Palermo – Il gup di Palermo ha condannato a 4 anni e 8 mesi e un anno di libertà vigilata Martina Gentile, figlia dell’insegnante Laura Bonafede, storica compagna di Matteo Messina Denaro. Gentile, ritenuta pedina fondamentale della rete di assistenza al latitante, era accusata di favoreggiamento e procurata inosservanza della pena.
Notizia in aggiornamento
Trapani – Si chiude con la condanna di Francesco Paolo Rallo, marito del sindaco di Erice, Daniela Toscano, il processo per atti persecutori nei confronti dell’imprenditore Riccardo Agliano e della moglie.
Rallo, è stato condannato a 8 mesi di reclusione e 1 anno di corsi per la riabilitazione per minacce e stalking nei confronti dell’imprenditore Agliano e della moglie, Maria Brigida Trombino. Il giudice ha disposto un risarcimento di 5.000 euro e il pagamento di 3.800 euro di spese legali.
“Trattandosi di una costola del procedimento principale che ha visto indagata la Sindaca e il di lei fratello, conclusosi con l’archiviazione da tutti i reati loro contestati- dice il legale – non può che sorprendere la sentenza emessa dal Tribunale di Trapani. Continuiamo ad avere fiducia nella magistratura e siamo certi che, una volta depositate le motivazioni, la Corte di Appello possa dare una lettura differente della vicenda riconoscendo l’assoluta estraneità del Sig. Francesco Rallo rispetto ai fatti a lui contestati”.
La vicenda risale al 2019 ed è legata al cosiddetto “caso parcheggi”. L’imprenditore Agliano aveva accusato il sindaco Toscano di aver favorito una ditta concorrente nell’aggiudicazione di un’area da adibire a parcheggio privato. L’accusa nei confronti del sindaco fu archiviata, ma il marito, Francesco Paolo Rallo, è stato accusato di aver minacciato Agliano e la moglie in diverse occasioni.
Le accuse nei confronti del marito di Daniela Toscano, Francesco Paolo Rallo, prendono quindi le mosse dal “caso parcheggi” e rappresentano uno stralcio dal procedimento principale. Rallo avrebbe ripetutamente minacciato Agliano e la consorte in almeno tre distinti episodi che sarebbero avvenuti nei pressi della scuola frequentata dai figli dell’imprenditore. “Te la faccio… o te la facciamo pagare” le parole che Rallo avrebbe rivolto ai coniugi Agliano. In una occasione, secondo l’accusa, Rallo avrebbe lasciato nell’auto di Agliano un foglio A4 recante la scritta “Sbirro” ed una croce.
Il Gip parlò addirittura di “banditismo da strada”.
Palermo – Al via domani (27 febbraio 2025), davanti alla seconda sezione della Corte d’assise d’appello di Palermo, il processo per l’omicidio di Maria Amatuzzo, 29 anni, palermitana uccisa a coltellate, nel pomeriggio del 24 dicembre 2022, nella sua abitazione di Marinella di Selinunte che fino a poco tempo prima aveva condiviso con il marito, Ernesto Favara, 65 anni, ex pescatore di Castelvetrano.
Per l’omicidio, lo scorso 22 luglio, Favara è stato condannato all’ergastolo dalla Corte d’assise di Trapani, presieduta da Enzo Agate, che ha escluso la sola aggravante dei “motivi abietti e futili», ma confermato la premeditazione. Il «fine pena mai» era stato invocato dal pm della Procura di Marsala Stefania Tredici. Prima della camera di consiglio, l’avvocato difensore Margherita Barraco aveva depositato una memoria con la quale chiedeva (senza successo) la derubricazione in omicidio preterintenzionale. Una tesi alquanto improbabile, considerando il numero (ben 28) di coltellate inferte alla giovane.
Palermo – Per ottenere o mantenere l’accreditamento le strutture radiologiche della Sicilia non dovranno cambiare attrezzature ogni 10 anni. Il Tar di Palermo infatti ha accolto il ricorso presentato dalle strutture radiologiche che si sono affidare agli avvocati Girolamo Rubino e Giuseppe Impiduglia.
