che resta quando i turisti vanno via. A cominciare dai giovani. A cominciare da qui.