Marsala – Eseguito dai Carabinieri del Comando Provinciale di Trapani un decreto di sequestro – ai fini della eventuale confisca – di beni immobili (un terreno e due fabbricati per un valore complessivo di 200 mila euro) nei confronti di due coniugi marsalesi. Si tratta di Leonardo Casano e Giuseppa Prinzivalli.
La misura di prevenzione patrimoniale è stata emessa dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Trapani su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo in virtù degli accertamenti svolti dai militari sulla sperequazione economica del nucleo familiare e sulla pericolosità sociale del 52enne Casano, che, attualmente detenuto, era stato raggiunto nel settembre del 2022 da misura cautelare nell’ambito dell’operazione “Hesperia”.
Operazione con la quale i Carabinieri del Comando Provinciale di Trapani avevano tratto in arresto 35 persone (23 in carcere e 12 ai domiciliari) appartenenti ai mandamenti mafiosi di Mazara del Vallo, Trapani e Castelvetrano.
Nel contesto dell’attività, nei confronti della coniuge 51enne Giuseppa Prinzivalli è stata inoltre data esecuzione all’ordine di espiazione della pena di 1 anno e 9 mesi di detenzione domiciliare a seguito della condanna per il reato di riciclaggio, per aver fatto confluire sul proprio conto corrente i proventi dell’attività di spaccio di stupefacenti.
Petrosino – La seconda sezione della Corte d’appello di Palermo ha assolto dall’accusa di voto di scambio politico-mafioso alle ultime elezioni comunali di Petrosino (Trapani), il presunto mafioso Marco Buffa e l’ex consigliere comunale Michele Buffa.
I due, il 21 febbraio 2024, erano stati condannati a 15 anni di carcere dal Tribunale di Marsala. Una sentenza ora ribaltata in secondo grado. Marco Buffa rimane, comunque, in carcere nell’ambito di un altro procedimento penale. Marco Buffa è difeso da Luisa Calamia, Michele Buffa dal penalista Nicola Clemenza.
L’indagine fu condotta dai carabinieri. Dopo l’arresto, Michele Buffa si era dimesso da consigliere comunale.
Per l’accusa, Marco Buffa, presunto «capo decina» all’interno di Cosa nostra, già condannato per aver favorito in passato la latitanza dei vertici del mandamento mafioso di Mazara del Vallo, poi arrestato nell’operazione «Hesperia» (con condanna, in primo e secondo grado, a 11 anni e 4 mesi), avrebbe «procurato voti in favore del candidato Michele Buffa, consentendogli di essere eletto a consigliere comunale di Petrosino. Questo in cambio dell’erogazione di denaro e di altre utilità, nonché della disponibilità a soddisfare gli interessi e le esigenze dell’associazione mafiosa».
Trapani – Cosa nostra non è sconfitta, ma è viva, radicata e ancora organizzata secondo un modello verticistico. È questo quanto emerge dalla Relazione semestrale della DIA (Direzione Investigativa Antimafia), presentata dal Direttore, Generale di Corpo d’Armata Michele Carbone. Una relazione che offre una mappa dettagliata delle mafie presenti su tutto il territorio nazionale, con un’attenzione particolare anche alle organizzazioni criminali straniere attive in Italia.
Inquietante il report tracciato dalla relazione annuale 2024 della Direzione Investigativa Antimafia. La provincia di Trapani si conferma territorio ad alta densità mafiosa, con un radicamento storico delle consorterie di Cosa nostra, ancora oggi operative attraverso metodi raffinati e una presenza silenziosa ma incisiva nell’economia legale.
A testimoniarlo i 3.315 provvedimenti interdittivi antimafia emessi dalla Prefettura di Trapani nei confronti di società che operano nei settori più sensibili e redditizi dell’economia locale.
Le interdittive colpiscono imprese attive nel comparto agricolo: coltivazione di vite, frutti oleosi e cereali, del movimento terra, edilizia, autotrasporti, lavorazioni agroalimentari, commercio all’ingrosso di ortofrutta e perfino agenzie funebri. Settori apparentemente ordinari che, secondo l’analisi della DIA, si sono rivelati terreno fertile per infiltrazioni mafiose e strategie di mimetizzazione criminale.
