Trapani
Gli “affari” di Bonanno e la “mafia di prossimità”
Processo "Scialandro": l'investigatore Cito (Carabinieri) ha riferito delle indagini sull'ex ergastolano che in città organizzava la "famiglia" profittando dei permessi per uscire dal carcere. La storia di un imprenditore che si rivolse a lui per un piccolo delinquente che gli dava fastidio
Rino Giacalone30 Maggio 2025 - Cronaca



  • Toga da magistrato appesa in aula di tribunale, con la scritta "La legge è uguale per tutti" in evidenza Cronaca

    Trapani – Il nome è “pesante”, è quello di Pietro Armando Bonanno, classe 1959. Negli anni ’80 faceva parte della manovalanza a disposizione dei capi dell’epoca, negli anni recenti lui aspirava ad essere il nuovo capo mafia, dopo l’arresto dei predecessori. Faceva parte di quella vecchia mafia, la cosca dei Minore, che negli anni ’80 venne “posata” per ordine dei corleonesi, ma lui trovò presto spazio, mettendosi a disposizione del boss voluto da Riina, Vincenzo Virga. In carcere ci finì negli anni ’90 anche per una condanna all’ergastolo legata all’omicidio avvenuto a Trapani del partannese Pietro Ingoglia. Contro di lui anche altre condanne per la partecipazione all’associazione mafiosa.

    Ma come vanno le cose è risaputo

    Le condanne non valgono per tutti. In carcere i mafiosi si comportano bene, e anche per Pietro Armando Bonanno, alla pari nel tempo di altri condannati per mafia, scattarono premessi e premi, così da permettergli, sebbene ergastolano, di poter lasciare il carcere. Agevolazione per il reinserimento in società. Ma Pietro Armando Bonanno al reinserimento nel contesto civile preferì in ritornare in un’altra società, quella cosiddetta onorata. Un mandamento senza più capi, arrestati Virga e poi dopo di lui Ciccio Pace, a seguire anche i figli di Virga, Pietro e Franco, blasonati per il posto al vertice della locale piramide mafiosa locale, Bonanno si sentiva pronto. E a sostenerlo trovò l’anziano Nino Buzzitta, “consigliori” storico del mandamento da Minore a Virga, e anche Mariano Minore, figlio di Caliddo, Calogero Minore, che Cosa nostra trapanese l’aveva guidata con suo fratello Totò, fatto ammazzare e sciolto nell’acido da Riina, nel novemnre 1982, durante una delle cene horror con le quali i corleonesi scalarono la scala del potere dentro Cosa nostra.

    La testimonianza del maggiore Vito Cito

    Ieri in Tribunale il maggiore dei Carabinieri Vito Cito, davanti al collegio presieduto dal giudice Daniela Troja, a latere i giudici Marroccoli e Cantone, rispondendo alle domande del pm Giacomo Brandini (Procura distrettuale antimafia di Palermo) ha concluso l’esposizione essenziale delle risultanze dell’indagine antimafia denominata “Scialandro”, condotta anche da Polizia e Dia. Tra gli imputati anche Pietro Armando Bonanno, Mariano Minore, Buzzitta e altri. Cito (in pensione da qualche mese, dopo essere stato uno degli investigatori di punta del Reparto Operativo dell’Arma) in un paio di udienze ha riassunto il contenuto dell’inchiesta che ha riguardato anche Custonaci, Valderice, Paceco ed Erice. I punti cardinali della mafia trapanese.

    Pietro Armando Bonanno

    Nell’udienza di ieri si è soffermato ancora su Pietro Armando Bonanno. Il suo “ufficio” per sbrigare le faccende di mafia, dal controllo del territorio alla riscossione dei guadagni, dal recupero crediti per conto terzi all’intestazione fittizia di beni, era la macelleria di via Agostino Pepoli, a due passi dal Borgo dove Cosa nostra è stata sempre presente. Uomini d’onore con il “colletto bianco”, veri e propri “professionisti”, con il pallino del fare impresa e commercio, capaci ad intrecciare relazioni importanti fin dentro le istituzioni, grazie anche ad agganci in certe logge della massoneria, vecchia e nuova, pronti però, certuni, all’occorrenza, ad usare le maniere forti. Il resoconto investigativo non è datato nel tempo, ma è collocato in un ambito temporale recente, recentissimo. A dispetto di chi dice che la mafia non esiste, ieri la si negava davanti ai corpi straziati degli uccisi, seguendo quella cultura delle negazione imposta proprio dai mafiosi, oggi si sostiene sia stata sconfitta da arresti e condanne, ecco che l’informativa “Scialandro” dei Carabinieri dimostra tutt’altro e che nell’arco temporale dell’inchiesta, tra il 2021 e il 2023, Cosa nostra trapanese, grazie anche a Pietro Armando Bonanno, era parecchio attiva. Intanto dall’occuparsi a far trovare una occupazione e una casa proprio a lui, l’indispensabile che gli serviva per ottenere i permessi di uscita dal carcere.

