In Italia e in tutta Europa cresce la rabbia dei consumatori contro l’aumento dei prezzi nei supermercati. Con il boicottaggio supermercati contro rincari, cittadini e associazioni cercano di contrastare un carovita che sta diventando insostenibile. Il fenomeno, partito spontaneamente dal basso, ha assunto dimensioni internazionali, coinvolgendo anche paesi come Svezia, Croazia, Bulgaria e Serbia.
Nel nostro Paese, la mobilitazione si è accesa sui social con l’hashtag #spesavuota, promuovendo giornate di “non acquisto” per mandare un segnale chiaro alla GDO. Anche a Trapani alcuni gruppi locali stanno rilanciando il boicottaggio come forma di pressione.
Secondo il Codacons, il paniere alimentare è aumentato del 15% in un anno, con picchi sul pane, la pasta e il latte.
A dar voce alla protesta anche Beppe Grillo, che sul suo blog ha rilanciato l’esempio svedese: “Migliaia di persone hanno deciso di boicottare i principali supermercati per un’intera settimana. È ora di dire basta anche in Italia”. (Fonte )
In Svezia, la campagna “Bojkotta vecka 12” (boicotta la settimana 12) ha portato migliaia di cittadini a non fare la spesa nei supermercati dal 24 al 30 marzo.
Il motivo? Un mercato dominato da poche catene che mantengono alti i prezzi nonostante l’inflazione in calo. (Fonte:)
Anche nei Balcani è partita un’ondata di boicottaggi nei supermercati: in Bulgaria, il calo delle vendite ha raggiunto il 30% durante la protesta. In Croazia, Bosnia e Serbia, i cittadini hanno aderito in massa per protestare contro l’aumento dei prezzi di base.
La parola d’ordine è sempre la stessa: prezzi giusti e trasparenza. (Fonte: )
Il successo dei boicottaggi riaccende il dibattito sul ruolo della grande distribuzione e sulle alternative locali come i gruppi di acquisto solidale (GAS), i mercati contadini e le cooperative.
Sempre più cittadini cercano soluzioni per svincolarsi da un sistema percepito come ingiusto e opaco.
Economia – Per anni considerate esempi virtuosi di società senza contante, Svezia e Norvegia sono oggi costrette a rivalutare il ruolo delle banconote. Il motivo? La crescente instabilità dei pagamenti digitali e il timore di restare senza accesso al proprio denaro in caso di emergenze. Il ritorno al denaro contante sta diventando un’esigenza concreta, perfino nei Paesi tecnologicamente più avanzati. Ecco cosa sta succedendo e perché riguarda tutti noi.
Pagare con un clic è comodo, ma oggi si rivela anche pericoloso. Attacchi informatici sempre più frequenti, blackout tecnologici e tensioni geopolitiche stanno mettendo in discussione la totale dipendenza dai sistemi digitali. Quando la rete si blocca, anche il nostro denaro diventa inaccessibile. E in quei momenti, nessuna app può sostituire una banconota.
Dopo anni di incentivi per eliminare il contante, i governi di Svezia e Norvegia stanno facendo marcia indietro. In Norvegia, lo Stato ha iniziato a multare gli esercenti che rifiutano pagamenti in contanti. In Svezia, addirittura, sono stati distribuiti opuscoli ufficiali che invitano i cittadini a tenere una riserva di denaro in casa, da usare in caso di blackout digitale. Il messaggio è chiaro: la società cashless è troppo fragile.
A differenza del denaro digitale, che può essere bloccato, tracciato o reso inaccessibile, il contante garantisce libertà e autonomia. È accettato ovunque, non dipende da connessioni internet o infrastrutture, e protegge i cittadini nei momenti di crisi. Le banconote sono, ancora oggi, l’unico vero strumento di pagamento universale.
La spinta verso la digitalizzazione totale è stata promossa da banche e colossi tecnologici, ma oggi si scontra con la realtà. I cittadini chiedono maggiore sicurezza e controllo sui propri soldi. E il contante diventa un simbolo di resistenza a un sistema troppo centralizzato e vulnerabile.
L’esperienza di Svezia e Norvegia dimostra che nessuna società, per quanto avanzata, può rinunciare del tutto al contante. Il futuro dei pagamenti sarà forse ibrido, ma una cosa è certa: eliminare le alternative espone a rischi reali. In un mondo instabile, avere più opzioni non è un lusso, ma una necessità.
La storia del fallimento cashless in Svezia e Norvegia ci riguarda da vicino. È tempo di chiederci: siamo davvero pronti a rinunciare alla nostra indipendenza economica?