Quattro gli storici mandamenti di Cosa nostra trapanese – Castelvetrano, Trapani, Mazara del Vallo e Alcamo. Insieme avrebbero messo in campo una rete articolata per condizionare il mercato, pilotare appalti, e occultare capitali di provenienza illecita.
Secondo i dati forniti dalla Dia, la maggior concentrazione di attività mafiose sarebbe concentrata nella zona sud della provincia, tra Mazara e Castelvetrano, aree che – evidenzia la relazione – costituivano l’ambito operativo privilegiato di Matteo Messina Denaro, morto nel 2023, ma il cui potere criminale continua a produrre effetti attraverso la cosiddetta gestione “dinastica” degli affari mafiosi.
La DIA sottolinea inoltre che numerosi soggetti colpiti da interdittiva erano già stati destinatari in passato di analoghi provvedimenti o erano legati a persone condannate per reati di mafia o sottoposte a misure di prevenzione. In molti casi, le società erano state riorganizzate formalmente per aggirare i controlli, mentre gli interessi delle consorterie venivano protetti attraverso intestazioni fittizie e operazioni collusive con imprenditori e funzionari compiacenti.
Tante le operazioni effettuate nel 2024 nel territorio trapanese che vanno dalla repressione del traffico di stupefacenti e delle estorsioni al contrasto della mafia imprenditoriale. Tra queste: l’operazione “Olegna” contro gli intrecci tra mafia, politica e affari; “Scialandro” che ha colpito le famiglie di Custonaci, Valderice e Trapani; e il maxi sequestro di aziende agroalimentari coinvolte in frodi fiscali e riciclaggio.
Infine, un intero capitolo è dedicato agli atti intimidatori e agli episodi violenti avvenuti nel 2024, tra cui attentati incendiari, danneggiamenti ad aziende e strutture pubbliche, e una fitta attività investigativa contro gruppi criminali stranieri attivi nel favoreggiamento dell‘immigrazione clandestina.
L’allarme lanciato dalla DIA è chiaro: la criminalità organizzata a Trapani non solo non arretra, ma si trasforma e si adatta, sfruttando le debolezze del sistema economico e amministrativo per continuare a generare profitto e consenso sociale. Un fenomeno che, pur agendo spesso sottotraccia, influisce sul rispetto della legalità e sullo sviluppo del territorio e chiede una reazione coordinata e determinata da parte delle Istituzioni e della società civile.
Il quadro tracciato è chiaro: nonostante decenni di azioni repressive condotte da magistratura e forze dell’ordine, le articolazioni territoriali di Cosa nostra sono pienamente operative. A Palermo città, i mandamenti restano otto, a cui si aggiungono sette nel resto della provincia. La struttura mafiosa continua a funzionare con vertici ben identificati, famiglie e gerarchie interne, anche se si registrano tentativi – finora incompleti – di ricostituire un organismo direttivo unitario sul modello della tradizionale commissione.
Secondo la DIA, la mafia palermitana ha sviluppato strategie adattive alla pressione giudiziaria: predilige un coordinamento orizzontale tra i mandamenti, che consente una gestione condivisa delle attività criminali e una composizione non violenta delle controversie interne, sempre più frequente nelle ultime operazioni di polizia giudiziaria. La violenza viene mantenuta come estrema ratio, ma la sua minaccia resta uno strumento fondamentale per esercitare potere sul territorio. Oltre al controllo sociale e al traffico illecito, Cosa nostra guarda sempre più all’infiltrazione nel mondo dell’impresa. L’interesse è duplice: da un lato, ripulire i proventi criminali; dall’altro, acquisire influenza nei settori produttivi, approfittando anche delle difficoltà di alcune aziende locali. Un fenomeno già noto, ma che il report della DIA sottolinea come in crescita e da monitorare con la massima attenzione.