    Un pezzo della storia della mafia raccontata tra i banchi del Tribunale

    Ad ascoltare la testimonianza del maggiore Cito è stato impossibile non ricordare quello che dissero a Cinisi gli amici di Peppino Impastato dopo il suo orrendo delitto, il 9 maggio 1978, dai microfoni di Radio Aut, protestando contro quella città che alle persone perbene aveva scelto di stare dalla parte dei mafiosi: “noi la mafia la vogliamo, non perché ci fa paura ma perché ci dà sicurezza…perché ci piace”.

    Non è un ricordo calato così per sorprendere, ma per scrivere una volta e per tutte nella pietra, nel marmo, perché resti presente scolpita nella conoscenza collettiva, che qui a Trapani abbiamo una “mafia di prossimità”. Ufficialmente i mafiosi non li conosciamo, non sappiamo chi sono, ma se per caso qualcuno si ritrova un grave problema da risolvere, ecco che invece di andare a bussare alle porte degli uffici giudiziari, si va a cercare il mafioso. Come Pietro Armando Bonanno. Il maggiore Cito ha riferito di quando un noto imprenditore e commerciante trapanese, Benito Spada nel marzo 2023 andò a trovare Bonanno, dopo che un delinquentello , tale Vito Messina, soprannominato “Cucciolo” nell’ambiente criminale del rione popolare di San Giuliano, era andato a dargli fastidio. Spada, titolare di un negozio di abbigliamento e di un’attività ricettiva sulla spiaggia di San Giuliano, il Nais, si era ritrovato a che fare con “Cucciolo” che messo alla porta del locale, dove pretendeva anche di entrare senza pagare, si vendicava quasi ogni giorno con danneggiamenti di vario genere anche a danno degli avventori. Spada pare dopo aver chiesto in giro (non certo rivolgendosi alle forze dell’ordine) ebbe indicato Bonanno e andò a trovarlo nella macelleria “ufficio” del boss.

    Le intercettazioni

    Le intercettazioni ambientali hanno svelato la discussione tra i due, con Bonanno rassicurante pronto a dirgli che la questione di sarebbe risolta: “senza sparare risolviamo questa situazione”. Bonanno poi ne parlò con Vito Culcasi, “Cucciolo” era imparentato con questi: “u vulia stuccari, ma unnu fici picchì è to parente”. “Ma si c’è da stuccari si stocca”. Dove stuccari sta per far male. Con le “buone” Messina ha desistito con le sue azioni, pare convinto da Culcasi. Ma il boss non fa niente per niente. E Spada secondo il racconto del maggiore Cito, ha dovuto pagare dapprima 2 mila euro e poi altri mille, e forse, ha dovuto regalare anche a Bonanno il vestito buono per il suo matrimonio. In tal senso non ci sono prove, ma sono rimasti solo sospetti. Il processo adesso proseguirà nelle prossime settimane con le domande dei difensori degli imputati.




  • Palermo
    No della Cassazione al ricorso di Francesco Guttadauro, il nipote di Messina Denaro rimane al 41bis
    Intanto si scopre che anche l'IA ha contribuito alla ricerca dei favoreggiatori di Messina Denaro
    Redazione17 Maggio 2025 - Cronaca



  • Cronaca

    Palermo – La Cassazione ha respinto definitivamente il ricorso dei legali del nipote del cuore del boss Matteo Messina Denaro: Francesco Guttadauro resta al 41 bis.

    I legali di Guttadauro sostenevano che non fosse stata fatta una rigorosa ed effettiva verifica sulla sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata. Di diverso avviso la Procura di Palermo e la Dda.

    Ecco cosa scrive la Cassazione: “La posizione verticistica rivestita dal ricorrente nell’associazione, tuttora attiva nel territorio, così come evidenziato anche facendo riferimento alla recente cattura di Matteo Messina Denaro si basa su un compendio istruttorio tutt’altro che lacunoso e apparente quanto, piuttosto, risulta adeguata e coerente in merito alla sussistenza di collegamenti con l’associazione di appartenenza e alla sussistenza e attualità del pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica”.

    Occhi puntati su zia e nipote

    Occhi puntati sul giovane rampollo di casa Messina Denaro ma anche su Patrizia Messina Denaro, zia del giovane e sorella del padrino. Gli investigatori vogliono infatti  anticipare le mosse della mafia trapanese ormai priva di un capo.

