Castellammare del Golfo – Accolta dalla Corte di Appello di Caltanissetta la richiesta di revisione della condanna per associazione mafiosa nei confronti del castellammarese Vito Turriciano, disponendone l’immediata scarcerazione. Dopo tre processi e un lungo iter giudiziario, i giudici hanno stabilito che “il fatto non sussiste”, scagionando definitivamente l’ex imputato.
Turriciano, era stato condannato nel 2016 dal Tribunale di Palermo a 12 anni di reclusione per associazione mafiosa e due tentate estorsioni, ritenute parte di un presunto tentativo di controllo del mercato del calcestruzzo e degli appalti pubblici nella zona. La tesi dell’accusa sosteneva che Turriciano con Mariano Saracino e altri, avesse costituito un nuovo gruppo mafioso contrapposto a quello di Francesco Domingo.
La Corte di Caltanissetta aveva già rigettato una prima richiesta di revisione, avendo ritenuto infondata la diversa ricostruzione dei fatti proposta dagli avvocati Baldassare Lauria e Caterina Gruppuso. Le nuove indagini hanno ora dimostrato l’assenza di prove concrete sull’esistenza del presunto gruppo criminale e sulla sua influenza nel settore economico locale.
Nel 2024, la Corte di Cassazione aveva annullato la sentenza della Corte d’Appello che respingeva la revisione, dando così il via all’ultimo processo, conclusosi con l’assoluzione di Turriciano. “Si tratta di un precedente importante – ha sottolineato l’avvocato Lauria – che nega la validità di ogni automatismo probatorio, dimostrando che i reati contestati non erano espressione della forza intimidatrice della mafia locale”.
L’associazione Progetto Innocenti, impegnata nella correzione degli errori giudiziari, ha espresso soddisfazione per il verdetto, che segna un punto di svolta nella valutazione delle prove nei processi di mafia. Dopo il deposito delle motivazioni, la difesa valuterà eventuali azioni legali per il risarcimento del danno subito.
Palermo – È in camera di consiglio il Gup di Palermo che deve decidere sulla richiesta di pena avanzata dalla procura nei confronti di Martina Gentile, la figlia della maestra di Campobello di Mazara Laura Bonafede, compagna storica del boss Matteo Messina Denaro. Per la Gentile, anche lei insegnante, il pm Gianluca De Leo ha chiesto la condanna a 8 anni di carcere per favoreggiamento aggravato dall’avere agevolato la mafia e procurata inosservanza della pena. Secondo l’accusa la ragazza, che per anni ha vissuto con la madre e il boss durante la sua latitanza, avrebbe fatto parte della rete che garantiva le comunicazioni del ricercato con la famiglia e con gli uomini d’onore liberi.
Gentile, figlia di un boss e madre di una bambina, come risulta da decine di pizzini sequestrati a Messina Denaro, era legatissima al boss ora deceduto, che per anni l’ha cresciuta come una figlia.
Interrogata dal gip dopo l’arresto, aveva scelto di non rispondere, ma ha voluto fare dichiarazioni spontanee per dire di essere stata affezionata al capomafia quand’era bambina, ma di aver capito che quell’affetto lui non lo meritava.
Gentile, il cui padre naturale sconta due ergastoli per omicidi commissionati dal padrino di Castelvetrano, ha raccontato di aver visto il vero volto del boss, compresa la sua relazione con la madre, condannata poi a 11 anni e 4 mesi, solo recentemente.
Anche per questo avrebbe cercato di prendere le distanze dall’ambiente in cui era cresciuta andando a insegnare a Pantelleria, lasciando il suo paese, Campobello di Mazara e iniziando un percorso di legalità attraverso colloqui con assistenti sociali e associazioni antimafia.