PoliticaCatania – In un post su Facebook intitolato “Servo suo” l’ex presidente della Commissione Antimafia regionale critica aspramente l’area politica che lo candidò solo pochi anni fa a Palazzo D’Orleans: «Ha partecipato al banchetto dell’ultima finanziaria spartendosi (con poche, lodevolissime eccezioni) cento milioni di euro per regalie ad amici & devoti»
Quali titoli morali ha in Sicilia questo centrosinistra per chiedere le dimissioni del governo Schifani? Ha partecipato al banchetto dell’ultima finanziaria spartendosi (con poche, lodevolissime eccezioni) cento milioni di euro per regalie ad amici & devoti, senza passare attraverso un solo bando di gara. Ha frequentato per anni assiduamente i cenacoli del consociativismo, ha partecipato alla distribuzione dei posti di sottogoverno – da parenti poveri, certo, dovendosi accontentare delle minuzzaglie – senza mai la decenza di indicare, per nome e cognome, i direttori e i dirigenti imposti da certa politica (tanto, poi a fare i nomi ci pensa la Procura).È stato questo centrosinistra a inaugurare il cursus honorum dell’assessore Sammartino, candidato di punta del PD prima di transumare nei partiti del centrodestra.
In questo partito militavano (e militano) i dirigenti politici che frequentavano le terrazze romane e nissene del gran capo dell’antimafia Antonello Montante. È stato Il PD a pretendere come candidata alla presidenza della Regione un ex assessore di Lombardo che se n’è coerentemente andata col centrodestra un quarto d’ora dopo essere stata sconfitta (e nessuno del gruppo dirigente, che mi risulti, ne ha pagato pegno). Dopo anni di opposizione di cartapesta, il centrosinistra adesso grida allo scandalo e chiede che il governatore vada a casa: ripeto, con quale legittimità morale?
Questo governo dovrebbe dimettersi, certo. Ma non perché glielo chiede codesta opposizione. Hanno titolo per chiederglielo quel 34 per cento di famiglie stabilmente sull’orlo della soglia di povertà, le centinaia di malati siciliani costretti a cercare cure e rimedi a mille chilometri da qui, le settemila piccole e medie aziende agricole assetate da una eterna carenza idrica nella regione con più dighe per abitante di tutto il creato. Dovrebbero chiederne le dimissioni i pendolari ostaggi di una viabilità da terzo mondo e di una rete di trasporti pubblici con tempi di percorrenza d’anteguerra, dovrebbero farsi sentire gli esuberi sociali delle 28 mila aziende chiuse in cinque anni. Loro, solo loro, hanno diritto ad alzare la voce.
Negli anni è stata praticata un’idea servile dell’opposizione, una postura mentale da partito degli eletti che vantavano una solo pretesa: essere invitati al gran ballo del maxiemendamento ad ogni capodanno. È agli atti che ogni denuncia politica si è alzata un istante dopo (mai un istante prima) che le magagne venissero smascherate dalla Procura di turno. E adesso, con millimetrica puntualità, il nome di Totò Cuffaro torma ad essere il lenzuolo lercio con cui l’opposizione cerca di nascondere le proprie miserie.
Certo, Cuffaro è un nome utile e rumoroso, evoca antiche malefatte e assolve d’incanto il centrosinistra dalla propria ignavia. Non a caso questa opposizione, la più silente nella storia siciliana, si è trasformata in pochi giorni in un carnevale di sdegnate dichiarazioni, ultimatum, furenti anatemi. L’antifascismo comodo di piazzale Loreto…
Questa vicenda giudiziaria ci consegna un’altra verità, forse perfino più grave dei fatti che vengono contestati: non è più il denaro il motore malato di questa politica. Non sono le mazzette trasmesse di mano in mano. È il potere in sé. Meglio: l’esercizio del potere che da solo si fa premio e ricompensa senza bisogno di tangenti, il potere di governare le carriere, decidere assetti pubblici e privati. Il potere di governare nell’ombra, che di tutte le forme di governo è quella più antica e meno nobile.
Ci viene quasi da rimpiangere i tempi in cui un politico milanese si disfaceva a Milano della mazzetta ricevuta buttandola nel cesso. Adesso il potere s’è fatto immateriale, si sublima nelle cartelline d’archivio dedicate ai propri protetti, nel gioco dell’oca delle nomine e delle carriere. E si gioca con fiches di plastica, non servono più denari veri.
Diceva qualche giorno fa l’ex ministro Provenzano che c’è bisogno di uno scatto d’orgoglio, di una svolta. Orgoglio, svolta: magari parliamo di questo invece di pensare che il rimedio siano le dimissioni di Schifani.


