di Maria Guccione – Sono molto compiaciuta per questa iniziativa messa su dai tanti amici di Salvatore Coppola e dispiaciuta di non poter essere materialmente presente. Ma due parole su di lui, sul mio amico Salvatore Coppola, voglio dirle. Sconoscevo la sua esistenza fino al 2003 allorché, dopo aver venduto il mio ex Albergo ristorante a cui ho dedicato 42 anni della mia vita, non mi venne l’insana idea di raccogliere in un libro i miei ricordi di quei 42 anni passati tra ricette, ospiti, aneddoti , successi e preoccupazioni. Mi serviva un editore e qualcuno mi fece il.nome di Coppola. Lo cercai : mai incontro fu per me più felice dal punto di vista umano, tragico dal punto di vista economico . Praticamente pagai di tasca mia la pubblicazione e non vidi mai una lira dalle vendite. Quando il Ministero dell’Ambiente acquistò 1000 copie di Frascatole, ritenendolo un libro che andava distribuito ai vari ristoranti di mare italiani, 20 mila euro furono versati dal Ministero sul conto dell’editore, ma ne io ne lui potemmo usufruire di un sol euro perché essendo il conto fortemente in rosso la Banca trattenne tutto. Questo non significa che Salvatore fosse un imbroglione: era solo un disperato, perseguitato da problemi economici per i quali non era tagliato.
Al di là di questi problemi, per così dire tecnici, era una persona meravigliosa, ironica, piena di humour, intelligente,informata, innamorata di Trapani , ricca di inventiva e di idee innovative. Quando nel 2006 mi sono ammalata di leucemia Salvatore mi è stato vicino come un fratello : ogni mese mi accompagnava con la sua macchina sgangherata all’ospedale Cervello per la chemioterapia. Al ritorno io ero distrutta ma lui trovava sempre qualcosa di divertente da raccontarmi per tirarmi su il morale. Credo di essere guarita anche grazie a lui .In quello stesso periodo pubblicò i PIZZINI. Era fiero di quel lavoro nel quale era riuscito a mettere insieme i casi più emblematici di resistenza civile alla mafia. Ero felice per lui. Ma non ero “SCANNALIATA” come si dice in dialetto ed ho continuato a fargli stampare altri miei lavori :ormai non volevo fare più soldi coi libri ma solo togliermi il capriccio di vedere stampate le mie elucubrazioni!
Ero a Rodi nel 2013 e li mi raggiunse la tragica telefonata di Giacomo Pilati che mi informava della sua dolorosa morte.Non una morte normale, ma improvvisa, in solitudine, con quel suo esile corpo abbandonato a sé stesso e alla sua sofferenza. Si sarebbe potuto salvare?Non lo so ma forse ha scelto una morte a lui congeniale, teatrale, difficile come difficile è stata tutta la sua vita. Una morte strana, dolorosa fino all’ultimo, impietosa e ingiusta come ingiusta è stata la sua vita persino sul fronte degli affetti, una vita che gli ha regalato una serie di difficoltà materiali per le quali non era tagliato, lui che forse era solo spirito e per questo gli abiti gli penzolavano da tutte le parti. Che Trapani ricordi questo suo figlio, non sufficientemente apprezzato in vita, sostenitore di cultura in tempi in cui essa veniva ignorata ,è cosa buona e giusta
Trapani – Caro Licchia non sei stato dimenticato. E difficilmente lo sarai. Dodici anni sono trascorsi dalla sua prematura scomparsa, ma la “ciurma” d’autori e di amici di Salvatore Coppola è pronta a rimettersi in viaggio. Facendo memoria dell’eredità letteraria che ha lasciato l’indimenticato Licchia.
A organizzare la ripartenza è stata l’associazione “Vivere Erice” con la sua presidente Mariza D’Anna , in collaborazione con l’enoteca “Ostinati” di Trapani, e la “Libreria del Corso”, ma anche il gruppo degli amici, lo scrittore e giornalista Giacomo Pilati, lo chef Pino Maggiore, l’editore Crispino Di Girolamo e tanti altri. Sul loro impegno l’impronta lasciata da Licchia che sicuramente si sarebbe schernito dinanzi a tale affermazione, ma noi lo conoscevamo bene e sappiamo che sarebbe stato così e sarebbe stato difficile convincerlo del contrario.
