Palermo -A 65 anni, torna completamente libero Giovanni Brusca, dal 2021 in libertà vigilata, una misura questa che gli imponeva una serie di obblighi e divieti. Ora Brusca non dovrà più presentarsi in caserma per i controlli così come aveva stabilito la Corte di Appello di Milano.
Il boss di San Giuseppe Jato, tra i fedelissimi di Totò Riina, Brusca è rimasto in carcere 25 anni, condannato a 30 era riuscito a godere dello sconto per buona condotta e nel 2021 era arrivata la scarcerazione per fine pena.
Giovanni Brusca, è colui il quale azionò il telecomando che innescò l’esplosione il 23 maggio del 1992 in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta.
Brusca scelse la strada della collaborazione con la giustizia, ammettendo, tra i tanti omicidi commessi, il suo ruolo nella strage di Capaci e nell’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo.
Un efferato omicidio quello del piccolo Giuseppe, compiuto dopo 779 giorni di prigionia. Il bambino venne strangolato e poi il suo corpo sciolto nell’acido. Il suo sequestro era stato ordinato per fare tacere il padre, il collaboratore di giustizia Santino Di Matteo. Giuseppe doveva ancora compiere tredici anni. “Ti portiamo da tuo padre”, dissero a Giuseppe, rapito in un maneggio il 23 novembre 1993.
Era l’11 gennaio 1996 quando Giuseppe morì. Allibertativi du cagnuleddu” (liberatevi del cagnolino), ordinò Brusca. Suo fratello Enzo Salvatore lo teneva per le braccia, Giuseppe Monticciolo per le gambe, Vincenzo Chiodo lo strangolò.
Fu uno dei tanti omicidi commessi e ordinati dal boss da Brusca che ora è tornato libero. Il boss interrogato dagli inquirenti disse di non ricordare il numero esatto delle persone uccise per sua mano o su suo ordine. “Molte più di cento, di sicuro meno di duecento”, affermò.
Palermo – “La mafia, come ogni fatto umano, ha avuto un inizio ed avrà anche una fine”: questo ripeteva Falcone, sollecitando coerenza e impegno educativo, spronando chiunque nella società a fare la propria parte insieme alle istituzioni, a ogni livello. La mafia ha subìto colpi pesantissimi, ma all’opera di sradicamento va data continuità, cogliendo le sue trasformazioni, i nuovi legami con attività economiche e finanziarie, le zone grigie che si formano dove l’impegno civico cede il passo all’indifferenza”.
Così il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del 33° anniversario della strage di Capaci, ricordando l’importanza di “tenere sempre alta la vigilanza, coinvolgendo le nuove generazioni nella responsabilità di costruire un futuro libero da costrizioni criminali”.
Ancora una volta, a fare da sfondo alle manifestazioni – quella “ufficiale” della Fondazione Falcone, presieduta dalla sorella del giudice, Maria Falcone, e quella “alternativa” organizzata da diverse associazioni – non mancano le polemiche tra due anime dell’antimafia che non si sono mai amate. Anime molto distanti che, nei giorni scorsi, si sono scambiate frecciate a distanza.
E se Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso il 19 luglio in via D’Amelio, parteciperà al corteo promosso da Cgil e associazioni come Libera e Next Gen, che si muoverà alle 15 da piazza Verdi, Maria Falcone accoglierà ministri e istituzioni al Museo del presente a Palazzo Jung, che sarà inaugurato domani in tutti i suoi spazi.
La lunga giornata di Palermo è cominciata alle 9, quando 200 studenti siciliani sono saliti sulla motovela “MareNostrum Dike”, partita da Napoli per il viaggio “Un mare di legalità”. L’imbarcazione, dal forte significato simbolico, veniva utilizzata dagli scafisti per la tratta dei migranti.
Alle 9.30 poi appuntamento al Museo del Presente presenti tra gli altri il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il ministro della Giustizia Carlo Nordio e quello della Cultura Alessandro Giuli, la presidente della commissione parlamentare Antimafia Chiara Colosimo, magistrati e autorità civili e militari.
