Venezia – Alberto Trentini, cooperante italiano, si trova attualmente detenuto nel carcere El Rodeo I, situato nella località di Guatire, a circa 30 chilometri dalla capitale venezuelana Caracas. La notizia, riportata dall’Ansa e confermata da fonti locali, ha sollevato preoccupazioni sia tra i familiari che tra le organizzazioni per i diritti umani.
Le circostanze dell’arresto di Trentini restano ancora poco chiare. Al momento, non è stato reso noto alcun motivo ufficiale per la sua detenzione, e le informazioni disponibili sono frammentarie. Questo stato di incertezza alimenta timori sulle condizioni in cui si trova e sulla tutela dei suoi diritti fondamentali.
Il carcere El Rodeo I è tristemente noto per il sovraffollamento e le condizioni di vita estremamente difficili. Negli anni, la struttura è stata teatro di rivolte e violenze, rendendola una delle prigioni più temute del Paese. La situazione solleva serie preoccupazioni per la sicurezza e il benessere di Trentini.
Il Ministero degli Esteri italiano ha già avviato contatti con le autorità venezuelane per ottenere chiarimenti sulla vicenda e assicurarsi che Trentini riceva l’assistenza necessaria. La Farnesina sta monitorando con attenzione l’evolversi della situazione, anche se al momento non sono state rilasciate dichiarazioni ufficiali sul caso.
Intanto, cresce l’attenzione della comunità internazionale su questa detenzione, con diverse organizzazioni per i diritti umani che chiedono maggiore trasparenza e rispetto delle garanzie legali per il cooperante italiano. Ulteriori aggiornamenti sono attesi nelle prossime ore, mentre si cerca di fare luce sulle ragioni dietro il fermo e sulle condizioni di Trentini all’interno del carcere venezuelano.
Venezia – Sono passati più di cento giorni dalla scomparsa di Alberto Trentini, il cooperante veneziano della ong Humanity & Inclusion, arrestato in Venezuela e detenuto senza accuse formali. Per mantenere alta l’attenzione sulla sua vicenda, amici, colleghi e cittadini hanno lanciato un’iniziativa di digiuno a staffetta, che partirà dal 5 marzo e continuerà “fino a quando Alberto non potrà tornare a casa”.
L’evento è aperto a chiunque voglia aderire e prevede un digiuno di 24 ore, da svolgere in segno di vicinanza al cooperante. L’obiettivo è sensibilizzare l’opinione pubblica e fare pressione sulle autorità affinché si attivino per la sua liberazione. Le adesioni sono già centinaia e possono essere effettuate online tramite un modulo dedicato.
Parallelamente al digiuno, è stata lanciata la campagna “Alberto Wall of Hope”, un muro virtuale di speranza dove i partecipanti possono pubblicare un selfie con un cartello che ritrae l’immagine di Trentini e la scritta “Alberto Trentini libero”. L’iniziativa ha ottenuto un’adesione internazionale, coinvolgendo persone dall’Italia, Ecuador, Etiopia e altri paesi.
A supporto della mobilitazione è stata inoltre attivata una petizione su Change.org, che ha già superato 77.000 firme. L’obiettivo è sollecitare il governo italiano, l’Unione Europea e le Nazioni Unite a intervenire per ottenere il rilascio di Trentini.
Numerosi comuni italiani stanno partecipando alla campagna di sensibilizzazione attraverso l’affissione di striscioni sugli edifici municipali. A Venezia, città natale di Trentini, ma anche a Bologna e Bari, sono stati esposti banner con la scritta “Alberto Trentini libero”.
Il sindaco di Bari, Vito Leccese, ha dichiarato: “Il livello di preoccupazione aumenta ogni giorno che passa senza informazioni certe sul suo stato di salute e sulle ragioni della sua detenzione”. In segno di solidarietà, ha deciso di mantenere esposto uno striscione su Palazzo di Città fino alla liberazione di Alberto.
Gli organizzatori dell’iniziativa invitano tutti a partecipare: “Vi chiediamo di unirvi a noi per far sapere a tutti che Alberto non è solo”. Ogni gesto conta per fare pressione sulle istituzioni e accelerare il processo di rilascio.