La stidda si caratterizza per una struttura orizzontale, composta da gruppi autonomi storicamente nati in contrapposizione a cosa nostra, ma che attualmente hanno attuato con quest’ultima intese di condivisione e spartizione degli affari illeciti. In Sicilia orientale, e in particolare nella città di Catania, la pluralità delle consorterie – che comprende articolazioni di cosa nostra nonché altre formazioni mafiose distinte ma affini a quest’ultima per natura – ha generato una coabitazione criminale in cui la resilienza e la flui- dità strutturale rappresentano i tratti distintivi di cosa nostra catanese. Quest’ultima, diversamente dalla rigida organizzazione palermita- na, si caratterizza per un marcato dinamismo affaristico alternando con le altre organizzazioni di tipo mafioso periodi di pacifica convi- venza, ovvero di non belligeranza, a momenti di frizione che talvolta degenerano in momenti di fibrillazione tra clan.
Anche a Catania, le innumerevoli azioni investigative e le condanne comminate hanno costretto, nel tempo, le diverse organizzazioni mafiose ad un ricorrente ricambio nelle posizioni apicali sebbene tutte siano comunque sempre riuscite a mantenere perlopiù inalterata la loro operatività. Considerate le complesse relazioni tra le famiglie di cosa nostra e gli altri clan presenti nella Sicilia orientale, gli attuali equilibri si configurano, infatti, come assetti a “geometria variabile”, in ragione della fluidità delle leadership criminali e dei business illeciti oggetto di contesa, ele- menti che generano alleanze e tregue tra i diversi clan. Nei territori di Siracusa e Ragusa si evidenziano, inoltre, le influenze della cosa no- stra catanese e, in misura minore, della stidda gelese, mentre a Messina le consorterie presentano un modus operandi che, da un lato, si ri- fanno all’ortodossia di cosa nostra palermitana e, dall’altro, risente dell’influenza dei gruppi criminali etnei.
Cosa nostra manifesta una presenza capillare su tutta l’isola, con proiezioni che, già nei decenni passati, si sono estese all’estero.
La relazione documenta anche l’impegno della DIA nei Gruppi Interforze antimafia attivi presso ogni Prefettura (istituiti con il D.M. del 21 marzo 2017) e il supporto alle autorità prefettizie nell’applicazione delle misure amministrative antimafia previste dal Codice Antimafia. Un’attività parallela e preventiva, volta a bloccare sul nascere le possibili infiltrazioni nei contratti pubblici, nelle concessioni e nei finanziamenti.
Il messaggio della DIA è chiaro: le mafie non arretrano, cambiano pelle. Cosa nostra, in particolare, resta una presenza organizzata, silenziosa ma efficace, capace di riprodurre potere e consenso anche in contesti mutati. La lotta non è finita. E continua su più fronti: investigativo, economico e culturale.
Partanna – L’hanno battezzata operazione “Alba”. A indicare l’alba di un nuovo giorno, quando finalmente la provincia di Trapani verrà liberata definitivamente dal cancro della mafia ed il lavoro instancabile degli investigatori e dei magistrati è proteso verso questo fine. Nel corso delle perquisizioni trovati armi e soldi in contanti.
In quest’ultima operazione antimafia hanno operato i carabinieri del Comando provinciale di Trapani con il supporto dello Squadrone Eliportato, dei Cacciatori di Sicilia e dei colleghi delle varie stazioni interessate. L’operazione ha colpito la “famiglia mafiosa” di Partanna da sempre vicina ai Messina Denaro.
Cinque le persone raggiunte da ordine di custodia: tre in carcere, per due obbligo di dimora con presentazione all’A.G.
Tutti sono indagati a vario titolo di: associazione mafiosa, porto abusivo di armi, tentata estorsione e favoreggiamento personale. Colpita la famiglia mafiosa di Partanna, da sempre vicina all’ormai ex boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro.
Gli investigatori hanno riscontrato quella che viene definita una “convergenza di illeciti interessi tra esponenti di spicco dalla famiglia mafiosa e imprenditori del settore edile e oleario per il controllo delle attività imprenditoriali”.
A cominciare dalla turbativa procedura concorsuale indetta dal Tribunale di Sciacca per l’acquisizione di capannoni industriali; il condizionamento aggiudicazione appalti pubblici in favore degli stessi indagati o soggetti contigui al sodalizio mafioso; l’assunzione di familiari in imprese olivicole ricorrendo alle forme di intimidazione nei confronti dei legali rappresentanti.
