Trapani – Il nome è “pesante”, è quello di Pietro Armando Bonanno, classe 1959. Negli anni ’80 faceva parte della manovalanza a disposizione dei capi dell’epoca, negli anni recenti lui aspirava ad essere il nuovo capo mafia, dopo l’arresto dei predecessori. Faceva parte di quella vecchia mafia, la cosca dei Minore, che negli anni ’80 venne “posata” per ordine dei corleonesi, ma lui trovò presto spazio, mettendosi a disposizione del boss voluto da Riina, Vincenzo Virga. In carcere ci finì negli anni ’90 anche per una condanna all’ergastolo legata all’omicidio avvenuto a Trapani del partannese Pietro Ingoglia. Contro di lui anche altre condanne per la partecipazione all’associazione mafiosa.
Le condanne non valgono per tutti. In carcere i mafiosi si comportano bene, e anche per Pietro Armando Bonanno, alla pari nel tempo di altri condannati per mafia, scattarono premessi e premi, così da permettergli, sebbene ergastolano, di poter lasciare il carcere. Agevolazione per il reinserimento in società. Ma Pietro Armando Bonanno al reinserimento nel contesto civile preferì in ritornare in un’altra società, quella cosiddetta onorata. Un mandamento senza più capi, arrestati Virga e poi dopo di lui Ciccio Pace, a seguire anche i figli di Virga, Pietro e Franco, blasonati per il posto al vertice della locale piramide mafiosa locale, Bonanno si sentiva pronto. E a sostenerlo trovò l’anziano Nino Buzzitta, “consigliori” storico del mandamento da Minore a Virga, e anche Mariano Minore, figlio di Caliddo, Calogero Minore, che Cosa nostra trapanese l’aveva guidata con suo fratello Totò, fatto ammazzare e sciolto nell’acido da Riina, nel novemnre 1982, durante una delle cene horror con le quali i corleonesi scalarono la scala del potere dentro Cosa nostra.
Ieri in Tribunale il maggiore dei Carabinieri Vito Cito, davanti al collegio presieduto dal giudice Daniela Troja, a latere i giudici Marroccoli e Cantone, rispondendo alle domande del pm Giacomo Brandini (Procura distrettuale antimafia di Palermo) ha concluso l’esposizione essenziale delle risultanze dell’indagine antimafia denominata “Scialandro”, condotta anche da Polizia e Dia. Tra gli imputati anche Pietro Armando Bonanno, Mariano Minore, Buzzitta e altri. Cito (in pensione da qualche mese, dopo essere stato uno degli investigatori di punta del Reparto Operativo dell’Arma) in un paio di udienze ha riassunto il contenuto dell’inchiesta che ha riguardato anche Custonaci, Valderice, Paceco ed Erice. I punti cardinali della mafia trapanese.
Nell’udienza di ieri si è soffermato ancora su Pietro Armando Bonanno. Il suo “ufficio” per sbrigare le faccende di mafia, dal controllo del territorio alla riscossione dei guadagni, dal recupero crediti per conto terzi all’intestazione fittizia di beni, era la macelleria di via Agostino Pepoli, a due passi dal Borgo dove Cosa nostra è stata sempre presente. Uomini d’onore con il “colletto bianco”, veri e propri “professionisti”, con il pallino del fare impresa e commercio, capaci ad intrecciare relazioni importanti fin dentro le istituzioni, grazie anche ad agganci in certe logge della massoneria, vecchia e nuova, pronti però, certuni, all’occorrenza, ad usare le maniere forti. Il resoconto investigativo non è datato nel tempo, ma è collocato in un ambito temporale recente, recentissimo. A dispetto di chi dice che la mafia non esiste, ieri la si negava davanti ai corpi straziati degli uccisi, seguendo quella cultura delle negazione imposta proprio dai mafiosi, oggi si sostiene sia stata sconfitta da arresti e condanne, ecco che l’informativa “Scialandro” dei Carabinieri dimostra tutt’altro e che nell’arco temporale dell’inchiesta, tra il 2021 e il 2023, Cosa nostra trapanese, grazie anche a Pietro Armando Bonanno, era parecchio attiva. Intanto dall’occuparsi a far trovare una occupazione e una casa proprio a lui, l’indispensabile che gli serviva per ottenere i permessi di uscita dal carcere.
Ad ascoltare la testimonianza del maggiore Cito è stato impossibile non ricordare quello che dissero a Cinisi gli amici di Peppino Impastato dopo il suo orrendo delitto, il 9 maggio 1978, dai microfoni di Radio Aut, protestando contro quella città che alle persone perbene aveva scelto di stare dalla parte dei mafiosi: “noi la mafia la vogliamo, non perché ci fa paura ma perché ci dà sicurezza…perché ci piace”.
Non è un ricordo calato così per sorprendere, ma per scrivere una volta e per tutte nella pietra, nel marmo, perché resti presente scolpita nella conoscenza collettiva, che qui a Trapani abbiamo una “mafia di prossimità”. Ufficialmente i mafiosi non li conosciamo, non sappiamo chi sono, ma se per caso qualcuno si ritrova un grave problema da risolvere, ecco che invece di andare a bussare alle porte degli uffici giudiziari, si va a cercare il mafioso. Come Pietro Armando Bonanno. Il maggiore Cito ha riferito di quando un noto imprenditore e commerciante trapanese, Benito Spada nel marzo 2023 andò a trovare Bonanno, dopo che un delinquentello , tale Vito Messina, soprannominato “Cucciolo” nell’ambiente criminale del rione popolare di San Giuliano, era andato a dargli fastidio. Spada, titolare di un negozio di abbigliamento e di un’attività ricettiva sulla spiaggia di San Giuliano, il Nais, si era ritrovato a che fare con “Cucciolo” che messo alla porta del locale, dove pretendeva anche di entrare senza pagare, si vendicava quasi ogni giorno con danneggiamenti di vario genere anche a danno degli avventori. Spada pare dopo aver chiesto in giro (non certo rivolgendosi alle forze dell’ordine) ebbe indicato Bonanno e andò a trovarlo nella macelleria “ufficio” del boss.
Le intercettazioni ambientali hanno svelato la discussione tra i due, con Bonanno rassicurante pronto a dirgli che la questione di sarebbe risolta: “senza sparare risolviamo questa situazione”. Bonanno poi ne parlò con Vito Culcasi, “Cucciolo” era imparentato con questi: “u vulia stuccari, ma unnu fici picchì è to parente”. “Ma si c’è da stuccari si stocca”. Dove stuccari sta per far male. Con le “buone” Messina ha desistito con le sue azioni, pare convinto da Culcasi. Ma il boss non fa niente per niente. E Spada secondo il racconto del maggiore Cito, ha dovuto pagare dapprima 2 mila euro e poi altri mille, e forse, ha dovuto regalare anche a Bonanno il vestito buono per il suo matrimonio. In tal senso non ci sono prove, ma sono rimasti solo sospetti. Il processo adesso proseguirà nelle prossime settimane con le domande dei difensori degli imputati.