Alberto Trentini, l’appello della madre: «Sono 100 giorni che non sentiamo la voce di nostro figlio. Abbiamo scritto alla premier Giorgia Meloni: se mi rispondesse, alleggerirebbe la mia ansia». La signora chiede un intervento più importante da parte delle istituzioni per liberare suo figlio, detenuto in Venezuela dal 15 novembre 2024
Sono 100 giorni che viviamo senza sentire la voce di Alberto. Un’eternità per noi e per lui. Il mio pensiero fisso, la mia preghiera costante è che Alberto esca dall’isolamento e che abbia la possibilità di telefonarci.
Se potessi sentirlo, gli direi che lo pensiamo costantemente, di resistere, di non mollare mai e di avere fiducia nel nostro impegno a riportarlo a casa. Gli racconterei della vicinanza e della solerzia commovente di amici vecchi e nuovi che si stanno adoperando per la sua liberazione. Abbiamo scritto anche alla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, per chiederle di percorrere tutte le strade domandando se necessario il contributo di istituzioni anche di altri Paesi per porre fine il prima possibile alla detenzione di nostro figlio. Aspetto fiduciosa una sua risposta: aiuterebbe ad alleggerire la mia ansia, e renderebbe l’attesa per il ritorno di Alberto più sopportabile nella speranza che anche che sia anche il più breve possibile.
Come ho scritto alla Presidente, ogni sera, quando appoggio la testa sul cuscino, le lacrime arrivano inevitabili. Durante il giorno coltivo la speranza di ricevere una chiamata, una rassicurazione. Ma la notte, mentre tutti dormono, io resto sveglia (perché il dramma che sto vivendo è così grande che non mi fa dormire) e cerco di parlargli, sottovoce. Poi prego. Anche se fuori è ancora buio, esco all’aria aperta guardo l’orizzonte sulla laguna e mando un saluto ad Alberto, sperando che in quel preciso istante anche lui stia pensando a noi. da quando sono diventata madre, ho sempre creduto che i figli, anche da adulti, restano nostre finché hanno bisogno di noi e ora Alberto ha bisogno di noi.
Giorgia Meloni è una madre. E lo sa. Comprendo la complessità della situazione, ma mi aspetto che il nostro paese prenda le decisioni urgenti e necessarie per riportare Alberto a casa nel più breve tempo possibile. Alberto è un cittadino italiano, un operatore umanitario che si trovava in Venezuela per svolgere con professionalità e dedizione il suo lavoro. Un’attività che, oltre a portare aiuto concreto, rappresenta uno degli strumenti più importanti nelle relazioni internazionali per costruire ponti di solidarietà e cooperazione tra i Paesi. Dopo questi 100 giorni, sono con il cuore in mano a chiedere a ciascuno di fare tutto il necessario, con la massima urgenza, affinché Alberto possa tornare a casa prima che questa esperienza segni irrimediabilmente la sua vita nel corpo, nella mente e nello spirito. Lui è il nostro unico figlio la nostra ragione di vita. Con speranza e fiducia.
Armanda Colusso Trentini
Venezia – Alberto Trentini, operatore umanitario italiano, è stato arrestato il 15 novembre 2024 in Venezuela mentre svolgeva il suo lavoro per una ONG internazionale. Da allora, è in isolamento totale, senza contatti con la famiglia, avvocati o rappresentanti consolari.
A quasi tre mesi dalla sua detenzione, le sue condizioni fisiche e mentali restano sconosciute, sollevando gravi preoccupazioni per la sua sicurezza. Le istituzioni italiane, europee e le Nazioni Unite sono chiamate ad agire con urgenza per ottenere il rilascio immediato di Alberto, garantendo l’accesso all’assistenza legale, consolare e medica, nonché il diritto di comunicare con i propri cari.
E’ notizia di oggi che Alberto Trentini, il cooperante italiano arrestato a Caracas il 15 novembre scorso, è vivo e detenuto in condizioni discrete in un carcere della capitale venezuelana. Un mese fa, il governo venezuelano ha inviato una prova della sua condizione, avviando un dialogo per il suo rimpatrio
La comunità internazionale deve ribadire l’importanza della protezione degli operatori umanitari, spesso esposti a rischi elevati nel loro impegno per il bene comune. Il caso di Alberto Trentini richiede un intervento deciso affinché possa tornare a casa al più presto. Visita la pagina facebook