L’Assessorato alla Salute della Regione Siciliana con decreto n. 20 del 9 gennaio 2024 aveva disposto che tutte le strutture radiologiche, sia piccole o di medie dimensioni, per conseguire o mantenere l’accreditamento dovevano utilizzare attrezzature che “rispettino un requisito di anzianità di esercizio non superiore a 10 anni, calcolato dalla data di primo collaudo”.
Questo standard temporale di fatto, introduceva un requisito fisso, applicabile a qualsiasi attrezzatura (sia essa a bassa, media, alta tecnologia), indipendentemente dal monitoraggio sulle caratteristiche delle apparecchiature, dalla concreta utilizzazione dei macchinari, senza effettuare alcuna valutazione tecnica sull’obsolescenza di ciascuna attrezzatura in relazione all’utilizzo cui è destinata all’interno della struttura e alla branca di riferimento.
Tale requisito ha creato però un grave pregiudizio nei confronti dei titolari di strutture radiologiche che si sono trovati di fronte alla possibilità di dover sostituire macchinari perfettamente funzionanti con attrezzature nuove. Attrezzature del genere, oltre ad essere non semplici da reperire, hanno un costo non indifferente per le strutture radiologiche, che di fronte ad una situazione del genere rischiavano non solo di non poter sostenere delle spese così onerose, ma di perdere l’accreditamento. A fronte di un tale obbligo, dunque, era in gioco la sopravvivenza delle strutture stesse.
Per queste ragioni diverse società titolari di strutture radiologiche accreditate e contrattualizzate, della Provincia di Agrigento e di altre Province della Sicilia, che da anni erogano prestazioni radiologiche per il SSR, hanno agito in giudizio con il patrocinio degli avvocati Girolamo Rubino e Giuseppe Impiduglia.
Con apposito ricorso proposto innanzi al TAR Palermo, i difensori hanno sostenuto che: “il requisito di anzianità, introdotto in assenza di qualsivoglia attività istruttoria volta a determinare l’effettiva obsolescenza delle attrezzature, fosse irragionevole, non proporzionato e non adeguato”.
Il TAR Sicilia Palermo, condividendo le tesi degli avv.ti Girolamo Rubino e Giuseppe Impiduglia, ha accolto il ricorso e annullato la previsione, evidenziando come dalla stessa documentazione versata in atti dall’Assessorato si evincesse che “l’anzianità delle apparecchiature, riferita alla “data di primo collaudo”, costituisce solo uno – per quanto importante – degli indicatori applicabili” echequalsiasi valutazione delle apparecchiature debba tener conto di innumerevoli fattori come il tempo di utilizzo, eventuali aggiornamenti eseguiti ed essere correlata ad una valutazione dell’efficacia, cioè sulla capacità dell’apparecchiatura in concreto a rendere le prestazioni cui è destinata, in relazione ai sistemi disponibili allo stato dell’arte.
Per effetto della sentenza le strutture radiologiche non saranno obbligate a sostituire le attrezzature che, pur avendo superato 10 anni di attività, risultano essere ancora perfettamente funzionanti.
Marsala – Il Tribunale, presidente Vito Marcello Saladino, accogliendo la tesi difensiva (avvocato Piero Marino) e condannando a dieci anni di carcere il ventenne di Petrosino, Vincenzo Piero Li Vigni per il “pestaggio” di un giovane disabile marsalese nei pressi di un distributore automatico di sigarette in contrada Terrenove, lungo la statale 115 per Mazara.
Furono lesioni personali gravi, non tentato omicidio.
Vincenzo Piero Li Vigni, nella notte tra il 14 e il 15 giugno, insieme ad un minore, per il quale ha proceduto la Procura dei minorenni di Palermo, aggredì con calci e pugni un 33enne, Davide Russo, scambiandolo per un presunto molestatore della sorella. Li Vigni è rinchiuso in carcere il 17 giugno 2023.