La passione per le lettere e per diffondere la cultura della legalità. E lo ha fatto in un periodo buio della città, quando per il sistema illegale veniva fatto passare per qualcosa di legale, e la legalità veniva rappresentata come qualcosa di illegale. Artefice del male un sistema fatto di professionisti, baroni, mafiosi, massoni e politici collusi e corrotti. Coltivati spesso da una informazione malata. Qualcuno ha pagato in termini giudiziari, altri sono rimasti indenni. E oggi Licchia sarebbe sicuramente in prima fila , a spingere chi sostiene che mafia e malaffare non hanno ancora alzato bandiera bianca. Salvatore Coppola è quello che manca in questo territorio, con il suo essere editore “sui generis”, capace nel contribuire a diffondere la cultura e la libertà di pensiero.
L’associazione “Vivere Erice” ha saputo dare sostanza alla biografia di Salvatore Coppola: animatore culturale instancabile dal 1984 fino alla sua scomparsa, ha contributo anche a diffondere il valore della legalità con la pubblicazione dei “pizzini” nati dopo la cattura del boss mafioso Bernardo Provenzano per dare voce alle vittime di mafia come Michele Costa, Pina Maisano Grassi, Giangiacomo Ciaccio Montalto, Giuseppe Montalto e tanti altri. Quaranta block notes che hanno divulgato in giro per l’Italia i valori dell’antimafia. La Coppola editore dopo la sua morte, nel 2016 è stata rilevata da Rosario E. La Rossa e M. Stornaiuolo e trasferita da Trapani a Scampia.
Con grande emozione e attenzione delle tante persone presenti, tra cui giornalisti e scrittori, è stato ricordato il percorso umano e professionale di Licchia e l’amministrazione comunale (con l’assessore Enzo Abbruscato) si è impegnata ad intitolare uno slargo nel quartiere Sant’Alberto. Inoltre l’editore Crispino di Girolamo ha donato al pubblico intervenuto il libro autobiografico di Coppola “Il postino” che racconta in forma romanzata la storia tribolata della sua vita e ha lanciato l’idea di intitolare un premio letterario a Coppola e di ricordarlo insieme con tanti altri trapanesi che hanno contributo al rilancio culturale della città – come lo storico Salvatore Costanza – in una collana intitolata “I Trapanesi”. Molti sono stati i ricordi personali e professionali di un uomo timido ma non fragile, determinato e sincero che ha pubblicato opere di scrittori come Ignazio Apolloni, Augusto Cavadi, Rocco Fodale, Daniela Gambino e tanti altri e che sarà ricordato anche da Libera durante la XXX Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti di mafia che si terrà Trapani nel mese di marzo.
“Abbiamo ricordato un uomo e un editore che questa città ha dimenticato troppo presto – ha affermato Mariza D’Anna – E lo abbiamo fatto non solo per custodirne la memoria ma per rammentare e ravvivare il suo impegno a favore della cultura e della lotta alla mafia in tempi ancora più difficili di questi. Non per retorica ma perché il suo esempio possa arrivare nelle scuole e tra i giovani. Come Associazione stiamo pensando di organizzare altre iniziative da proporre nel corso dell’anno
Marsala – Siamo ormai alle battute finali del processo davanti al tribunale di Marsala, presieduto da Vito Marcello Saladino che vede imputato l’ex medico di base di Campobello di Mazara, Alfonso Tumbarello, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e falso in atti pubblici è stata la volta delle arringhe.
A parlare l’avvocato Giuseppe Pantaleo il quale ha sottolineato come il suo assistito “fosse convinto di curare Andrea Bonafede e non il boss latitante”, ribadendo che come qualsiasi medico conservava addirittura i messaggi sul telefonino, non avendo nulla da nascondere. Tumbarello ha sempre sostenuto di non aver mai conosciuto la vera identità del paziente. “Il dottore Tumbarello che poteva dire? Basta tutto quello quello che ho, lo chiudo, lo straccio, lo distruggo, lo cancello, invece ha conservato tutto” ha rimarcato l’avvocato Pantalero. Ed ha poi continuato: “Si trovano i vecchissimi messaggi whatsapp con altre persone. Tanta gente lo chiama Alfonsino”. Il vecchio medico di base di Campobello di Mazara era molto stimato non solo nella sua città e aveva tantissimi pazienti e non poteva conoscerli tutti. “Le contraddizioni o le omissioni, o i cattivi ricordi – ha sottolineato ancora l’avvocato Giuseppe Pantaleo nella sua accorata arringa – non sono indizio di menzogna e di voler nascondere fatti delittuosi”. Quindi nessuna prova e per questo deve essere assolto – ha sottolineato Pantaleo.