Tra i destinatari della misura cautelare anche Giovanni Luppino, 60 anni, già tratto in arresto il 16 gennaio 2023, pochi minuti dopo Messina Denaro, e già condannato. Luppino secondo gli investigatori, si sarebbe reso responsabile di un tentativo di estorsione ai danni di un imprenditore del settore oleario allo scopo di garantire sostegno economico all’ex latitante. Ai Luppino, nelle scorse settimane sono stati sequestrati i beni.
Palermo – Non è indagata, ma citata nelle motivazioni della sentenza di condanna del fratello e del marito. È Caterina Gentile, sorella rispettivamente di Massimo Gentile l’architetto condannato a 10 anni in primo grado, con rito abbreviato, lo scorso 17 gennaio per associazione mafiosa e moglie di Cosimo Leone, condannato nello stesso processo a 8 anni per concorso esterno.
Entrambi condannati per aver favorito la latitanza a Matteo Messina Denaro. L’architetto Gentile per avere prestato la sua identità e Leone per averlo aiutato quando è stato ricoverato nel novembre del 2020 all’ospedale di Mazara del Vallo, dove lui lavorava come radiologo.
Il suo nome compare nelle motivazioni della sentenza, depositate il 10 aprile scorso dove il giudice Marco Gaeta ripercorre il comportamento di Leone, che nel corso del processo si è difeso sostenendo di avere dato aiuto a un paziente per semplice spirito umanitario: “Lo facevo con tutte le persone, diciamo, questo senso di umanità e di aiutare la gente”; “non sono favori, io non li giudico favori, io li descrivo come senso di umanità, di aiuto, per aiutare le persone”.
Versione a cui il giudice Gaeta non ha creduto: “È evidente, alla luce dei dati obiettivi risultanti dai dati del traffico telefonico e, anche, della palese falsità della ricostruzione dei fatti offerta dall’imputato, che Leone Cosimo ebbe a prestare un aiuto concreto e consapevole alla latitanza di Matteo Messina Denaro, facendogli avere un telefono cellulare e una scheda telefonica ‘pulita’, che consentisse a quest’ultimo di poter utilizzare un nuovo canale di comunicazione verso l’esterno, in un momento assai delicato, non solo per lo stato di salute del latitante, ma, per quel che qui rileva, per l’intero assetto e per gli equilibri interni di Cosa Nostra”.
Poi c’è un passaggio relativo ad un colloquio avuto da Leone con la moglie. “In particolare, va segnalato un passaggio del colloquio avvenuto l’11 aprile 2024, con il fratello, la figlia e la moglie Gentile Caterina, Cancelliera presso il Tribunale di Marsala, addetta al settore penale, alla quale Leone, secondo quanto riferito nel corso dell’esame, non avrebbe mai confidato, neppure dopo l’arresto di Messina Denaro, di aver aiutato Bonafede Andrea cl’69 nella gestione del ricovero del fantomatico cugino omonimo. Ebbene, nel corso dell’incontro in carcere, Caterina Gentile forniva evidenti suggerimenti al marito detenuto in ordine a quanto avvenuto in occasione dell’incontro con Bonafede Andrea del 14 novembre 2020, all’esito del quale Messina Denaro aveva acquisito la disponibilità di un cellulare e di una scheda telefonica”.
Il giudice evidenzia che la donna era essere a conoscenza della versione che avrebbe dato il marito ancor prima dell’arresto avvenuto il 27 marzo e questo se si considera che nell’interrogatorio di garanzia il marito “si era avvalso della facoltà di non rispondere, che in occasione del primo colloquio in carcere, il 3 aprile, i due non avevano affrontato tale argomento (si veda la trascrizione in atti), se ne deve necessariamente dedurre, diversamente da quanto dichiarato dall’imputato, che la moglie del Leone fosse già a conoscenza della ricostruzione alternativa che il marito avrebbe successivamente prospettato, per averla con lui concordata già in epoca precedente all’emissione del titolo cautelare”. Durante la visita in carcere, invece, avveniva questo, secondo il racconto di Leone: “Vinni tannu quando mi vinni a purtari (è venuto quando mi è venuto a portare) la magliettina con le mutandine… e nel mezzo gli ha messo la, la (a questo punto Caterina Gentile dà un cenno con la mano destra verso il marito. Quest’ultimo, che nel frangente è rivolto verso il fratello Calogero Leone, si gira verso la moglie guardandola e annuendo con la testa come a far capire di aver colto il suggerimento, quindi riprende la frase) qualche…la scheda! Penso…penso. Perché non è che le ho viste!”. (Fonte il Fatto Quotidiano)
Campobello di Mazara – Da ieri la professoressa di matematica, Floriana Calcagno di 50 anni è rinchiusa in carcere. E’ stata arrestata dai carabinieri del Ros e dai poliziotti dello Sco che indagano sulla rete di finacheggiatori del boss deceduto Matteo Messina Denaro.
