Il detto trapanese “A cu’ afferra un turco è so’” è un’espressione che, nel linguaggio moderno, significa che chi trova un oggetto può appropriarsene liberamente o, in senso più ampio, che ognuno è libero di fare ciò che vuole. Tuttavia, le origini storiche e il significato autentico di questo detto affondano le loro radici in un passato lontano, legato alla cultura marinara e agli eventi storici che segnarono Trapani nel XV e XVI secolo.
Nel contesto trapanese di quei secoli, il termine “turco” non indicava esclusivamente i cittadini dell’Impero Ottomano, ma era usato in senso dispregiativo per identificare tutti i popoli provenienti dall’Europa sudorientale, dal Medio Oriente e dal Nordafrica. La parola venne estesa anche a persone di carnagione scura, come i magrebini, a causa delle frequenti incursioni e del rapporto conflittuale con queste popolazioni.
Il contesto storico
Il detto nasce nel XVI secolo, un periodo in cui la pirateria imperversava nel Mediterraneo. All’epoca, molti stati europei rilasciavano ai comandanti delle navi una “patente di corsa”, un documento che autorizzava le navi a catturare i nemici considerati una minaccia, prendendoli prigionieri e riducendoli in schiavitù. I corsari erano quindi una sorta di pirati “legalizzati”, che dovevano però versare una tassa allo Stato sugli introiti ottenuti dalle loro attività.
Con l’aumento dei pericoli legati alla pirateria mediterranea, il viceré Colonna emanò una “prammatica” per incentivare la cattura dei pirati. Questo decreto esonerava i marinai trapanesi dal pagamento della tassa dovuta all’almirante (l’ammiraglio) per la cattura dei turchi. In altre parole, il ricavato della vendita degli schiavi catturati diventava **esentasse**, rendendo l’impresa più redditizia e incoraggiando le navi a correre i rischi della guerra di “Corsa”.
Il significato simbolico del detto
In questo contesto storico, il detto “A cu’ afferra un turco è so’” rifletteva una situazione molto concreta: chiunque riuscisse a catturare un “turco” (inteso come nemico) poteva considerarlo un proprio bottino, senza dover rendere conto alle autorità. Questo incentivo economico e giuridico rese l’attività corsara particolarmente attrattiva per i marinai dell’epoca.
Con il passare dei secoli, il detto perse il suo significato letterale legato alla pirateria e alla cattura dei nemici, trasformandosi in una metafora che celebra la libertà di appropriazione o di azione. Rimane, però, un’espressione carica di storia, che testimonia il ruolo di Trapani come crocevia di culture e teatro di conflitti nel Mediterraneo.
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