Prossima udienzal’arringa dell’altro difensore l’avvocato Gioacchino Sbacchi
Al termine della requisitoria tenuta lo scorso 22 gennaio dal pm della Dda di Palermo Gianluca De Leo invece per Tumbarello erano stati chiesti 18 anni di carcere. Per l’accusa l’ex medico di base di Campobello di Mazara, città dove il boss oggi deceduto ha vissuto per almeno cinque anni, protetto e riverito da una schiera di favoreggiatori, sarebbe stato un complice prescrivendo e firmando 95 ricette per i farmaci e 42 analisi. Per un totale di 137 prescrizioni per consentire all’allora boss latitante Matteo Messina Denaro, di potersi curare dal cancro di cui soffriva, sotto il falso nome di «Andrea Bonafede», di poter accedere quindi ad ambulatori medici e ospedali per curarsi a spese dello stato nonostante fosse latitante. Secondo l’accusa, il medico avrebbe visitato personalmente Matteo Messina Denaro e sarebbe stato consapevole della sua identità.
Palermo – Il pm della Dda di Palermo Piero Padova ha chiesto il rinvio a giudizio, con le accuse, a vario titolo, di mafia, estorsioni, traffico di droga e scambio elettorale politico-mafioso di 13 persone tra le quali l’ex senatore del Pd Antonino Papania, l’ex vicesindaco di Alcamo Pasquale Perricone e il boss Giosuè Di Gregorio.
L’operazione Eirene, effettuata ad Alcamo e Calatafimi Segesta dalla squadra Mobile di Trapani e coordinata dalla Dda di Palermo, riguardava un presunto sistema di scambio elettorale tra politica e mafia in occasione delle elezioni regionali del 2022.
Secondo gli inquirenti, il politico, in carcere da settembre, con l’intermediazione dell’ex vicesindaco di Alcamo, si sarebbe accordato col capomafia per procurare voti ad Angelo Rocca, coordinatore provinciale del movimento politico Via, fondato da Papania, alle elezioni regionali del 2022. L’ex parlamentare in cambio avrebbe pagato Di Gregorio.
Dalla seconda metà di agosto e fino alle elezioni del 25 settembre del 2022 sono stati monitorati numerosi incontri tra Di Gregorio e Perricone. Nei giorni scorsi il tribunale del Riesame di Palermo aveva rigettato l’istanza di scarcerazione presentata da Papania e Perricone. L’ex senatore, secondo il gip che ne dispose l’arresto, si sarebbe rivolto agli «influenti membri dell’associazione mafiosa» a «riprova della spregiudicatezza con la quale esercitava la sua influenza politica sul territorio di Alcamo e nei comuni vicini». Tra le intercettazioni depositate agli atti anche quella della conversazione tra Di Gregorio e il fratello. «Dobbiamo votare questo e il senatore mi ha preparato duemila euro che mi darà mercoledì, Papania, hai capito?», diceva il mafioso.
Palermo – “Non è, infatti, di certo minimamente credibile che il latitante notoriamente più pericoloso e più ricercato d’Italia, abbia condiviso importantissimi segreti per Cosa nostra, ovvero non solo la sua collocazione ma anche i suoi spostamenti; le sue precarie condizioni di salute e le questioni di natura mafiosa sino a raccogliere il suo testamento ricevendo le direttive sul dopo con una persona non affiliata, solo perché ad essa legata affettivamente”.
E’ uno dei passaggi della motivazione della sentenza con cui il gup di Palermo ha condannato a 11 anni e 4 mesi, per associazione mafiosa, Laura Bonafede, la maestra di Campobello di Mazara, figlia del boss del paese, che per anni è stata sentimentalmente legata a Matteo Messina Denaro col quale ha avuto contatti fino a pochi giorni prima del suo arresto. Per il giudice è evidente come le condotte della donna non fossero “circoscritte e rivolte al singolo, ma – semmai – abbiano dato un contributo altamente qualificato, essenziale all’associazione mafiosa Cosa nostra in sé, in quanto servente un pericolosissimo capo e latitante”.