Stamane le cerimonie sul luogo della strafe, alle 13.15 alla caserma Lungaro della Polizia verranno deposte corone di fiori in memoria delle vittime dell’attentato di Capaci.
Diverse le iniziative organizzate anche al Palazzo di giustizia dove si terrà la seconda edizione di Tribunale chiama scuola, evento promosso da Ordine degli avvocati, Associazione nazionale magistrati e Rete per la cultura antimafia nella scuola. Dalle 9 gli studenti di 59 scuole palermitane si sono alternati in letture e riflessioni, alle 11.30 in piazza della Memoria cerimonia con giudici avvocati, studenti universitari e delegazioni scolastiche.
Ancora in tribunale alle 15 si discuterà di “Strategie criminali e strumenti di contrasto”. Parteciperanno tra gli altri, Francesco Lo Voi , procuratore della Repubblica di Roma, Maurizio de Lucia, procuratore di Palermo e il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo.
Come ogni anno, alle 16 ci si ritroverà sotto l’Albero Falcone dove alle 16.45 si esibirà Giovanni Caccamo e alle17.00 interverrà di Maria Falcone.
Alle 17.30 l’ex magistrato Piero Grasso leggerà i nomi delle vittime delle stragi di Capaci e Via d’Amelio e alle 17:58, l’ora della strage, un trombettiere della Polizia di Stato suonerà il silenzio.
Diversi gli appuntamenti organizzati anche al Giardino della Memoria, un’area sottostante l’autostrada che fu teatro della strage, curato da Tina Montinaro, vedova del capo-scorta di Falcone. Centinaia di studenti verranno coinvolti in laboratori artistici e spettacoli. Prima che diventasse un metodo, il lavoro del pool antimafia di Palermo dovette fare i conti con gli scettici. Il gruppo messo su da Rocco Chinnici, ucciso nell’83, e poi guidato da Antonino Caponnetto fino all’88, venne persino additato di fare “turismo giudiziario”, che consisteva nel seguire da vicino le indagini, andare nei luoghi dove portavano gli elementi man mano acquisiti.
“Ci spostavamo ovunque – ricorda Giuseppe Di Lello, che del pool di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino fece parte insieme a Leonardo Guarnotta e al giovane Ignazio De Francisci -, contravvenendo alla prassi di delegare burocraticamente le indagini fuori da Palermo a giudici di altri distretti, che nulla sapevano delle nostre inchieste e che raramente potevano esserci d’aiuto. Questo nuovo modo di operare ha dato credibilità al pool e ha portato a notevoli risultati”.
Una “rivoluzione” che si sarebbe potuta fare anche prima, se la mafia non fosse stata considerata “un fenomeno oscuro – aggiunge Di Lello – e impenetrabile. Invece, siamo entrati nelle banche, che Cosa nostra riteneva dei santuari impenetrabili; nelle Camere di commercio, esaminando gli intrecci societari”. Quel gruppo di pionieri istruì il primo maxiprocesso che nell’86 portò alla sbarra 475 imputati. “Lo Stato ci diede una mano – spiega Di Lello – trasferendo a Palermo investigatori di primo livello, alcuni dei quali sacrificarono la loro vita. Il nostro lavoro fu preceduto dalle intuizioni di magistrati impareggiabili, come Cesare Terranova e Gaetano Costa”.
Nel novembre 1985 (in coincidenza con il deposito dell’ordinanza di rinvio a giudizio dei 475), all’ufficio istruzione arriva Ignazio De Francisci, che allora aveva 33 anni. De Francisci era legato all'”estroverso e gioviale” Paolo Borsellino, che un anno dopo andò a dirigere la procura di Marsala.
“Rimasi con Falcone – dice – che aveva un carattere diverso, era riservato, un po’ timido. Prudente e realista, da lui imparai moltissimo. Falcone e Borsellino si completavano perfettamente e quelli sono stati gli anni più importanti della mia ultraquarantennale carriera”.
