Siracusa
Siracusa, beni per 3,5 milioni di euro sequestrati al boss Pippo Floridia
Floridia si trova rinchiuso al 41-bis
Redazione18 Aprile 2025 - Cronaca



  • Cronaca

    Siracusa – Colpo al patrimonio illegale della famiglia mafiosa di Pippo Floridia. I finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Siracusa, hanno eseguito un provvedimento di sequestro di beni per 3,5 milioni di euro nella disponibilità di Pippo Floridia.

    L’uomo è ritenuto il reggente della cosca mafiosa “Nardo”, storicamente egemone nel comprensorio settentrionale della provincia. Floridia, detenuto dal 2016 in regime di 41-bis in Umbria, è gravato da più condanne in via definitiva per associazione mafiosa, rapina ed estorsione.

    Le indagini della Guardia di Finanza

    Le indagini delle fiamme gialle hanno consentito di ricostruire un articolato sistema imprenditoriale, mediante il quale Floridia ha esercitato, per oltre un ventennio, un’attività economica nel settore del trasporto di merci su strada, attraverso la costituzione e l’interposizione fittizia di più società, formalmente intestate a persone di fiducia in prevalenza familiari stretti al fine di eludere ogni forma di controllo e schermare la reale titolarità delle attività economiche.

    Il meccanismo utilizzato

    Praticamente gli investigatori hanno accertato che attraverso operazioni societarie complesse, a partire dal trasferimento occulto dei clienti, dei beni aziendali e dei mezzi strumentali da un’impresa all’altra, l’appartenente al clan Nardo si è sottratto agli obblighi fiscali e patrimoniali, mantenendo al contempo continuità nell’attività imprenditoriale.

    I beni sequestrati

    Il sequestro ha interessato: due fabbricati (capannoni e uffici) ad Augusta, edificati abusivamente e oggi adibiti a sede operativa di una delle società riconducibili al boss, un appezzamento di terreno di oltre 5 mila metri quadri nell’agro di Augusta, sul quale insiste un immobile di circa 100 metri quadri, pure abusivo, altri terreni per una estensione superiore a un ettaro, su cui sorge un fabbricato ristrutturato e trasformato in struttura ricettiva formalmente intestata a un congiunto dell’esponente del clan, due società del trasporto merci su strada, nonché somme di denaro depositate su conti correnti bancari intestati alla moglie, valore complessivo di oltre 3,5 milioni di euro.




  • Trapani
    21 Marzo a Trapani. La storia di Marene Ciaccio Montalto
    A Trapani anche chi arrivava per la prima volta
    Laura Spanò22 Marzo 2025 - Attualità



  • Marene e Chicca vittime innocenti di mafia Attualità

    Trapani – Uno dei meriti di Libera è stato quello di aver continuato a dare voce anche a chi “voce” non ne aveva avuta in questi anni. Nella storia delle famiglie di vittime innocenti di mafia infatti ci sono le storie anche di chi non ha avuto non solo verità e giustizia ma anche il giusto riconoscimento, perchè quell’omicidio per anni è stato “mascariato” da bugie, costruite ad arte per sviare le indagini ma anche l’opinione pubblica. La mafia ha saputo fare anche questo.

    E tra queste storie anche quella del Giudice GianGiacomo Ciaccio Montalto, ucciso a Valderice il 25 gennaio 1983. Era evidente che il delitto era di mafia, ma Cosa nostra si diede subito da fare a sporcare, a mascariare, il nome di quel magistrato.