    Patrizia Messina Denaro sarà presto scarcerata, il nipote dovrà ancora aspettare. Quando venne arrestata nell’operazione Eden di Dia, carabinieri e polizia, c’era anche Francesco l’amato nipote. E’ stata condannata a 14 anni e mezzo e il nipote a 16 anni. Zia e nipote furono ritenuti colpevoli di associazione mafiosa.

    E intanto ci si interroga, chi è il successore di Matteo Messina Denaro, e dove sono i suoi segreti.

    L’IA per scoprire i favoreggiatori di Messina Denaro

    Intanto si apprende che l’intelligenza artificiale avrebbe contribuito alle indagini sulla rete di favoreggiatori che hanno protetto la latitanza di Matteo Messina Denaro. Grazie all’IA gli investigatori hanno potuto selezionare in tempi più brevi le immagini delle telecamere, che erano state piazzate nel trapanese per arrivare alla cattura del capomafia, riuscendo a ricostruire gli spostamenti dell’auto usata da lui nell’ultimo periodo. Scoprendo di fatto i tragitti fatti dal boss e alcune delle persone incontrate: come Floriana Calcagno, l’insegnante finita in manette il 14 aprile scorso con l’accusa di favoreggiamento e procurata inosservanza di pena aggravati.




  • Trapani
    Gli “Amici Miei” di Custonaci
    Mafia, processo "Scialandro". "Non erano burloni ma mafiosi": il maggiore Cito ha descritto al Tribunale gli affari della cosca mafiosa di Custonaci, le infiltrazioni nella politica e negli appalti
    Rino Giacalone21 Febbraio 2025 - Cronaca



  • Bulgarella contro Tranchida Cronaca

    Trapani – La scena descritta pare ricalcare quella della sceneggiatura della fortunata serie cinematografica “Amici Miei”. Solo che i protagonisti sono parecchio diversi e lontani dagli attori che hanno lavorato insieme per una lunga serie, sotto le migliori regie. I comportamenti non erano quelli propri di quei bricconcelli amanti degli scherzi e delle burle. La combriccola, che amava farsi fotografare allegramente, con tanto di pollici all’insù, si muoveva bene ma per fare…affari, controllare appalti, gestire servizi pubblici, comprare e vendere voti. Nella serie “Amici Miei” ad un certo punto si spiega cos’è il genio.

    Ma chi ha avuto “intuizione, decisione e velocità d’esecuzione” (spiegazione cinematografica del “genio”, l’originale comprende la fantasia ma in questo caso non c’entra) non è stata la brigata che le mascalzonate le avrebbe fatte per davvero e non per scherzo, ma gli investigatori che hanno capito e subito si sono messi addosso.

    Custonaci tra il 2017 e il 2022 è stata preda di boss mafiosi conclamati, per le sentenze passate in giudicato, il carcere non li ha riabilitati ma semmai ha fatto fare a loro carriera, politici e imprenditori conniventi. E’ la sintesi che viene fuori dalla prima udienza del processo scaturito dall’operazione “Scialandro”: davanti al Tribunale, presidente giudice Troja a latere Marroccoli e Cantone, ha cominciato il racconto il maggiore dei Carabinieri Vito Cito, uno degli investigatori del Roni dell’Arma di Trapani, mente storica ma anche testimone attendibile delle dinamiche odierne di Cosa nostra trapanese.

    L’indagine “Scialandro” esplose con arresti e indagati eccellenti nell’ottobre del 2023. Una inchiesta coordinata dalla Procura antimafia di Palermo e condotta assieme da Carabinieri, Dia, Squadra Mobile, loro furono capaci di accendere i riflettori, senza essere visti, su una parte del territorio, da Custonaci a Trapani, da Dattilo a Marsala. Erano amici ma solo tra di loro e amici di Cosa nostra. Le responsabilità contestate agli otto imputati comparsi dinanzi al Tribunale, sono state minuziosamente descritti dal maggiore Cito che ha risposto alle domande dei pm Giacomo Brandini e Giulia Beaux. E’ stata quest’ultima in udienza a fare le domande seguendo passo passo le intercettazioni riportate nell’informativa. E il maggiore Cito ne ha riassunto via via il contenuto.

    Ma siamo solo all’inizio. Non sono state sufficienti le tre ore di deposizione, proseguirà a marzo. Gli imputati sono Pietro Armando Bonanno, Tano Gigante, Mario Mazzara Francesco Lipari, nomi pesanti del gotha mafioso trapanese, Giuseppe Maranzano, Francesco Todaro (tutti presenti e collegati in video conferenza dai rispettivi penitenziari essendo sottoposti a misura cautelare), in aula c’erano invece Mariano Minore e Giuseppe Zichichi.