La professoressa sei giorni dopo la cattura di Messina Denaro a Palermo si era presentata spontaneamente dai carabinieri dicendo di avere avuto una breve relazione con Messina Denaro, ma lei lo conosceva come Francesco Salsi, medico in pensione. Una dichiarazione a cui gli investigatori e i magistrati mai hanno creduto. Così dopo mesi di indagini ieri la donna è finita in carcere.
A Floriana Calcagno i magistrati – il procuratore Maurizio de Lucia, l’aggiunto Paolo Guido e i pm Piero Padova e Gianluca De Leo- contestano, tra l’altro, di aver assicurato a Matteo Messina Denaro «sostegno logistico, aiuto e supporto morale e materiale, nel territorio di Campobello di Mazara, Mazara del Vallo, Tre Fontane e in altre località della provincia di Trapani e di avergli assicurato, attraverso un sistema di staffetta e di scorta con la propria vettura, la possibilità di spostarsi da un comune all’altro in modo riservato».
E’ proprio la gelosia delle amanti che sta facendo cadere a poco a poco quel muro di omertà che per 30 anni ha coperto la latitanza di Matteo Messina Denaro.
Per ricostruire il ruolo avuto da Floriana Calcagno, nella latitanza di Matteo Messina Denaro sono stati fondamentali, oltre agli appunti trovati nel covo del capomafia, gli scritti indirizzati al boss da un’altra sua amante, la maestra Laura Bonafede, già condannata per associazione mafiosa. Nelle lettere per il ricercato la Bonafede indicava Calcagno con una serie di soprannomi, come «Handicap, Acchina o Sbrighisi». Incrociandoli con altri elementi, come le immagini registrate da diverse videocamere che hanno immortalato episodi raccontati dalla Bonafede e relativi alla donna, gli inquirenti hanno capito chi si celasse dietro gli pesudonimi.
Dal manoscritto trovato nel covo del ricercato emerge tutta la gelosia della Bonafede verso Calcagno. «Dici che Acchina ti aiuta come può. Ma cosa può fare per te?», scriveva. ”La frase di alto significato indiziante, faceva chiaramente intendere che il latitante in precedenza aveva confidato alla Bonafede – scrivono i pm – il ruolo svolto dalla Calcagno nel suo sistema di protezione, ruolo che consisteva nell’offrire ed adoperarsi su ’cose fatte per luì». Nello scritto la maestra mostrava anche di non credere a quello che le aveva detto il latitante e cioè che la relazione con la Calcagno risalisse ad aprile 2022. «E poi ci sono date che non mi quadrano. Tu mi parli di aprile 2022“ diceva. Bonafede sospettava che la storia tra i due fosse precedente. «E poi se ben ricordi ti disse che voleva parlarti già nell’agosto 2017, o l’hai dimenticato?», scriveva. Sempre sfogando la sua gelosia verso l’altra, Bonafede commentava: «per ora se penso a Sbrighisi che passava con quella faccia compiaciuta, dopo essere stata con te, le bastonate gliele darei eccome».
Infine in uno scritto del 30 dicembre 2022, Bonafede raccontava al capomafia di aver visto uscire dalla «zona chiave», il covo di Campobello di Mazara, proprio Calcagno. “Stavolta mi è cambiato l’umore, quella scena mi ha cambiato la giornata. Alle 11.40 circa ho visto Handicap che usciva dalla zona chiave, dritta come un palo e con una Louis Vuitton sicuramente regalata da te. Regali borse come un distintivo? Fuck», sbottava.