Palermo – È successo tutto in una manciata di minuti, ma si è portato dietro mesi di silenzi, carte, responsabilità scaricate come sabbia tra le dita. Mercoledì 21 maggio, Ferdinando Croce ha detto basta. Di fronte alla Commissione Sanità dell’Assemblea Regionale Siciliana, ha lasciato la guida – già sospesa – dell’Asp di Trapani. La voce rotta, gli occhi bassi. «Mi dimetto da direttore generale», ha annunciato tra le lacrime, consegnando l’addio in una PEC già inviata.
Un’ora e mezza. Tanto è durato il suo intervento davanti alla VI Commissione. Non una semplice audizione, ma quasi un atto di difesa personale. Croce ha portato con sé documenti datati luglio 2024, scritti che raccontano di segnalazioni puntuali, inviate all’assessorato regionale alla Salute e alle Asp di tutta l’isola. Non una volta, ma più volte. Chiedeva aiuto, spiegava le difficoltà dell’anatomia patologica, proponeva concorsi, perfino l’uso di risorse esterne per smaltire l’arretrato. Risposte? Nessuna.
Tra i presenti in aula, Ismaele La Vardera, deputato e voce del movimento Controcorrente, ha preso la parola. Non è uno che le manda a dire, e anche stavolta non si è trattenuto: «Croce è stato un capro espiatorio. I veri responsabili stanno più in alto: l’assessorato alla Salute, Iacolino, Giovanna Volo. E oggi, anche il governo Schifani».
L’accusa è pesante. Ma La Vardera rilancia: «Pur non avendo mai condiviso la nomina di Croce – che ho sempre considerato un ripiego – oggi devo riconoscere che ha fatto il possibile. Nessuno lo ha ascoltato, nessuno ha agito. Tre mila referti istologici in ritardo e l’assessore Volo è rimasta immobile. Questo è il vero scandalo».
Il momento più duro arriva sul finale. La Vardera affonda il colpo, senza giri di parole: «Schifani dovrebbe chiedere scusa per quanto accaduto all’Asp di Trapani. Anzi, dovrebbe rimuovere Iacolino e poi dimettersi. È arrivato il momento che qualcuno si assuma le proprie responsabilità politiche».
Poi, la frase che sorprende tutti: «Non avrei mai pensato di dover solidarizzare con Ferdinando Croce. Ma oggi lo faccio. Perché è stato lasciato solo, e usato».
La vicenda era esplosa con la sospensione di Croce da parte della Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria, che aveva parlato di «oggettive responsabilità gestionali». Ma ora, con le dimissioni e i veleni che volano dall’aula dell’Ars, il “caso Trapani” si trasforma in una bomba politica.
Si attende a breve la nomina di un nuovo commissario. Nel frattempo, la sanità trapanese resta senza guida e con un’eredità pesante. Intanto, là fuori, ci sono pazienti che ancora aspettano risposte. Non solo dai laboratori, ma dalla politica.
Palermo – Il padrino di cosa nostra ha goduto di una sanità incredibilmente efficiente. Lo scrive il gip di Palermo nella motivazione della sentenza con cui ha condannato a 8 anni Cosimo Leone, tecnico radiologo accusato di favoreggiamento.
«L’intero percorso sanitario di Messina Denaro presso l’ospedale di Mazara del Vallo è stato connotato da straordinaria rapidità ed efficienza, non soltanto con riguardo alla tempistica del ricovero, ma anche alla effettuazione della tac, originariamente programmata per il 20 novembre, ma poi anticipata dapprima al 17 novembre e poi al giorno 10 novembre».
Tra la diagnosi di tumore al colon, malattia che poi lo ucciderà, fatta il 4 novembre del 2020, e il ricovero, passarono 10 giorni. E dal ricovero alla effettuazione della Tac, grazie al cambio di turno chiesto da Leone, solo un giorno. Il 13 novembre infine il boss venne operato all’ospedale di Mazara.
Oltre ad aiutarlo nell’accorciare i tempi sanitari, Leone – come risulta dai dati del traffico telefonico – fece avere al capomafia un telefono cellulare e una scheda telefonica ‘pulità per consentirgli di avere un canale di comunicazione verso l’esterno, «in un momento assai delicato, non solo per lo stato di salute del latitante, ma per l’intero assetto e per gli equilibri interni di ‘Cosa Nostra», scrive il gip.
Nello stesso processo è stato condannato a 10 ani anche l’architetto Massimo Gentile che avrebbe prestato la sua identità al latitante. L’accusa in aula fu sostenuta dal pm Gianluca De Leo.