Il 27 gennaio è il Giorno della Memoria, una ricorrenza internazionale istituita per commemorare le vittime dell’Olocausto. Questa data è stata scelta perché il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche liberarono il campo di concentramento e sterminio di Auschwitz-Birkenau, simbolo della Shoah. Il Giorno della Memoria è dedicato al ricordo dei milioni di ebrei, oltre a rom, sinti, disabili, oppositori politici, omosessuali e altre vittime perseguitate e sterminate dal regime nazista e dai suoi alleati. L’obiettivo della giornata è quello di mantenere viva la memoria storica affinché tragedie simili non si ripetano mai più, promuovendo la riflessione sui valori di libertà, giustizia e rispetto per tutte le persone.
In questa giornata voggliamo parlarvi di Liliana Segre che è una figura emblematica del nostro tempo, una donna che ha trasformato un passato di sofferenza in un messaggio universale di pace, tolleranza e memoria.
Nata a Milano il 10 settembre 1930, Liliana aveva solo 13 anni quando fu deportata nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Il suo numero di matricola, 75190, inciso sulla pelle, è diventato un simbolo indelebile di una tragedia collettiva che ancora oggi risuona nelle coscienze di chi vuole comprendere e ricordare.
Sopravvissuta agli orrori della Shoah, Liliana ha fatto della sua esperienza un potente strumento di testimonianza. Per anni, il dolore le ha impedito di parlare, ma dal 1990 ha deciso di condividere la sua storia, guidata dalla consapevolezza che la memoria è l’antidoto più efficace contro l’odio e l’indifferenza. Le sue parole, cariche di emozione e dignità, sono rivolte soprattutto ai giovani, ai quali ricorda l’importanza di resistere a ogni forma di discriminazione e razzismo.
Nel 2018, Liliana Segre è stata nominata senatrice a vita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, un riconoscimento al suo impegno civile e morale. In questa veste, continua a lottare contro l’odio, promuovendo iniziative per il dialogo e la comprensione reciproca. La sua voce non si limita a narrare il passato, ma si erge come monito per costruire un futuro migliore.
Il Giorno della Memoria, istituito il 27 gennaio, data della liberazione del campo di Auschwitz nel 1945, è un momento cruciale per ricordare le vittime dell’Olocausto e riflettere sui pericoli della negazione e del revisionismo storico. In questa giornata, le parole di Liliana Segre assumono un significato ancora più profondo. La sua testimonianza ci invita a non voltare lo sguardo di fronte alle ingiustizie, a coltivare la memoria come patrimonio collettivo e a educare le nuove generazioni alla responsabilità e alla solidarietà.
“Non sono una persona straordinaria, sono solo una donna che ha scelto di vivere,” ha dichiarato Liliana Segre in diverse occasioni. Eppure, il suo coraggio, la sua resilienza e la sua capacità di trasformare il dolore in una lezione universale la rendono un esempio straordinario di umanità.
Il Giorno della Memoria è anche un appello a mantenere viva la consapevolezza storica per contrastare i nuovi volti dell’intolleranza. Liliana Segre, con la sua vita e le sue parole, è una luce che illumina questo cammino, ricordandoci che la memoria è il ponte tra il passato e il futuro.
leggi il racconto di Liliana segre Matricola-75190
Tratto da Memoranda. Strumenti per la giornata della memoria, a cura di D. Novara, edizioni la meridiana,Molfetta, 2003
Roma – “Trent’anni fa nasceva Libera, un’associazione di associazioni. Oggi la trovate ben presente in tutta l’America Latina, in Europa, in Africa. Il ‘noi’ è un elemento vitale per la società, per la Chiesa. Oggi più che mai è necessario unire le nostre forze per diventare una forza, nel senso del servizio per il bene comune. Se c’è bisogno di un progresso, che ci deve veramente coinvolgere tutti, questo progresso è crescere in umanità. Sentendo le voci, le testimonianze, avverto fortissimo questo bisogno di umanità che chiama in gioco ciascuno di noi e si salda ad un’altra parola fondamentale: responsabilità. L’umanità è sempre in divenire. Dunque l’augurio che faccio a tutti voi è di essere davvero solidi. Pensando all’esperienza del Gruppo Abele e a Libera, credo di poter condividere con voi, con tutti i miei limiti, un concetto: l’informazione, che voi rappresentate, è sorgente di libertà e democrazia”.
Sono le parole di don Luigi Ciotti, Presidente dell’Associazione “Libera”
intervenuto oggi nel corso della seconda giornata del XVII Congresso Nazionale USIGRAI a Milano Marittima, con un intervento su “Cosa succede se le Comunità non hanno più notizie: l’esperienza di Libera Informazione”.
“La democrazia progredisce solo se è costituita da cittadini informati, attenti – ha aggiunto don Ciotti -. Mi pare importante condividere con voi che l’informazione è importante soprattutto per la formazione delle coscienze. Voi avete una responsabilità immensa nella vostra professione. Voglio esprimere stima e affetto per quanti di voi si mettono al servizio del bene comune. Questo ruolo importante deve avere almeno tre caratteristiche. Essere un’informazione libera, essere pluralista, essere – come ci ricordava un grande amico, grande giornalista RAI, Roberto Morrione – rigorosa. Rigorosa nella ricerca della verità”.