Tre i reati contestati: tentato omicidio, rapina aggravata impropria (per avere sottratto le chiavi dell’auto alla vittima) ed evasione dagli arresti domiciliari (all’epoca, infatti, l’imputato era ai domiciliari con l’accusa di avere esploso alcuni colpi d’arma da fuoco). Li Vigni, oltre che per lesioni gravi, è stato condannato anche per la rapina impropria e l’evasione dai domiciliari. Subito dopo il fatto, i carabinieri identificarono i due protagonisti del pestaggio grazie alle immagini di una telecamera di sorveglianza che riprese l’intera scena.
Calatanissetta – Il Tribunale di Caltanissetta ha condannato la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. a corrispondere una somma pari a 2.759.889,59 di euro, in favore di una società del nisseno che, all’epoca dell’instaurazione del giudizio operava nel settore delle pulizie industriali.
La condanna è stata pronunciata a risarcire i danni occorsi alla società a causa di un illegittimo protesto elevato ai danni della società, nel mese di settembre 2020, e relativo ad una cambiale di appena 2.600 euro, domiciliata presso la Filiale MPS di Caltanissetta che aveva provveduto a far protestare la società, nonostante alla data fissata per la scadenza della cambiale, la società correntista detenesse sul proprio conto corrente circa 200 mila euro.
L’ingiusto protesto aveva comportato la perdita, da parte della società nissena, di un appalto bandito dall’Asl di Napoli dal valore pari ad oltre centododici milioni di euro, di cui la stessa era già risultata aggiudicataria unitamente ad altra società, con cui aveva costituito un R.T.I.. A causa del protesto, quest’ultima non era riuscita ad ottenere il rilascio, da parte del ceto bancario ed assicurativo, di una fideiussione di considerevole valore, che era stata richiesta dalla stazione appaltante, a pena di decadenza dalla commessa. E così, la società nissena era stata estromessa dall’appalto che è integralmente rimasto in capo all’altra componente del R.T.I. in precedenza costituito.
Ritendo ingiusto il danno patito come conseguenza dell’illegittimo protesto, la società si è rivolta allo “Studio Legalit Avvocati Associati”, avvocati Giovanni Puntarello e Sabrina Causa, per ottenere il risarcimento del pregiudizio economico patito.
Secondo le tesi prospettate in giudizio dagli avv.ti Puntarello e Causa, “la levata del protesto in oggetto risultava imputabile alla summenzionata Banca, che, alla data di scadenza della cambiale, non aveva provveduto al relativo pagamento, pur essendo onerata a processarlo e ad eseguirlo direttamente. Un simile onere, sempre in base a quanto sostenuto dai detti legali, gravava sulla Banca, in quanto titolare di apposito mandato di pagamento, come comprovato tanto dalla domiciliazione della cambiale, quanto dalla circostanza che, sul conto corrente detenuto dalla società nissena presso la Filiale MPS di Caltanissetta, fosse presente una considerevole provvista”.
La tesi era stata poi sposata nella fase decisionale del giudizio, dalla curatela della liquidazione giudiziale della società in questione, in persona degli Avv.ti Francesco Costa e Fabio Giorgio che hanno aderito alle difese degli Avv.ti Giovanni Puntarello e Sabrina Causa, pienamente condivise anche dal Tribunale di Caltanissetta che, in considerazione di ciò, ha condannato MPS al pagamento di un risarcimento di quasi tre milioni di euro.
In particolare, il Tribunale di Caltanissetta ha condiviso l’intera prospettazione degli Avv.ti Puntarello e Causa, ritenendo di accordare il risarcimento dei danni patrimoniali subiti dalla società del nisseno, liquidati in una misura corrispondente al 5 per cento del valore dall’appalto in questione.
Messina – Dopo 4 anni di tribolazioni si chiude con una sentenza di assoluzione la vicenda giudiziaria che ha visto coinvolto un imprenditore del messinese.