Quando nell’89, in piena stagione dei veleni, Falcone passò alla procura (era appena entrato in vigore il nuovo Codice), De Francisci, su suggerimento dell’amico, lo seguì: “Arrivai nel febbraio ’91, un mese prima che Giovanni si trasferisse a Roma, nel pieno scontro tra lui e il procuratore Pietro Giammanco. Non sapevo molto dei loro dissidi, ma il clima era incandescente. Quando Falcone lasciò la procura, rimasi ‘ostaggio’ dei suoi nemici: non avevo alcuna intenzione di riposizionarmi sulla linea del capo”.
De Francisci ricorda il documento firmato da otto sostituti e inviato al Csm per chiedere la rimozione di Giammanco: “Questo episodio viene spesso ignorato, ma fu un momento importante. Il Consiglio superiore non decise alcun trasferimento, perché, dopo la strage di via D’Amelio, Giammanco chiese di andare in Cassazione”. De Francisci, da poco in pensione dopo l’incarico alla procura generale di Bologna, ricorda l’ultimo incontro con Borsellino: “Avvenne il giorno prima della sua morte. Era appena tornato da Roma e venne in procura, in anticamera ci accennò a quello che aveva appena saputo da Gaspare Mutolo e che avrebbe dovuto verbalizzare”. Non ci fu il tempo.
Castellammare del Golfo – Sarà intitolata a Boris Giuliano -il capo della Squadra mobile di Palermo ucciso da Cosa Nostra il 21 luglio del 1979- “Ad Astra” denominazione di una barca a vela di 12 metri cantiere Oceanis 390. L’iniziativa è della sezione di Castellammare del Golfo della Lega Navale.
L’imbarcazione è stata confiscata alla criminalità organizzata per traffico di migranti e affidata dallo Stato alla Lega Navale di Castellammare del Golfo che, giovedì 22 maggio alle ore 10, nel nuovo piazzale del porto di Castellammare del Golfo, ha previsto l’intitolazione dell’imbarcazione alla memoria dell’ispettore della polizia di Stato Boris Giuliano, ucciso a Palermo dalla mafia, nell’ambito del progetto “Mare di legalità” promosso dalla Presidenza nazionale.
All’intitolazione saranno presenti circa 200 studenti degli istituti comprensivi di Castellammare del Golfo ed Alcamo, e gli alunni dell’indirizzo Trasporti e logistica (ex Nautico) dell’istituto comprensivo “Piersanti Mattarella” di Castellammare del Golfo che, dopo l’inaugurazione, veleggeranno alla volta di Palermo per partecipare alla regata della legalità nella ricorrenza della strage di Capaci.
«Ad Astra andrà per mare in memoria di Boris Giuliano, facendo conoscere il suo esempio in favore della legalità soprattutto ai giovani, ai quali è rivolta l’iniziativa “Mare di Legalità”, con attività nautiche in favore di persone con disabilità o in condizione di disagio socio-economico, e più iniziative che portino alla consapevolezza delle nuove generazioni contro ogni forma di criminalità -afferma il presidente della Lega navale di Castellammare del Golfo, Giuseppe Stabile-. A bordo dell’imbarcazione saliranno studenti, soggetti fragili e chiunque voglia solcare il mare, testimoniando l’importanza della memoria e sensibilizzando alla cultura della legalità attraverso attività sportive e nautiche»
«Grazie a quanti collaborano ed hanno reso possibile l’importante esempio di riutilizzo, nell’interesse collettivo, di beni confiscati alla criminalità portato avanti dalla Lega navale di Castellammare del Golfo che collabora, da sempre, con associazioni che operano contro la violenza, nel campo della disabilità e dell’integrazione, con l’ufficio esecuzioni penali esterne e la formazione degli studenti. Tutte le nostre iniziative culturali, ambientali, sportive e didattiche, di educazione alla solidarietà ed alla legalità adesso -conclude il presidente della Lega navale di Castellammare del Golfo Giuseppe Stabile- potranno avere come guida l’esempio di Boris Giuliano».