Marsala – Rinviata la sentenza attesa per ieri nel processo a carico dell’ex medico di Campobello di Mazara, Alfonso Tumbarello, accusato di avere favorito la latitanza di Matteo Messina Denaro. Il presidente del tribunale, giudice Vito Marcello Saladino ha disposto un nuovo accertamento medico-legale e informatico”assolutamente necessario”, rinviando al 28 maggio l’udienza per la nomina dei periti, un medico legale e un ingegnere informatico. La richiesta riguarda due prescrizioni: “quello emesso alle ore 10.08 – denominato certificato accesso impianti sportivi, centri estivi e vari; e il certificato di accesso in ospedale con la stessa data delle ore 10:07 e che riguardano paziente Bonafede Andrea. Ed ancora quali dei certificati e delle prescrizioni rilasciate a Bonafede Andrea classe 1963 dall’odierno imputato e acquisiti in atti avrebbero potuto essere rilasciati in base alle regole della scienza medica senza effettuare una visita diretta dello stesso paziente e quali viceversa avrebbero richiesto una preventiva visita”. Documenti che, secondo l’accusa, avrebbero contribuito a costruire l’identità fittizia con cui il boss ha ricevuto cure mediche senza essere scoperto.
Marsala – Davanti al Tribunale di Marsala presieduto da Vito Marcello Saladino, è attesa per oggi la sentenza nei confronti di Alfonso Tumbarello, l’ex medico di base di Campobello di Mazara finito a processo con l’accusa di aver curato Matteo Messina Denaro sotto falsa identità.
Al termine della requisitoria tenuta lo scorso 22 gennaio dal pm della Dda di Palermo Gianluca De Leo per Tumbarello erano stati chiesti 18 anni di carcere. Per l’accusa l’ex medico di base di Campobello di Mazara, città dove il boss oggi deceduto ha vissuto per almeno cinque anni, protetto e riverito da una schiera di favoreggiatori, sarebbe stato un complice prescrivendo e firmando 95 ricette per i farmaci e 42 analisi. Per un totale di 137 prescrizioni per consentire all’allora boss latitante Matteo Messina Denaro, di potersi curare dal cancro di cui soffriva, sotto il falso nome di «Andrea Bonafede», di poter accedere quindi ad ambulatori medici e ospedali per curarsi a spese dello stato nonostante fosse latitante. Secondo l’accusa, il medico avrebbe visitato personalmente Matteo Messina Denaro e sarebbe stato consapevole della sua identità.
La difesa del medico, affidata agli avvocati Gioacchino Sbacchi e Giuseppe Pantaleo, ha invece contestato ogni addebito. Per i legali, Tumbarello non conosceva la vera identità del paziente e agì in totale buona fede. “È stato ingannato dai due Andrea Bonafede – ha sostenuto Sbacchi durante l’arringa –. Tumbarello non aveva rapporti personali con loro, né vantaggi economici. Era convinto di fare il suo dovere”. Pantaleo ha sottolineato che il medico non ha mai cancellato messaggi o contatti dal proprio telefono, anche dopo l’arresto del boss: “Chi è colpevole si preoccupa di nascondere le prove. Lui non ha toccato una virgola. Ha conservato tutto, anche vecchissimi messaggi”. Inoltre, i legali hanno fatto notare come anche altri medici e strutture sanitarie – tra cui la clinica La Maddalena di Palermo – abbiano curato “Bonafede” senza accorgersi della vera identità. “Non c’è alcuna prova concreta di una sua volontà di favorire la mafia – ha ribadito Pantaleo –. Solo ipotesi e suggestioni”.
Castelvetrano – La cifra corrisponde, in eccesso, al Tfr (trattamento di fine rapporto) di un “normale” dipendente pubblico apicale con oltre 40 anni di servizio. Ma quei 130 mila euro nascosti nel sottofondo di un armadio in casa dei potenti Messina Denaro, trovati dai Carabinieri dei Ros nei giorni successivi alla cattura del latitante, pare fossero lì a disposizione per le spese spicce del latitante. Quisquiglie per il capo mafia che in media ogni mese spendeva tra i 10 mila e i 15 mila euro e che nel tempo, negli anni della sua latitanza, ha subito sequestri e confische, direttamente o in maniera indiretta, per svariati milioni di euro.
