Basket
Trapani, nello sport nazionale, è sempre stata una città laterale. Non per mancanza di passione, ma per distanza, per silenzi, per quella linea invisibile che spesso separa il Sud dal centro del racconto. Una città che ha imparato a non aspettarsi nulla, ma che non ha mai smesso di lavorare.
Il basket è stato il suo linguaggio più coerente. Non una moda, non un colpo di fortuna. Una costruzione lenta, cresciuta nel tempo, passata dal PalaDaidone, oggi PalaShark, e diventata identità condivisa. Qui non si è mai chiesto spettacolo: si è sempre chiesto rispetto.
La pallacanestro a Trapani non nasce oggi. Dal secondo dopoguerra in poi è stata scuola sportiva, educazione, comunità. La Pallacanestro Trapani ha attraversato anni difficili e campionati duri, restando però una piazza credibile, soprattutto in Serie A2.
Qui il basket non è mai stato un’illusione. È stato fatica quotidiana. Ed è così che si forma una città sportivamente adulta.
Con la gestione Antonini si è interrotto un ciclo di marginalità che durava da decenni. Trapani ha smesso di sentirsi periferia e ha iniziato a sentirsi presenza reale nello sport italiano.
L’imprenditore laziale ha investito, ha portato visibilità, ha acceso ambizione. Il palazzetto si è riempito, il Daidone è diventato PalaShark. Per una città del Sud spesso dimenticata, non è stato un dettaglio. È stato riscatto.
Non si trattava solo di vincere.
Si trattava di contare.
Oggi quella spinta si è incrinata. I fatti sono chiari: ritardi nei pagamenti, sanzioni federali, penalizzazioni in classifica, una gestione percepita come distante. Tutto questo ha prodotto incertezza e ha riaperto paure che Trapani conosce bene.
Qui non ci si ribella per una sconfitta. Qui si soffre quando il futuro torna opaco. Perché questa città sa cosa significa sparire dal radar dello sport nazionale.
E non vuole tornarci.
I tifosi granata hanno memoria lunga. Ricordano da dove si viene e quanto è costato arrivare fin qui. Per questo oggi non chiedono slogan, ma verità.
Il silenzio pesa più di una partita persa. Perché Trapani ha sempre saputo stringersi attorno alla squadra, se coinvolta. La paura è una sola: vedere disperso ciò che è stato costruito con anni di lavoro serio.
Il campo, che mette fine alle discussioni Ed è qui che ogni scetticismo cade.
Mentre fuori dal parquet tutto appare fragile, la squadra ha continuato a dare risposte.
Una squadra che, al netto delle penalizzazioni, oggi sarebbe stabilmente al vertice della massima serie italiana.
Questo non è un’opinione.
È ciò che dicono il campo, i risultati, il livello di gioco. Il resto è rumore.
La sconfitta che ha chiuso il cammino della fase in Basketball Champions League non cancella nulla. Trapani ha superato la fase a gironi, chiudendo terza, a pari punti con il Bursaspor, secondo, restando fuori solo per una minima differenza canestri.
Un terzo posto europeo, a pari punti con la seconda, è un dato tecnico. Oggettivo. Che certifica il valore reale di questa squadra.
Trapani può stare lì.
Ci è già stata.
A Trapani il basket non è intrattenimento. È possibilità concreta di riscatto. È la dimostrazione che anche una città del Sud, se messa nelle condizioni giuste, può costruire qualcosa di serio, credibile, competitivo.
Per questo il momento attuale non è una semplice crisi sportiva. È un passaggio decisivo. Perché tornare indietro significherebbe tornare a quel silenzio che Trapani conosce fin troppo bene.
La città ha fatto la sua parte.
Il campo ha parlato.
Ora servono solo continuità, chiarezza e rispetto.
Tutto il resto non conta.