CronacaTrapani – All’alba del 5 novembre 1976 Trapani si svegliò sotto un cielo nero e una pioggia che non voleva smettere. In poche ore cadde la quantità d’acqua di un mese intero. Le strade si trasformarono in fiumi, le piazze in laghi, i sottopassi in trappole. L’acqua ruppe gli argini e travolse tutto: case, negozi, automobili. Sedici persone persero la vita, decine rimasero ferite, centinaia furono costrette a lasciare le proprie abitazioni. La città rimase isolata, mentre i soccorsi lavoravano senza sosta per giorni.
Quell’autunno era stato tra i più piovosi del secolo. I canali di scolo, vecchi e mai puliti a dovere, non riuscirono a contenere la piena. Le zone più colpite furono quelle tra via Fardella, piazza Martiri d’Ungheria, via Orti e l’area dell’ex lago Cepeo. Trapani scoprì allora la propria fragilità: una città costruita su terreni di antichi canali, dove la pioggia trova ancora oggi la memoria dei corsi d’acqua perduti.
Chi c’era ricorda il silenzio dopo la tempesta, il rumore dei secchi, le mani sporche di fango. Gli studenti, le scuole furono chiuse, aiutarono a liberare le strade. In quelle giornate la città seppe reagire unita, mostrando un senso di comunità che resta un tratto profondo dell’identità trapanese. Negli archivi fotografici del web, e in particolare in quelli di TrapaniNostra, le immagini dell’alluvione testimoniano ancora oggi la forza e la dignità di una città che seppe rialzarsi.
Da quella tragedia nacquero nuovi piani di sicurezza, opere di drenaggio, monitoraggi meteo e sistemi d’allerta. A quasi cinquant’anni di distanza, il 5 novembre 1976 resta una data scolpita nella memoria collettiva: il giorno in cui Trapani imparò a difendersi dall’acqua e a non dimenticare.