    Altri indagati, dieci in tutto, sono stati già giudicati e condannati a complessivi 70 anni di carcere, col rito abbreviato, tra loro Giuseppe Costa(nella foto accanto), condannato per l’indagine Scialandro a 4 anni e 10 mesi. Questi da semplice uomo della manovalanza mafiosa, a lui fu affidata per un periodo la gestione del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo (figlio del pentito Santino, strangolato e sciolto nell’acido, per vendetta contro il padre) tenuto anche sequestrato nella frazione Purgatorio di Custonaci, scontata la pena per questo fatto, libero si è ritrovato ai vertici della famiglia mafiosa del suo paese, grazie anche alla parentela intanto stretta con il killer di Cosa nostra Vito Mazzara.

    Cosca mafiosa capace di infiltrarsi nel Comune, all’epoca guidato da uno dei più potenti uomini della Dc trapanese, il medico Giuseppe Morfino (indagato ma finito fuori dall’inchiesta): il maggiore Cito ha fatto cenno alla nomina a vice sindaco di Carlo Guarano, “uomo appartenente alla famiglia di mafia”. Morfino e Guarano furono i primi “bersagli” delle indagini, finiti intercettati per ordine dell’Antimafia. Questo perchè la Procura distrettuale raccolse subito lo spessore di Guarano, intercettato a parlare malamente in una occasione delle manifestazioni a ricordo del giudice Falcone, “sto minchia di Falcone”, cosa che fa ricordare lo sfogo di Matteo Messina Denaro, rimasto imbottigliato in strada a Palermo mentre tanta gente sfilava nel ricordo del magistrato.

    Non tutti sono rimasti a guardare quello che succedeva a Custonaci, e ci sono state le denunce: un imprenditore che ha denunciato i tentativi di avvicinamento, a proposito del controllo del mercato del calcestruzzo, Donato Bernardino, e un ex assessore, Giovanni Noto che decise di non far finta di nulla. Altri sedevano alle tavole dei banchetti elettorali non si sa quanto in modo inconsapevole.

    L’elenco degli affari è lungo, dal controllo dei voti, agli appalti pubblici. Sotto il controllo della cosca secondo il racconto del maggiore Cito i lavori per il lungomare e per il basolato di Cornino, la gestione delle forniture d’acqua, sapere tutto sui guadagni di certe attività, come quelle olearie, sul commercio delle pietre estratte dalla lavorazione del marmo.

    Le intercettazioni hanno captato tante cose, per Carlo Guarano (nella foto accanto) c’erano “i ragazzi” da favorire per gli appalti, Giovanni Marceca e Roberto Melita. E Guarano seguiva personalmente gli appalti, redaguendo in qualche caso l’architetto Giuseppe Morfino, cugino del sindaco, “possedeva tanto mano libera”. A Custonaci non si poteva sbagliare con chi rapportarsi, uno dei pezzi da 90 nel frattempo scomparsi, Antonino Todaro, aveva lasciato detto alla figlia che se avesse avuto bisogno “era con quelli che camminano con me” che avrebbe dovuto rivolgersi. E poi a comandare c’erano i fratelli Mazzara ai quali venivano rendicontati i lavori in corso.

    La testimonianza del maggiore Cito ha anche puntato i riflettori sul sindaco dell’epoca Morfino che non sarebbe stato del tutto ignaro ma non sono emersi profili di complicità. E’ emerso anche il caso di un ex dipendente comunale, Baldassare Campo, il figlio Giovanbattista fu assessore di Morfino, che aveva libero accesso nell’ufficio tecnico e utilizzava le postazioni per sapere di appalti e affidamenti. Tra i nomi indicati quello di Baldassare Bica un altro soggetto, non indagato, ma che l’investigatore ha indicato tra i referenti di Giovanni Marceca.

    L’indagine “Scialandro” fu una conseguenza dell’indagine “Scrigno”, e il maggiore Cito ha riferito della intercettazione di una conversazione tra l’imprenditore trapanese Ninni D’Aguanno e la moglie Ivana Inferrera nel periodo in cui questa fu candidata alle regionali nel 2017. Il marito è stato condannato, lei fu anche arrestata ma prosciolta da ogni accusa. Il marito il giorno dello spoglio elettorale, ha detto l’investigatore, le confidò di avere chiesto aiuto elettorale ai Mazzara di Custonaci, svelando “il nome dei Mazzara suscita timori riverenziali”. Aiuto inutile perché non venne eletta, ma a proposito di aiuti elettorali e di altro, il racconto del maggiore Cito non è terminato.

    Nel processo sono costituite diverse parti civili tra questi il Comune di Custonaci, le associazioni Pio La Torre, Caponnetto e Dino Grammatico.





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