La scoperta della cassaforte celata dentro quel mobile nella disponibilità di Rosalia Messina Denaro, ha così arricchito di ulteriore particolare lo scenario del dopo cattura del pericoloso latitante. Soldi cash per l’ultimo dei corleonesi e il primo in tante cose nelle faccende di Cosa nostra trapanese.
Occuparsi quindi delle necessità del latitante aveva un ricco ritorno per chi ne era incaricato, la certezza di mettere mano su ricompense nell’ordine del centonaio, massimop migliaio di euro, avere qualche regalo prezioso, ne beneficiavano vivandieri, autisti, maestrine e amanti, figliocci. Ma essere super ricercato, custodire segreti e fare il burattinaio di innumerevoli faccende, coltivare trame anche stragiste, aveva a sua volta il dorato ritorno, per il prootagonista di tutto questo, Matteo Messina Denaro.
Le indagini che hanno riguardato il boss nel corso della sua trentennale latitanza, hanno fatto via via emergere il suo ruolo di capo di Cosa nostra capace non solo di ordinare stragi e delitti, ma anche di tenere in mano le fila di molteplici attività imprenditoriali. Lui assoluto monarca di una holding imprenditoriale con svariati interessi. Uno scenario conclamato da numerosi provvedimenti di confisca, che hanno fatto risalire al boss un patrimonio per svariati milioni di euro. I soldi trovati nella cassaforte nascosta, trovata dai Carabinieri nella casa di famiglia, in via Alberto Mario a Castelvetrano, alla luce delle possidenze economiche del capo mafia, rappresentavano il portafoglio personale per far fronte alle esigenze immediata di quella latitanza dorata.
Da quando il capo mafia è stato arrestato, ammonta a 800 mila euro il patrimonio trovato nella sua disponibilità, tra denaro e gioielli. A tenere il “tesoretto” era Rosalia Messina Denaro, frattanto è stata anche lei arrestata e condannata a 14 anni: ha seguito in carcere il marito, il mafioso di rango palermitano Filippo Guttaduaro, e suo figlio Francesco, il nipote prediletto di Matteo Messina Denaro. Rosalia Messina Denaro li custodiva perché il suo ruolo era non solo quello proprio di sorella del mafioso, ma lei stessa è stata riconosciuta essere “donna di mafia”. Gli appunti trovati nella sua casa sono stati letti come vere e proprie agende sulle quali tenere in ordine i conti, tra entrate e uscite, appunti sottolineati da sigle, queste quelle che nascondono i nomi dei complici di quella latitanza. Fino ad oggi sono finiti arrestati, con i congiunti più intimi, anche personaggi risultati primari solo per avere protetto la latitanza in quel di Campobello di Mazara: amanti, vivandieri e vivandiere, complici, prestanome, ma anche medici, come quelli che in appena dieci giorni hanno permesso al boss di ricevere quelle cure oncologiche che normalmente la sanità pubblica disbriga in mesi e mesi di liste di attesa. C’è ancora da stanare chi per trent’anni ha tagliato la strada agli investigatori che si occupavano della ricerca del pericoloso latitante.
Campobello di Mazara – Era stata la Bonafede nelle sue dichiarazioni spontaneee nel corso del processo che la vedeva imputata a dire che Solimano era Antonio Messina, zio del mio marito. “Quel Solimano di merda ci ha distrutti”, scriveva sprezzante la maestra a Messina Denaro. I due avevano progettato anche di intimidire l’avvocato ritenendo che avesse violato accordi economici.
Matteo Messina Denaro e la sua amante Laura Bonafede, avevano progettato di intimidire pesantemente l’avvocato Antonio Messina, arrestato oggi per associazione mafiosa, ritenendo che avesse violato accordi economici. E’ quanto emerge da un pizzino trovato nel covo del boss scritto dalla donna che dice: “Che Solimano, tenesse tanto al denaro l’ho sempre capito, gli piace spendere e fare soldi facili ma mai avrei potuto pensare che arrivasse a tanto. Quando dici che gliela farai pagare, che non ti fermi, ti posso dire che ne sono certa, ti conosco anche sotto questo aspetto. Non ti nego che mi sarebbe piaciuto che avessi fatto ‘due piccioni con una fava’; Solimano e Pancione. Ma Pancione (il mafioso Epifanio Napoli ndr) ci sta pensando da solo, mangia come un porco, nemmeno può camminare più”.