“Il contributo di Bonafede, infatti, non può in alcun modo rientrare (come ha richiesto la difesa) nel novero del favoreggiamento personale sia pure con l’aggravante mafiosa, – scrive – Trascendono il mero rapporto personale con Messina Denaro le condotte della maestra sono, dunque, più coerentemente riconducibili ad un apporto di carattere sistematico sorretto dalla piena consapevolezza del ruolo apicale rivestito dal boss nell’organizzazione mafiosa e della universalmente nota condizione di latitanza dello stesso, inevitabilmente funzionale all’attività illecita collettiva propria dell’associazione mafiosa”.
Sotto processo per favoreggiamento – la sentenza è attesa per marzo – c’è ora la figlia della Bonafede, Martina Gentile che il capomafia ha cresciuto come una figlia”. (Fonte Ansa)
Trapani – Il gup del Tribunale di Trapani ha archiviato definitivamente la querela per diffamazione dell’ex senatore e sottosegretario dell’Interno Antonio D‘Alì contro il giornalista Rino Giacalone.
Non c’è diffamazione, ha stabilito il giudice – Il giornalista aveva scritto articoli sui rapporti per cui poi è stato condannato.
D’Alì non aveva gradito gli articoli pubblicati nel 2021 sul mensile ‘S’ e sul quotidiano online ‘Alqamah.it’, sulla vicenda giudiziaria per cui è stato indagato e poi condannato a 6 anni, per concorso esterno in associazione mafiosa, anche per i suoi rapporti con i boss Francesco e Matteo Messina Denaro. Il giornalista è stato difeso dagli avvocati Donatella Buscaino e Giulio Vasaturo.
L’ex senatore Antonio D’Alì si era costituito nel procedimento con l’avvocato Valerio Vartolo
La Procura di Trapani aveva chiesto l’archiviazione del procedimento. D’Alì si era opposto lamentando che gli articoli fornivano una ricostruzione in chiave accusatoria dei fatti, affermando che era stata travalicata la continenza espressiva, e che la condanna definitiva nei suoi confronti era stata pronunciata in epoca successiva alla loro pubblicazione.
Il gup a ottobre 2023 ha accolto la tesi della procura perché “gli articoli costituiscono elaborazione fedele, coerente e accurata, degli atti giudiziari (…) il giornalista ha correttamente interpretato il tenore delle motivazioni giudiziarie, tant’è che molteplici passaggi degli atti sono stati correttamente richiamati al fine di non travisarne il significato e consentire al lettore di apprezzarne direttamente il contenuto” e nessun effetto distorsivo o allusivo può essere attribuito ai suoi scritti, rispettosi anche della continenza.
Alcamo – Rimangono in carcere l’ex senatore del Pd l’alcamese Nino Papania e l’ex vicesindaco di Alcamo, Pasquale Perricone, entrambi coinvolti nell’operazione della squadra Mobile di Trapani Eirene accusati di scambio politico-mafioso. Il Tribunale del Riesame di Palermo infatti ha respinto il ricorso presentato dagli avvocati dei due ex politici con il quale chiedevano una misura meno afflittiva: la detenzione domiciliare. I legali infatti nel ricorso sostenevano che: “non sussistessero elementi di inquinamento delle prove né pericolo di reiterazione del reato o rischio di fuga”. Il Riesame però ha confermato il carcere, ritenendo valide le misure cautelari imposte dal giudice per le indagini preliminari. Appena i legali conosceranno le motivazioni presenteranno ricorso in Cassazione. Già la Suprema Corte aveva rigettato, il primo ricorso per la scarcerazione, presentato dai difensori subito dopo gli arresti avvenuti lo scorso 15 settembre.
L’operazione Eirene, effettuata ad Alcamo e Calatafimi Segesta dalla squadra Mobile di Trapani e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, riguardava un presunto sistema di scambio elettorale tra politica e mafia in occasione delle elezioni regionali del 2022. Secondo l’accusa, Papania e Perricone avrebbero garantito sostegno elettorale in cambio di favori, coinvolgendo esponenti del clan mafioso locale. Le accuse a vario titolo (nell’inchiesta finirono indagati anche altre persone) vanno dall’associazione mafiosa, all’estorsione, detenzione di armi e su alcuni episodi di voto di scambio politico-mafioso per le elezioni regionali del 2022. Papania e Perricone in particolare sono indagati solo per voto di scambio politico-mafioso (art. 416 ter).
