Trapani – di Rino Giacalone – Dai social alla piazza. Questo quello che è accaduto stamattina nello slargo tra la Piazza Municipio e la Piazza Vittorio Veneto. La protesta contro il sindaco Tranchida agitata dall’imprenditore Valerio Antonini nella sostanza ha fatto materializzare il popolo dei social, quelli che seguono le dirette su X, mettono i like e i mi piace su Facebook, molti quelli che nelle giornate di sport si possono vedere sugli spalti dello stadio o del Palazzetto dello Sport.
C’è da scommettere che adesso partirà la polemica sui numeri, sulle presenze, ci affidiamo alle parole dell’organizzatore, Antonini ha stimato in 2 mila le presenze, dato immediatamente diffuso dalla propria tv. “Dovemo fa a fidasse?”. “E io mi fido”. Erano i tempi del Papa Re, e questa è la ricostruzione cinematografica del brillante colloquio tra Manfredi (Pasquino) e Tognazzi (il Vescovo che tagliava le teste ai carbonari).
Qualcuno si dibatterà sui numeri, dirà erano meno dei 2 mila dichiarati o non erano i 5 mila che Antonini aveva promesso, ma il tema per noi non è questo. E’ altro.
Ci fu un comico che un giorno divenne politico e fondò un movimento politico. Travolse il Paese, poi è finita maluccio. Parlò alla “pancia” dell’Italia, non inventò nulla, i problemi erano, e sono, veri e seri: la corruzione, la malapolitica, il Governo che operava per fini personali, ebbe successo. Ma oggi, dopo gli anni del “vaffa…” di Beppe Grillo, la realtà non è diversa, è peggiorata.
La ragione? Semplice, una sola e soltanto una, il venir meno della politica, del confronto politico, la presenza sulla scena di leader inventati o inventatisi a tavolino, senza passare da congressi, quelli che ci spacciano per tali sono assemblee disegnate sotto attente regie. I Governi fatti da fratelli, sorelle, amici e parenti, primarie taroccate, la legalità calpestata.
Non ce ne voglia il presidente Antonini, ma oggi questa scena non è cambiata, è così anche da queste latitudini, ma può cambiare, se si ritorna alla politica. Appello questo che non rivolgiamo solo lui e al suo movimento ma che tocca anche la parte avversa.
La storia di Trapani degli ultimi 40 anni pochi hanno la voglia di leggerla. Come si dice in dialetto, a tanti non “appatta”. Eppure è scritta. In decine di sentenze. Ci furono gli anni in cui si pagavano fior fiori di professionisti per disegnare progetti mai finanziati, ci furono gli anni in cui la massoneria gestiva un bilancio parallelo mentre c’erano sindaci che negavano l’esistenza della mafia, poi la stagione del grande evento che fece lustrare la città per due settimane per poi tutto tornare al buio, c’era anche chi pensava di essere più podestà che sindaco, e un prefetto che voleva far rispettare le leggi venne cacciato via dal Governo azione che aveva come mandante il capo mafia di turno.
La magistratura e la Polizia operavano, scoperchiavano vasi di pandora, mafia, politica e impresa, venivano trovati latitanti nascosti nelle fattorie, nelle aziende di imprenditori e proprietari terrieri, vennero ascoltati politici che parlavano con i mafiosi, e nel mentre tanti epigoni dicevano che erano tutte balle. Mentre politici, imprenditori e dodici dirigenti di uffici tecnici venivano arrestati con le mazzette tra le mani. Quelli che dovevano aggiustare le città, se le stavano mangiando. Oggi la gente protesta ma nessuno, tra quelli che la aizzano, penso a certi personaggi cosiddetti “istituzionali”, fa mea culpa. Anzi c’è chi prova a salire sul carro del patron, pensando a rimettere indietro gli orologi della storia.
Le urla di oggi hanno coperto certe inadempienze. Non di pochi, ma di tanti. Ed allora? Se si è capaci bisogna rimettere ordine al dialogo, riscoprire le differenze ideologiche, combattere i trasversalismi, non possono avere diritto di parola coloro i quali hanno attraversato tutti i partiti dell’arco costituzionale e oggi si presentano come tanti verginelli. Quale diritto di parola può essere dato a chi fino a ieri sembrava essere quel soldato giapponese che da solo combatteva la guerra, oramai finita, conclusa, contro gli avversari, e che d’improvviso scopre tutti i mali del mondo…della città.
Oggi in piazza abbiamo visto un rituale che ha solo generato piacere e soddisfazione. Ma era solo rabbia, indignazione, incapace di trasformare la società. L’elenco dei problemi è vero e infinito, ma resterà tale senza un percorso dove i gruppi dirigenti, le correnti e gli iscritti siano messi a confronto con le persone, l’associazionismo, i sindacati, le esperienze di cittadinanza attiva, gli intellettuali, le realtà di autogestione, i movimenti per i diritti, i lavoratori e le lavoratrici in sciopero o in cassa integrazione, gli esperimenti di innovazione sociale radicale nei territori. Come risultato minimo si potrebbe così arrivare a una più chiara comprensione delle differenze tra interessi, visioni e prospettive contro ogni insignificante vuoto.
Ecco perché la piazza che urla non ci piace. Serve altro, non è utile il dileggio altrui, serve tirare fuori il confronto anche quello più aspro, duro, ma serio fatto di parole serie. Non il baccano. I servizi che non funzionano ci sono, non si risponde dicendo che c’è strumentalizzazione. Ci può essere la denuncia strumentale, ma intanto si metta mano al bilancio e si faccia qualcosa. Ci lamentiamo per l’acqua che manca, e allora quando qualcuno ci porta l’autobotte riempita con l’acqua dei pozzi privati, chiediamo la ricevuta regolare non un foglio di quaderno appena scritto. O magari chiamiamo l’ufficio comunale e compriamo l’acqua dal cisternone pubblico. Se non risponde nessuno denunciamo, ma quell’acqua almeno è potabile e costa forse anche meno di quella privata.
In altre occasioni, tempo addietro, la stessa piazza si riempì di manifestanti, sindaco non era l’attuale ma un altro, era rincarata la tassa della Tari, venne mobilitata la tifoseria, si quelli della “curva”. Anche allora tante urla, e ci fu chi fece saltare il momento elettorale, che ci fu da lì a poco, come un bambino prese e si portò via il pallone, impedendo agli altri di giocare. Adesso nel sottobosco della politica ci dicono che si agiti anche lui pensando a tornare a giocare, per vincere. Ma il pallone in mano non ce l’ha più lui, e lo scherzetto potrebbe ripetersi.
Torniamo alla politica. Non ci sono problemi che possono essere risolti per magia, ma stando con i piedi per terra. Ecco trasferiamo a chi ci legge queste nostre considerazioni, che possono essere anche trasformate in domande. E’ il nostro mestiere, e quello di tanti altri giornalisti, fare domande, anche scomode, ma per raccogliere risposte, non schiamazzi.
Al presidente Antonini una domanda la facciamo. Ma se non fosse esplosa la questione convenzione per il Pala Shark, avrebbe mai tolto la coperta a tante di quelle verità, disservizi pubblici, errori amministrativi, ordinanze mal fatte, questi cahier de doleances che adesso agitano la piazza?
E al sindaco Tranchida. Che ne pensa di fare una Giunta di professionisti, anche schierati, non per forza i cosiddetti tecnici, per programmare un biennio di fine mandato coerente con il suo slogan elettorale, “per fare di Trapani una grande città”?