Giornata Ambiente 2025: basta plastica, agiamo ora
Un grido globale contro l’inquinamento da plastica: scuole, cittadini e istituzioni uniti per salvare mari, territori e futuro
Redazione5 Giugno 2025 - Attualità



  • Persona raccoglie rifiuti di plastica su una spiaggia al tramonto, con guanti e sacchetto trasparente Attualità

    Mondo –  #BeatPlasticPollution. È più di un hashtag, è un grido che rimbalza da un capo all’altro del pianeta. E oggi, 5 giugno, in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, quel grido si fa ancora più forte. Si leva dalle aule delle scuole, dalle spiagge affollate, dai pescherecci, dai balconi delle città. “Basta plastica.” È un appello. O forse, ormai, un ultimatum.

    Quando il futuro ci chiede di agire. Ora.

    Non è solo una data sul calendario. È il giorno in cui – almeno per un attimo – dovremmo tutti fermarci e guardarci attorno. Perché l’inquinamento non è più una minaccia lontana. È già qui, sotto forma di frammenti trasparenti e insidiosi. Negli oceani, nei fiumi, nella sabbia. Persino nei nostri piatti.

    E il problema non è solo “quanto” plastica c’è in giro. È quanto poco ne sappiamo gestire.

    Ogni anno produciamo più di 400 milioni di tonnellate di plastica. Una cifra che non dice molto finché non la incroci con la realtà: un tappo tra le onde, una bottiglia mezza sepolta nella sabbia, un cotton fioc sulla battigia.

    Secondo ISPRA, l’80% dei rifiuti marini è plastica. E il nostro Mediterraneo, che per secoli è stato crocevia di vita e civiltà, oggi è diventato uno dei mari più inquinati del mondo. Un bacino chiuso, vulnerabile, che fatica a rigenerarsi.

    Il paradosso della comodità

    La verità è semplice e scomoda: ci siamo abituati troppo bene all’usa e getta. Una bottiglietta al volo, un sacchetto in più, un piatto di plastica per fare prima. Ma in natura, nulla si getta davvero. La plastica resta. E si sbriciola. E si insinua.

    Le colpe? Tante, e condivise: infrastrutture di raccolta carenti, filiere del riciclo zoppicanti, poca informazione e troppa distrazione. Eppure, continuiamo a comportarci come se il problema fosse di qualcun altro.

    Un’eredità invisibile, ma letale

    Nel frattempo, la plastica si spezza in micro e nanoplastiche. Minuscole, sfuggenti, ovunque. Nei pesci. Nei molluschi. Nell’acqua. Nel nostro sangue, probabilmente. E con lei, un’eredità tossica che stiamo lasciando ai nostri figli.

    Non è solo un problema ambientale. È economico, sanitario, culturale. Colpisce il turismo, la pesca, la credibilità di chi dice di amare il proprio territorio ma non lo protegge.

    E noi? Cosa possiamo fare, concretamente?

    C’è chi dice che i piccoli gesti non servano. Ma non è vero. Se milioni di persone smettono di usare la plastica monouso, l’effetto si vede. Se ogni scuola insegna a differenziare bene, se ogni comune attiva un servizio di raccolta efficace, se ogni azienda ripensa i suoi imballaggi, qualcosa cambia.

    La battaglia è culturale, prima ancora che tecnica. Serve una svolta: leggi iù coraggiose, educazione ambientale obbligatoria, controlli seri. Ma serve anche una nuova mentalità. Quella del riuso, della riparazione, del rispetto.

    Perché se è vero che il tempo stringe, è anche vero che non è ancora troppo tardi.





  • Altre Notizie
  • Altre Notizie di Mondo