Intanto dopo la consegna dell’avviso di conclusione indagini, avvenuta lo scorso dicembre, si attende la fissazione dell’udienza preliminare per l’eventuale rinvio a giudizio e quindi a seguire la data di inizio del processo che potrebbe arrivare subito dopo l’estate. Udienza preliminare che vedrà davanti al Gip tredici indagati coinvolti nell’operazione Eirene. I due ex esponenti politici alcamesi sono in carcere al Pagliarelli di Palermo.
Trapani – E’ l’ultimo atto prodotto dall’accusa nel processo scaturito dall’operazione dei Carabinieri di Trapani, condotta nel 2019 e indicata con il nome di “Artemisia”. Anzi con l’udienza di oggi siamo alla prima puntata di questo ultimo atto. Imputati sono tanti. A cominciare dall’ex deputato regionale Ncd Giovanni Lo Sciuto, ad una sfilza di politici di Castelvetrano, come l’ex sindaco Felice Errante, da alcuni poliziotti, Passanante, Virgilio, Giacobbe, uno di questi per anni in servizio alla Dia a professionisti componenti di organi di controllo, come il collegio dei sindaci dell’Asp, dal direttore dei servizi medico legali dell’Inps Rosario Orlando all’ex re della formazione professionale in Sicilia, Paolo Genco.
Il pm Sara Morri oggi ha cominciato a esporre la requisitoria, parlando per quasi sei ore, continuerà domani e forse avrà bisogno ancora di un’altra udienza per giungere alle richieste. Un processo certamente non facile, per il compendio affaristico venuto fuori, condotto a conclusione dal pm Morri che ha gestito l’istruttoria assieme al pm Francesca Urbani: ai giudici, collegio presieduto dal giudice Messina, a latere Bandiera e Cantone, le due pm consegneranno una memoria, un volute di quasi mille pagine. Accompagnando le richieste finali, la previsione è quella che saranno richieste di condanna pesanti.
Nella esposizione delle conclusioni, citando il contenuto di intercettazioni e interrogatori, di testimonianze raccolte in aula, dei rapporti investigativi prodotti dal Reparto Operativo del comando provinciale dei Carabinieri di Trapani, è venuto fuori, dalle parole del pm Morri, pesate una per una, ma nette e decise, un quadro che ha rappresentato gli imputati come se fossero dei moschettieri. Uno per tutti e tutti per uno. Moschettieri…del malaffare. La struttura processuale è risultata netta nel descrivere in che modo l’ex deputato Lo Sciuto ed i suoi più fidati collaboratori erano soliti adoperarsi per garantirsi il raggiungimento degli obiettivi prefissati: “Appena uno ha un problema gli altri si adoperano a risolverlo senza remore, tutti a disposizione dell’altro”. Una certa forma di fratellanza, tanto da ricordare quella massonica. Tra le accuse contestate c’è anche quella della partecipazione in forma associativa ad una massoneria segreta, argomento che il pm Morri è previsto affronterà nell’intervento di domani mattina.
Una gran bella ammucchiata di nomi. Primo fra tutti quello dell’ex deputato regionale, il castelvetranese Giovanni Lo Sciuto, a sua disposizione ci sarebbero stati anche dei poliziotti, Salvatore Passanante Salvatore Virgilio, Salvatore Giacobbe, e poi il presidente dell’Anfe, Paolo Genco, un medico che controllava le commissioni legali dell’Inps, Rosario Orlando. E ancora politici e pubblici amministratori, l’indagine racconta l’esercizio quotidiano di un potere politico spregiudicato nel regno assoluto del boss Matteo Messina Denaro. E dentro questo circolo c’era chi apprendeva di intercettazioni che dovevano rimanere segrete ancora di più perchè riguardavano le attività di ricerca del capo mafia. Un panorama inquietante.