L’uomo, aveva conosciuto su un social network una donna di origini sudamericane con la quale aveva avviato una relazione sentimentale dopo che la stessa si era trasferita in Italia con il figlio. Ad un certo punto però l’uomo decide di interrompere il rapporto, questa decisione però, scatenò la reazione della donna che lo denunciò per presunti ripetuti maltrattamenti e vessazioni, anche a sfondo sessuale e per lesioni personali e violenza privata.
Per questi fatti un imprenditore dei Nebrodi fu arrestato nel 2020 e posto ai domiciliari.
Ora l’uomo è stato assolto dalle accuse, perché il fatto non sussiste, con sentenza pronunciata dal Giudice del Tribunale di Patti Giovanna Ceccon.
Nel dibattimento il difensore dell’imputato, avvocato Massimiliano Fabio, ha delineato i contorni della vicenda evidenziando la contraddittorietà ed inattendibilità delle dichiarazioni della persona offesa e rappresentando come fosse invece l’uomo stesso a subire una “relazione tossica”, sottoposto alle mire della donna. Rispetto all’unico episodio riferito, quello della presunta aggressione, è stata quindi evidenziata l’assenza di riscontri e con testimonianze addirittura opposte alle dichiarazioni rese dalla parte offesa.
Fu l’uomo ad essere oggetto di aggressione dopo essere stato raggiunto dalla donna, tanto da aver egli stesso chiesto aiuto ad alcune persone presenti nelle vicinanze e sollecitato l’intervento dei Carabinieri.
A conclusione del processo, nel quale il pubblico ministero aveva chiesto la condanna a tre anni e sette mesi di reclusione, l’uomo è stato assolto perché il fatto non sussiste dall’imputazione relativa ai maltrattamenti mentre per le ipotesi di lesioni personali e violenza privata, è stato disposto il non luogo a procedere per remissione di querela.
«Possiamo ritenerci ampiamente soddisfatti perché il giudizio ha ristabilito la verità dei fatti e chiarito l’estraneità dell’imputato rispetto alle gravi contestazioni a lui mosse – sottolinea l’avvocato Massimiliano Fabio –. Accuse per le quali il mio assistito ha dovuto patire periodi di profondo turbamento che ne hanno condizionato la vita quotidiana e le molteplici attività imprenditoriali».
Trapani – Il Tribunale di Trapani ha condannato Atm Spa Trapani, la società di trasporto pubblico di cui il Comune è socio unico, per condotta antisindacale contro la Filt Cgil, la Faisa Cisal e l’Ugl di Trapani, disponendo il pagamento per Atm delle spese di lite che ammontano a 3 mila e 500 euro, oltre all’iva e alle spese generali.
Lo fanno sapere le tre sigle sindacali che aveva fatto ricorso ad Atm per la revoca unilaterale, degli accordi sindacali raggiunti nel 1990 e nel 1996, che riguardavano il riconoscimento di alcuni emolumenti economici per il personale, e per la mancata convocazione al tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto di secondo livello.
La revoca degli accordi degli anni novanta era avvenuta a seguito della proclamazione dello stato di agitazione indetto dalla Filt Cgil, dalla Faisa Cisal e dall’Ugl di Trapani. Una revoca, che il giudice ha definito “irrispettosa delle regole del corretto agere”.
“Tale atteggiamento – scrive il giudice del lavoro Mauro Petrusa del Tribunale di Trapani – lascia trasudare il messaggio che il datore di lavoro sia l’unico arbitro della sorte (anche economica) del personale, e che il ruolo dei sindacati sia sostanzialmente inutile, al punto che, pur quando costoro riescono a raggiungere un risultato (come avvenuto nel 1990 e nel 1996), la parola finale circa il mantenimento o meno del medesimo spetta comunque al datore di lavoro, il quale può agire in splendida autonomia senza alcun contraddittorio con le organizzazioni sindacali. La gravità di tale atteggiamento – si legge ancora nel decreto – è ulteriormente amplificata per il fatto che le sigle sindacali in questione sono firmatarie del contratto collettivo nazionale del lavoro, quindi, sul piano rappresentativo conservano una dignità che il datore di lavoro non deve poter intaccare”.