Secondo don Ciotti, “Proteggere i giornalisti significa proteggere la democrazia, che non è un dogma ma una continua ricerca di verità. Pochi giorni fa eravamo a Palermo per ricordare Libero Grassi, l’imprenditore che scrisse una lettera a chi gli chiedeva il pizzo. Disse delle parole chiare: che non avrebbe mai piegato la testa. Quel gesto trovò risonanza sui media e in televisione. Una cosa vi confido: che proprio Libero Grassi, poi ucciso da Cosa Nostra per il suo invito a mettersi in gioco, un giorno disse che lui si era affidato ai giornali perché credeva nei media”.
“Grazie per il lavoro che fate: l’informazione è un veicolo di cittadinanza attiva – ha sottolineato don Ciotti -. Per questo c’è bisogno di un’informazione che stimoli continuamente e aiuti a scendere in profondità nella conoscenza. Abbiamo bisogno di una sana informazione, ne abbiamo davvero tanto bisogno. Dobbiamo dire no alla superficialità, all’informazione usa e getta che non aiuta le persone a saper distinguere e scegliere. Dunque un’informazione che senta la responsabilità educativa. L’informazione, attraverso alcuni canali RAI, ci ha permesso di tenere viva la memoria, di avere documenti, di rilanciarli e condividerli. Allora l’informazione in questo senso è veramente bene comune che non può essere inquinato da interessi di parte, dalla nefasta influenza della politica. Se l’informazione non è del tutto libera, allora non è informazione”.
“Il giornalismo – sono le parole di don Ciotti – implica sempre un’etica del racconto. Nella RAI questa responsabilità è ancora più pesante. Per questo da parte mia c’è una ragione di maggiore affetto nei vostri riguardi. Se oggi si è passati dal crimine organizzato mafioso al crimine normalizzato, c’è una responsabilità di qualcosa che è venuta meno nel passato. Venuta meno l’attenzione, il fatto sparisce. Ma non spariscono i problemi che l’hanno generato. Le mafie e la corruzione non godono solo di sostegno attivo, ma anche di quello passivo. Si rinforzano se cresce la sottovalutazione, la rassegnazione, la delega. Abbiamo bisogno di una continuità importante per smuovere le coscienze. Oggi le Mafie sono più forti di prima. Dobbiamo aiutare la gente a prendere coscienza di questo male. Riconoscere una realtà che vede le imprese di mafia agire stabilmente insieme alle imprese che mafiose non sono: oggi c’è questa integrazione tra l’economia legale e criminale. La criminalità organizzata è in continua trasformazione e si adegua alle mutevoli condizioni dei mercati. Le reti di impresa vengono attratte dal crimine organizzate”.
Don Ciotti ha ricordato “il ruolo dei cittadini, che sono chiamati ad essere informati. Le Mafie fanno sempre nuovi affari, nuove alleanze. Dunque, non basta tagliare la malerba in superficie. Sono anni che nel Paese, che io amo, parliamo di Mafie, nonostante l’impegno, la generosità, il sacrificio di tanti e il grande lavoro fatto. Estirpare il male alla radice è una grande sfida culturale. C’è bisogno di voi, di una RAI grande espressione del suo popolo. La ‘Ndrangheta calabrese oggi è presente in cinque continenti: tutto questo ci impoverisce. Quando diciamo mafia, diciamo droga, usura, estorsioni, ecomafie. Non dimenticate mai che in Vaticano questo Papa ha voluto ragionare insieme a Libera sui beni confiscati. Tutto questo è un segno di libertà, di dignità, di una speranza, che ci riguarda tutti”.
Valle del Belice (Trapani/Palermo/Agrigento) – La distruzione nella Valle del Belice arrivò la notte tra il 14 e il 15 gennaio ’68, ma già la domenica del 14 da mezzogiorno in poi le scosse si susseguirono una dopo l’altra preallarmando tutta la popolazione.
Poi attorno alle 2,30 di notte la scossa micidiale quella che colpì 15 dei comuni della Valle, che uccise 370 persone ne ferì oltre mille e cacciò via dalle case 70 mila persone. La macchina dei soccorsi però fu lentissima così come lenta in questi 57 anni è stata la ricostruzione anche in termini di sviluppo economico di tutta la Valle.
I primi a giungere in quel deserto di macerie si trovarono di fronte la gente che vagava alla ricerca di un familiare, di affetti che prima erano custoditi tra quelle mura. Oggi ancora molto si deve fare per questa Valle ormai spopolata dalla migliore gioventò che da tempo l’ha abbandonata. Restano le case vuote e resta anche uno sviluppo economico tanto pubblicizzato ad ogni anniversario e mai concretizzatosi. Ci sono zone dove ancora non esiste una urbanizzazione primaria.
Ma esiste anche la realtà di Gibellina come ci racconta in questa video intervista il critico d’arte già assessore dei comuni di Gibellina e Santa Margherita Belice, Tanino Bonifacio …