Nelle parole del pm, Giovanni Lo Sciuto emerge come un politico in possesso di una “spiccata attitudine al crimine” e capace di orientare consenso a proprio favore usando la corruzione. Faccia da gran simpaticone, medico con la passione per la politica, consigliere e assessore comunale a Castelvetrano, consigliere e assessore alla Provincia regionale, poi l’arrivo a Sala d’Ercole nella XVI legislatura (2012/2017), dove è andato a sedere anche dentro la commissione regionale antimafia, nonostante i suoi passati giovanili che lo hanno visto anche immortalato in una foto con l’allora giovanissimo, come lui d’altra parte, Matteo Messina Denaro. Oggi la pubblica accusa ha molto insistito sul rapporto tra Lo Sciuto e Genco, quest’ultimo detto “il tonno”, forse per la spiccata capacità di nuotare in qualsiasi mare, o come il tonno di lui non si buttava via mai nulla, tutto quello che faceva era buono a dar forza al cerchio magico di Lo Sciuto, ad accrescere il suo potere. Lo Sciuto soddisfatto poi commentava, “io a tutti do una cosa”. Per Genco, l’on. Lo Sciuto era l’uomo giusto in Parlamento regionale per garantirsi fondi per l’Anfe, ricambiava con sostegno elettorale, innanzitutto finanziario, assunzioni. E Lo Sciuto a Genco non solo avrebbe aperto le porte di Parlamento e assessorati a Palermo, ma anche uffici ministeriali a Roma. Se qualcuno si metteva di traverso ecco che partiva l’offensiva, ne sanno qualcosa l’allora assessore regionale alla Formazione, Bruno Marziano, o la dirigente di una scuola superiore di Castellammare del Golfo, Loana Giacalone.
Il primo subì una campagna per spingerlo alle dimissioni, “scateneremo l’inferno”, ma a parlare non era il generale romano Massimo Decimo Meridio, ma Lo Sciuto e Genco decisi a pressare l’assessore per rifare daccapo la procedura per dividere i soldi per la formazione e concedere la fetta più grossa all’Anfe; l’altra, la preside Giacalone, venne affrontata in maniera brusca e minacciosa per non aver acconsentito a concedere le aule ad un corso dell’Anfe.
Solo e soltanto “logiche clientelari”, “logiche utili ad accentrare potere e controllare la pubblica amministrazione”, comportamenti che il pm Morri ha posto a carico dell’ex deputato Lo Sciuto. Tra le nomine conquistate quella di Gaspare Magro, commercialista, nel collegio dei revisori dei conti dell’Asp di Trapani. Magro oltre che essere un finanziatore delle campagne elettorali di Lo Sciuto, è anche un iscritto alla massoneria. Quando arrivò la nomina all’Asp, decise di “mettersi in sonno”, di sospendere la frequentazione della loggia alla quale era iscritto, informando di questo proprio Lo Sciuto che gli rispondeva di aver fatto bene, “dinanzi ai teoremi e sospetti che la magistratura alimenta” e infine i due si salutavano dandosi del “Fratello”, con la f maiuscola. Avrà significato qualcosa?
L’indagine “Artemisia” descritta in queste prime sei ore di requisitoria del pm Sara Morri, ha fatto scoprire l’esistenza di un campo minato, “un territorio tenuto occupato, governato con la corruzione, dove non valeva la meritocrazia o il riconoscimento di un bisogno, ma funzionava il favore, la raccomandazione, in cambio innanzitutto di consenso elettorale”.
Rita Atria: Il Coraggio di una Giovane Testimone di Giustizia
Rita Atria nacque il 4 settembre 1974 a Partanna, un piccolo paese della provincia di Trapani, in una famiglia legata ad ambienti mafiosi. Il padre, Vito Atria, era un boss locale ucciso in un regolamento di conti nel 1985. La morte del padre segnò profondamente Rita, spingendola a cercare giustizia al di fuori del codice mafioso dell’omertà.
Dopo la morte del fratello Nicola, anch’egli coinvolto in dinamiche criminali e assassinato nel 1991, Rita decise di rompere con il passato e di collaborare con la giustizia.
Rita Atria trovò una guida e una protezione in Paolo Borsellino, il magistrato che si occupava delle sue dichiarazioni. A soli 17 anni, decise di testimoniare contro i clan mafiosi della sua terra, offrendo informazioni preziose che contribuirono a far luce su diversi crimini.
Venne trasferita a Roma sotto protezione, vivendo in isolamento e sotto falsa identità. La sua vita cambiò radicalmente: da giovane di una famiglia mafiosa divenne testimone di giustizia, pagando un prezzo altissimo per la sua scelta.