“Va detto – scrive il giudice Petrusa – che il comportamento del datore di lavoro che sceglie di intrattenere rapporti solo con i sindacati che non sollevano obiezioni avverso il suo operare, e decide di recidere il dialogo (senza apparente ragione) con quelli che, invece, ricorrono legittimamente, a strumenti di pressione, come l’indicazione di scioperi e proteste, rappresenta il perfetto paradigma della condotta antisindacale”.
La Filt Cgil, la Faisa Cisal e l’Ugl Trapani, difese rispettivamente dagli avvocati Ivano Samannà, Simona Mannina e Paolo Crapanzano, avevano ricorso dopo aver sollecitato, sin dal marzo del 2023, i rappresentanti dell’Atm e il sindaco di Trapani, che ha disatteso le richieste di incontro, alla riapertura delle trattative per il contratto di secondo livello che, al suo interno, conteneva anche l’espressa accettazione degli accordi del 1990 e del 1996.
“Lo scorso luglio – dicono i segretari provinciali della Filt Cgil Anselmo Gandolfo, della Faisa Cisal Rosario Gentile e dell’Ugl Mario Parrinello – la società ha revocato in maniera unilaterale i vecchi accordi economici per il personale, poi a settembre ha stipulato con altre organizzazioni sindacali il contratto di secondo livello, senza invitarci al tavolo delle trattative”.
“E’ difficile esultare – dicono i sindacalisti Gandolfo, Gentile e Parrinello – quando viene provato che un’azienda ha messo in atto un comportamento antisindacale, perché ciò presuppone un danno subito dalle lavoratrici e dai lavoratori. Esprimiamo – concludono
– soddisfazione per questa sentenza che certifica la serietà dei sindacati e le ragioni che ci hanno indotti ad avviare un ricorso il cui obiettivo era quello di far rispettare i diritti contrattuali dei dipendenti dell’Atm”.
Palermo – “Non è, infatti, di certo minimamente credibile che il latitante notoriamente più pericoloso e più ricercato d’Italia, abbia condiviso importantissimi segreti per Cosa nostra, ovvero non solo la sua collocazione ma anche i suoi spostamenti; le sue precarie condizioni di salute e le questioni di natura mafiosa sino a raccogliere il suo testamento ricevendo le direttive sul dopo con una persona non affiliata, solo perché ad essa legata affettivamente”.
E’ uno dei passaggi della motivazione della sentenza con cui il gup di Palermo ha condannato a 11 anni e 4 mesi, per associazione mafiosa, Laura Bonafede, la maestra di Campobello di Mazara, figlia del boss del paese, che per anni è stata sentimentalmente legata a Matteo Messina Denaro col quale ha avuto contatti fino a pochi giorni prima del suo arresto. Per il giudice è evidente come le condotte della donna non fossero “circoscritte e rivolte al singolo, ma – semmai – abbiano dato un contributo altamente qualificato, essenziale all’associazione mafiosa Cosa nostra in sé, in quanto servente un pericolosissimo capo e latitante”.
“Il contributo di Bonafede, infatti, non può in alcun modo rientrare (come ha richiesto la difesa) nel novero del favoreggiamento personale sia pure con l’aggravante mafiosa, – scrive – Trascendono il mero rapporto personale con Messina Denaro le condotte della maestra sono, dunque, più coerentemente riconducibili ad un apporto di carattere sistematico sorretto dalla piena consapevolezza del ruolo apicale rivestito dal boss nell’organizzazione mafiosa e della universalmente nota condizione di latitanza dello stesso, inevitabilmente funzionale all’attività illecita collettiva propria dell’associazione mafiosa”.
Sotto processo per favoreggiamento – la sentenza è attesa per marzo – c’è ora la figlia della Bonafede, Martina Gentile che il capomafia ha cresciuto come una figlia”. (Fonte Ansa)