C’era un’aria tiepida quella mattina del Primo Maggio del 1947, tra le colline di Piana degli Albanesi. L’erba, ancora bagnata di rugiada, sapeva di terra viva. Le famiglie erano uscite presto, a piedi, coi bambini sulle spalle, i fazzoletti rossi al collo, i tamburi artigianali legati alla vita. Come ogni anno, si ritrovavano a Portella della Ginestra per la festa dei lavoratori: non solo una ricorrenza, ma un grido condiviso per un futuro diverso, per avere finalmente un pezzo di terra da coltivare senza padroni.
Quel giorno però non portava solo canti e bandiere. Si sentì prima un tonfo, come un sasso che cade giù da una roccia. Poi un altro, e poi ancora. Ma non era pietra: erano fucili. Dalla montagna sopra il valico cominciarono a sparare.
Non un colpo, non due. Una raffica. Lunghissima. Invisibile e feroce.
Undici corpi caddero tra i garofani e le ginestre. Altri trenta furono feriti. Erano contadini, madri, ragazzini. Nessuno armato. Nessuno pericoloso. Solo persone che quel giorno volevano festeggiare il diritto di essere cittadini, non servi.
Fu Salvatore Giuliano, il bandito di Montelepre, a guidare l’agguato. Ma dietro di lui, ombre più dense: la mafia, i latifondisti, forse persino pezzi dello Stato. Tutti infastiditi da quella gente che chiedeva troppo: terra, pane, dignità.
È difficile raccontare Portella senza stringere i denti. Perché fu una strage, ma fu anche una dichiarazione di guerra. Non contro lo Stato, ma contro i sogni di una Sicilia nuova. Era il 1947, dopoguerra, democrazia appena nata, la sinistra aveva vinto le elezioni regionali. Ma quel successo popolare era diventato una minaccia per chi deteneva il potere con le armi, i ricatti e i legami occulti.
La memoria di Portella non è fatta di lapidi. È fatta di una voce che ancora oggi risuona tra le pietre del valico: “Terra! Terra! Terra!”. Come un’eco che non vuole spegnersi. Come se quei morti avessero ancora qualcosa da dire.
Chi cammina oggi in quel luogo sente qualcosa. Il silenzio pesa, ma racconta. Racconta che la libertà, quando si avvicina troppo, fa paura a chi non l’ha mai voluta.
Il 1° maggio 1947 a Portella della Ginestra, in Sicilia, la celebrazione della Festa dei Lavoratori si trasformò in un massacro. Contadini, donne e bambini si erano riuniti per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo alle elezioni regionali, ma furono colpiti a sangue freddo da un commando armato. Fu un attacco simbolico contro le rivendicazioni sociali e la democrazia appena nata. Un evento drammatico, ma troppo spesso dimenticato, che ha segnato profondamente la storia d’Italia.
Nel secondo dopoguerra, la Sicilia era attraversata da forti tensioni sociali. I contadini lottavano per ottenere la riforma agraria e la redistribuzione delle terre. Il movimento contadino, appoggiato dai sindacati e da partiti di sinistra, si scontrava con i latifondisti, la mafia e settori dello Stato interessati a mantenere l’ordine conservatore.
Alle elezioni regionali del 20 aprile 1947, la coalizione di sinistra “Blocco del Popolo” ottenne un grande successo. Portella della Ginestra, in provincia di Palermo, fu scelta per la festa del lavoro del Primo Maggio, come simbolo della resistenza contadina. Quel giorno, però, si consumò una tragedia.
Mentre sul palco si susseguivano i comizi sindacali, una raffica di colpi partì dalle colline. Il fuoco proveniva dal gruppo armato del bandito Salvatore Giuliano, legato a forze reazionarie e mafiose. Il bilancio fu tragico: 11 morti – tra cui bambini – e oltre 30 feriti. Il primo grande attentato politico della Repubblica italiana.
La versione ufficiale attribuì la responsabilità esclusiva a Giuliano, ma le inchieste parlamentari e le testimonianze successive ipotizzarono connivenze tra mafia, politica e apparati dello Stato. Il dibattito è ancora oggi aperto, così come il dolore di chi chiede verità e giustizia.
Nonostante la sua gravità, la strage di Portella è poco ricordata nei libri scolastici e nella narrazione nazionale. Ogni anno, il Primo Maggio, i sindacati e i movimenti popolari si ritrovano in quel luogo simbolico per non dimenticare.
Oggi, Portella della Ginestra è un luogo della memoria, con un monumento commemorativo che guarda la vallata. Le nuove generazioni vi si recano in pellegrinaggio civile, per comprendere il prezzo della libertà e dei diritti sociali.
La strage di Portella della Ginestra è un monito. Ricordare quel giorno significa difendere i valori della giustizia sociale, della memoria condivisa e della democrazia partecipata. Un impegno che riguarda tutti noi, oggi più che mai.