Successe un 48! Il caos che nacque in Sicilia
Dal 1848 a oggi: l’origine siciliana di un modo di dire popolare
Trapani Oggi6 Aprile 2025 - Tradizioni



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    “È successo un 48!”: quante volte l’abbiamo sentito per descrivere una situazione fuori controllo? In Sicilia, si dice con tono ironico: “È successu un quarantottu”. Ma dietro questa espressione colorita c’è un evento storico ben preciso, che ha avuto inizio a Palermo il 12 gennaio 1848. Un’esplosione di rivoluzione, passione e voglia di cambiamento che ancora oggi vive nel nostro linguaggio quotidiano.

    La rivolta di Palermo: 12 gennaio 1848

    Tutto comincia nel cuore della Sicilia, a Palermo, proprio nel giorno del compleanno del re Ferdinando II di Borbone. La città si solleva contro il dominio borbonico: barricate nelle strade, scontri armati, un popolo in rivolta che in pochi giorni riesce a cacciare i Borbone. È l’inizio di un’esperienza straordinaria: il primo tentativo moderno della Sicilia di conquistare l’autonomia, con un proprio governo e una Costituzione indipendente.

    Trapani in prima linea

    Anche Trapani non rimase a guardare. Il 30 gennaio 1848, i cittadini trapanesi scesero in piazza, organizzando comitati rivoluzionari e unendosi idealmente – e fisicamente – alla lotta di Palermo. Alcuni raggiunsero la capitale per contribuire direttamente ai moti. Fu un periodo di intensa partecipazione popolare: si diffondeva la stampa clandestina, si discuteva di libertà, giustizia, futuro.

    Da rivoluzione a proverbio: “fare un quarantotto”

    La potenza simbolica di quei giorni ha lasciato il segno nella memoria collettiva. Il numero 48 è diventato sinonimo di disordine e tumulto, dando origine all’espressione “fare un 48”, ormai diffusa in tutta Italia. In Sicilia, il detto “è successu un quarantottu” resta ancora oggi un modo di dire comune, che evoca confusione ma anche la fierezza di un passato ribelle.

    Un’eredità che vive

    Il 1848 non fu solo un anno di caos: fu il primo vero respiro di libertà per la Sicilia moderna. Durò poco più di un anno, ma segnò profondamente la storia dell’isola. Un tentativo coraggioso di autogoverno che oggi rivive non solo nei libri di storia, ma anche nel modo in cui parliamo. Perché a volte, per capire un popolo, basta ascoltare le sue parole.




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