Almanacco
Il 5 dicembre arriva sempre con una luce diversa, più tranquilla, come se il giorno avesse imparato a respirare piano.
Nelle case siciliane questo era il momento dedicato all’acqua: non un rito solenne, ma un gesto umile, quotidiano, che parlava di pulizia, di preparazione, di una calma che scorre.
Le donne di casa iniziavano da cose piccole:
una tovaglia da sciacquare “pi fari beddu”,
le stoviglie buone da lucidare prima che arrivassero le feste,
la brocca colma d’acqua fresca messa sul tavolo,
quasi fosse un segno di accoglienza.
Non era solo ordine.
Era un modo di dire:
“Mi sto preparando, e voglio farlo con rispetto.”
Nelle campagne, le nonne lo ripetevano sempre con voce bassa:
«L’acqua pigghia ‘u vecchiu e lascia ‘u novu.»
E chi ascoltava sapeva che non era una frase qualsiasi:
era un consiglio per la vita.
Così, in questo giorno dell’Avvento, ci si lavava le mani più lentamente,
si pulivano gli oggetti con più cura,
si riordinavano i piccoli angoli di casa dove la polvere si posava senza chiedere permesso.
Ogni gesto era un modo per alleggerire il cuore, non la stanza.
In molte famiglie si riempiva la conca grande, quella di rame,
e si lasciava riposare l’acqua tutta la notte.
Le anziane dicevano che l’indomani fosse più chiara:
forse era vero,
forse era solo un modo per dare pace ai giorni che correvano.
Ma funzionava.
Perché l’acqua, per i siciliani, non è solo acqua:
è memoria,
è passaggio,
è promessa.
La quinta giornata dell’Avvento ricorda proprio questo:
prima ancora di preparare la casa,
bisogna lasciare che qualcosa dentro di noi si calmi,
scivoli via,
si rinnovi.
Il Natale non ha bisogno di rumore,
ha bisogno di spazio.
Domani, nella Sesta Giornata dell’Avvento, una tradizione legata alla soglia di casa ci ricorderà che ogni ingresso custodisce una piccola benedizione.