    La cronaca di quella sera

    La sera del 24 gennaio era andato a cena con alcuni amici, in un paese poco distante da Valderice. Al ritorno nella sua villetta dove risiedeva da poco, non riuscì neanche a scendere dall’auto, non aveva aperto neanche lo sportello, quando tre uomini gli sparano armati di una mitraglietta e due pistole calibro 38, spezzandone la vita a quarantadue anni. Sul cruscotto l’orologio era fermo all’1.12. Nessuno sentì e vide nulla. Il suo corpo dovrà attendere la mattina seguente prima di essere ritrovato da un contadino, esangue e senza vita, poco prima delle 7.00. Si era trasferito a vivere da solo nella villetta di campagna per proteggere la moglie e le figlie, aveva paura per loro dopo l’inizio delle telefonate minacciose. Il giorno dell’omicidio, Ciaccio Montalto non aveva scorta: non era stata prevista, nonostante fosse stato destinatario di diverse minacce. Tale circostanza (la mancata scorta, nonché l’isolamento del magistrato) divenne oggetto di una interrogazione parlamentare al Ministro dell’Interno e di un acceso dibattito alla Camera dei Deputati, che vide fra gli altri come protagonista, Leonardo Sciascia

    21 Marzo Trapani

    Venire a Trapani per me è stata una scelta volontaria ma quasi obbligata, perché qui sono a casa e mi sembrava giusto iniziare questo cammino di testimonianza in questo luogo dove mio padre ha perso la vita“. E’ Marene Montalto la figlia di Gian Giacomo Ciaccio Montalto, sostituto procuratore a Trapani ucciso dalla mafia quando lei aveva 12 anni a parlare emozionata da tutto ciò che il 21 marzo le sta portando, a partire dall’affetto profondo di chi la circonda.
    Marene Montalto vive a Parma ed è stata chiamata sul palco ad aprire la XXX Giornata della memoria e dell’impegno per le vittime di mafia a Trapani.
    Ogni momento è un rispolverare i ricordi per me – spiega la figlia del magistrato – mio padre è stato ucciso a gennaio e dopo il suo omicidio sono continuate le minacce e, tra queste, quello di rapire la figlia più grande che ero io“.

    Marene è venuta a Trapani per “gridare forte il nome di suo Padre” tenuto per troppo tempo dentro il suo cuore.

    Era la prima volta che partecipava alla Giornata di Libera

    La testimonianza di vita del padre Marene Montalto in questi anni l’ha raccontata in giro per l’Italia. “Oggi per la lotta alla mafia c’è ancora tanto da fare – dice – per anni abbiamo vissuto col bollino che la mafia esisteva solo a sud, ma poi si è scoperto che la mafia si è espansa a livelli indecifrabili. Che fare? L’importante è lavorare dal basso, tutti insieme. È una questione culturale, innanzitutto. Evitare i favori e far entrare tra le nostre coscienze il senso del dovere e della comunità”.





  • Pio La Torre: 43 anni dopo l’omicidio che fa ancora discutere
    A 43 anni dalla morte di Pio La Torre, emergono ancora interrogativi sui mandanti del suo omicidio. Mafia e politica, quali connessioni?
    Redazione27 Febbraio 2025 - Attualità



  • Omicidio di Pio La Torre Attualità

    locandina pio la torreSono passati 43 anni dalla brutale uccisione di Pio La Torre, dirigente del Partito Comunista Italiano, ma il suo assassinio resta ancora oggi un tema di dibattito. Chi lo ha voluto morto? La mafia, certamente. Ma solo la mafia?

    Le indagini e i processi hanno confermato che dietro l’omicidio avvenuto il 30 aprile 1982 a Palermo ci fossero Totò Riina e Bernardo Provenzano, i vertici di Cosa Nostra. Tuttavia, il quadro è più complesso: La Torre, da sempre impegnato nella lotta contro la criminalità organizzata, si era anche opposto all’installazione dei missili NATO a Comiso, una battaglia pacifista che aveva mobilitato migliaia di persone.

    Pio La Torre non era solo un politico, ma un simbolo della lotta alla mafia e per la giustizia sociale. Il suo impegno e la sua capacità di coinvolgere il popolo lo resero un nemico pericoloso per molti poteri, non solo mafiosi.

    A ricordarne la figura e i misteri della sua morte sarà Armando Sorrentino, avvocato e dirigente dell’ANPI, che discuterà dell’eredità politica e civile di La Torre in un evento organizzato dall’ANPI Trapani il 4 marzo a Palazzo D’Alì. Insieme a lui, i giornalisti Fabio Pace e Rino Giacalone analizzeranno il contesto storico e le ombre che ancora avvolgono l’assassinio.





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