Il 19 luglio 1992 Paolo Borsellino venne ucciso nella strage di via D’Amelio. La sua morte fu un colpo devastante per Rita, che perse l’unico punto di riferimento rimastole. Sola, isolata e priva di protezione, il 26 luglio 1992, una settimana dopo la strage, si tolse la vita lanciandosi dal settimo piano del suo appartamento a Roma.
Rita Atria è diventata un simbolo della resistenza contro la mafia. La sua storia, a lungo ignorata, oggi viene ricordata come esempio di coraggio e ribellione contro un sistema di violenza e omertà. Il suo nome è associato a numerose iniziative antimafia, scuole, associazioni e movimenti che lottano per la legalità, in particolare in Sicilia e a Trapani, dove il suo sacrificio è sempre più riconosciuto.
A Partanna e in altre città siciliane, gruppi di attivisti continuano a portare avanti il suo messaggio, affinché nessun giovane si senta più solo nella scelta di opporsi alla mafia.
La storia di Rita Atria ci ricorda che la lotta alla mafia è anche una questione di scelte individuali e di coraggio. Il suo sacrificio non è stato vano, e il suo esempio continua a ispirare nuove generazioni nella battaglia per la giustizia e la verità.
Leonardo Sciascia nacque l’8 gennaio 1921 a Racalmuto, un piccolo paese in provincia di Agrigento. Fin da giovane mostrò una spiccata passione per la lettura e la scrittura, formandosi attraverso la letteratura italiana e internazionale. Dopo gli studi magistrali, iniziò a lavorare come insegnante elementare, un’attività che mantenne per diversi anni prima di dedicarsi interamente alla scrittura.
L’infanzia e l’adolescenza trascorse in Sicilia influenzarono profondamente il suo pensiero e la sua produzione letteraria. Racalmuto e i suoi abitanti divennero spesso fonte d’ispirazione per i suoi romanzi e racconti, che si concentrano sulla realtà siciliana, sulle ingiustizie sociali e sulla pervasività del potere mafioso.
Nel 1961, con la pubblicazione de Il giorno della civetta, Sciascia portò per la prima volta la mafia nella letteratura italiana con un realismo e una lucidità straordinari. Il romanzo, ispirato a un reale caso di omicidio avvenuto in Sicilia, denunciava l’omertà, la connivenza tra politica e criminalità organizzata e l’indifferenza delle istituzioni. Questo libro segnò una svolta nel modo in cui la società italiana percepiva la mafia e diede inizio a un importante dibattito culturale e politico.
Oltre a essere uno scrittore di fama internazionale, Sciascia si impegnò anche in politica. Fu eletto consigliere comunale a Palermo e, successivamente, deputato al Parlamento italiano ed europeo. Durante la sua attività politica, continuò la sua battaglia contro la mafia e il malaffare, denunciando con coraggio la corruzione e le ingiustizie del sistema giudiziario.
La Sicilia non fu solo lo scenario delle sue opere, ma anche il cuore pulsante del suo pensiero critico. I suoi libri riflettono la complessità dell’isola, le sue bellezze, le sue contraddizioni e le sue tragedie. Anche Trapani, con la sua storia e le sue vicende legate alla criminalità organizzata e alla politica, rappresentò un punto d’interesse per lo scrittore, che attraverso i suoi saggi e romanzi offrì un’analisi penetrante della realtà siciliana.
Leonardo Sciascia morì il 20 novembre 1989, lasciando un’eredità culturale straordinaria. I suoi scritti continuano a essere studiati e letti in tutto il mondo, e il suo impegno civile rimane un esempio di integrità e coraggio.
Oggi, la sua figura è ricordata non solo per la sua produzione letteraria, ma anche per il suo ruolo di intellettuale impegnato, che non esitò mai a dire la verità, anche quando scomoda. La Sicilia, e in particolare la sua Racalmuto, continuano a celebrare il suo lascito con iniziative culturali, premi letterari e studi dedicati alla sua opera.
Leonardo Sciascia è stato molto più di un semplice scrittore: è stato un testimone del suo tempo, un uomo che con la forza della parola ha combattuto il silenzio e l’omertà. Le sue opere restano un faro di verità e di denuncia, una guida per comprendere la Sicilia e le sue complessità, nonché un punto di riferimento per chiunque creda nella giustizia e nella libertà di pensiero.