Palermo – La sanità siciliana ancora al centro di un ennesimo terremoto giudiziario. La procura di Palermo che ha coordinato le indagini effettuate dalla Guardia di Finanza avrebbe scoperchiato un collaudato sistema di corruzione.
L’ordinanza applicativa di misure cautelari personali (arresti domiciliari, interdittive, obbligo di dimora o di presentazione alla polizia giudiziaria) emessa dal G.I.P. presso il Tribunale del capoluogo ha raggiunto 10 soggetti, indagati a vario titolo per i reati di: corruzione, turbata libertà degli incanti, turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente, emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
Le indagini – condotte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria – hanno consentito di far luce su casi di “malaffare connessi all’indizione e alla gestione di gare d’appalto del valore complessivo di oltre 130 milioni di euro varate da alcune tra le principali strutture sanitarie in ambito regionale. Il complesso degli elementi raccolti, ha evidenziato il coinvolgimento, nelle trame illecite ricostruite, di manager pubblici, imprenditori, professionisti e faccendieri; d’intesa, avrebbero agito in modo da orientare le procedure di gara in favore di determinate aziende.
Ecco come operavano gli indagati. Ad esempio con l’anticipazione ai referenti delle imprese da avvantaggiare di documentazione secretata relativa a gare ancora da bandire ed ancora, la “costruzione” di capitolati ad hoc sulla base delle indicazioni ricevute dagli stessi interlocutori, fino ad arrivare all’annullamento dei bandi laddove non graditi alle medesime imprese. Dalle investigazioni sono emerse anche manovre volte a indirizzare la formazione delle commissioni giudicatrici, inserendo componenti ritenuti di maggiore affidamento. In cambio ai pubblici ufficiali sarebbero state date o promesse tangenti di rilevante importo collegate al valore delle commesse e, talvolta, mascherate da accordi di consulenza, nonché sarebbero state prospettate altre utilità, anche sotto forma di assunzioni di prossimi familiari.
Figura chiave, è quella di un noto commercialista palermitano, Antonio Maria Sciacchitano – finito ai domiciliari – che, forte di una fitta rete di relazioni e del potere d’influenza derivante da importanti incarichi fiduciari istituzionali ricoperti nell’ambito della pubblica amministrazione e di strutture ospedaliere, avrebbe operato quale anello di congiunzione tra le due dimensioni pubblico/privato. Componente del collegio sindacale dell’ospedale Civico e dell’Asp di Palermo, consulente dell’Asp di Caltanissetta per le problematiche contabili, presidente di valutazione dei manager della sanità pubblica. Presso il suo studio, nelle settimane scorse, nel corso di una perquisizione, sono stati trovati 44 mila euro in contanti mentre altri 3mila euro li aveva addosso.
Poi ci sono l’imprenditore: Giovanni Cino, vicinissimo a Sciacchitano, e il faccendiere campano Catello Cacace. A Sciacchitano e Cacace il gip ha dato i domiciliari. Cino ha l’obbligo di dimora.
Secondo gli inquirenti, le gare sarebbero state gestite illecitamente da una struttura piramidale che al suo apice vedeva proprio Sciacchitano, per l’accusa” in grado di coagulare intorno a sé faccendieri, funzionari pubblici e imprenditori scelti perché in grado di assicurare la miglior sintesi possibile fra istanze dell’imprenditoria e velleità di carrierismo e arricchimento illecito di pubblici dipendenti infedeli”. Sciacchitano era affiancato da Giovanni Cino e Catello Cacace che lo aiutavano nella cura delle relazioni create e alimentate con i funzionari pubblici e sul versante delle imprese, “per strutturare intese fra aziende in grado di creare realtà economiche tanto solide da poter partecipare ai bandi garantendo la credibilità e i requisiti economico-patrimoniali necessari”, dicono gli inquirenti.
Per i magistrati un illecito comitato d’affari e influenze, vicino anche alla politica, per accaparrarsi i fondi della sanità siciliana, “affetta – è scritto nell’ordinanza – da una corruzione sistemica”.