Dal tenore del biglietto “si comprendeva che, evidentemente, – scrivono i pm nella richiesta di arresto di Messina – entrambi avevano già in passato ricevuto denaro da Solimano, ma l’avidità, l’ingordigia del Messina e il suo mancato rispetto di precedenti accordi o prassi (da leggersi univocamente nei termini di un precedente sovvenzionamento della latitanza di Matteo Messina Denaro e della famiglia di Campobello di Mazara) si erano verificati anche in passato, tanto da costringere Depry (nomignolo con il quale veniva indicato dalla donna proprio il capo mafia latitante), a lanciare un avvertimento a Solimano in modo da fargli avere paura”. E in effetti Messina nel tempo ha subito diversi episodi intimidatori. Nel settembre 2016 per esempio due autovetture di Antonio Messina erano state incendiate a Campobello di Mazara.
Campobello di Mazara – Sospesa dall’insegnamento la professoressa di matematica Floriana Calcagno di Campobello di Mazara, arrestata dal Ros dei carabinieri e dallo Sco della polizia, nell’ambito dell’inchiesta sulla latitanza di Matteo Messina Denaro. Il provvedimento cautelare facoltativo è stato firmato dalla dirigente dell’istituto Ruggero D’Altavilla di Mazara del Vallo, Graziella Lisma, dopo che i carabinieri sono andati nella scuola per una perquisizione nell’ambito dell’inchiesta sulla Calcagno.
Il dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale di Trapani, Davide Nugnes, ha convalidato l’atto divenuto così sospensione obbligatoria. Floriana Calcagno era docente supplente con un incarico fino al 30 giugno.
Nei confronti della donna l’Ufficio scolastico provinciale ha anche avviato un provvedimento disciplinare, sospeso in attesa della definizione dell’iter giudiziario. Per la Procura di Palermo la donna avrebbe favorito la latitanza di Messina Denaro, col quale si sarebbe incontrata più volte.
Cinque giorni dopo l’arresto del superlatitante, la professoressa si era recata spontaneamente in procura per informare i magistrati che aveva avuto una relazione con quell’uomo che lei conosceva come Francesco Salsi medico in pensione.
Campobello di Mazara – Da ieri la professoressa di matematica, Floriana Calcagno di 50 anni è rinchiusa in carcere. E’ stata arrestata dai carabinieri del Ros e dai poliziotti dello Sco che indagano sulla rete di finacheggiatori del boss deceduto Matteo Messina Denaro.
La professoressa sei giorni dopo la cattura di Messina Denaro a Palermo si era presentata spontaneamente dai carabinieri dicendo di avere avuto una breve relazione con Messina Denaro, ma lei lo conosceva come Francesco Salsi, medico in pensione. Una dichiarazione a cui gli investigatori e i magistrati mai hanno creduto. Così dopo mesi di indagini ieri la donna è finita in carcere.
A Floriana Calcagno i magistrati – il procuratore Maurizio de Lucia, l’aggiunto Paolo Guido e i pm Piero Padova e Gianluca De Leo- contestano, tra l’altro, di aver assicurato a Matteo Messina Denaro «sostegno logistico, aiuto e supporto morale e materiale, nel territorio di Campobello di Mazara, Mazara del Vallo, Tre Fontane e in altre località della provincia di Trapani e di avergli assicurato, attraverso un sistema di staffetta e di scorta con la propria vettura, la possibilità di spostarsi da un comune all’altro in modo riservato».
E’ proprio la gelosia delle amanti che sta facendo cadere a poco a poco quel muro di omertà che per 30 anni ha coperto la latitanza di Matteo Messina Denaro.
Per ricostruire il ruolo avuto da Floriana Calcagno, nella latitanza di Matteo Messina Denaro sono stati fondamentali, oltre agli appunti trovati nel covo del capomafia, gli scritti indirizzati al boss da un’altra sua amante, la maestra Laura Bonafede, già condannata per associazione mafiosa. Nelle lettere per il ricercato la Bonafede indicava Calcagno con una serie di soprannomi, come «Handicap, Acchina o Sbrighisi». Incrociandoli con altri elementi, come le immagini registrate da diverse videocamere che hanno immortalato episodi raccontati dalla Bonafede e relativi alla donna, gli inquirenti hanno capito chi si celasse dietro gli pesudonimi.
Dal manoscritto trovato nel covo del ricercato emerge tutta la gelosia della Bonafede verso Calcagno. «Dici che Acchina ti aiuta come può. Ma cosa può fare per te?», scriveva. ”La frase di alto significato indiziante, faceva chiaramente intendere che il latitante in precedenza aveva confidato alla Bonafede – scrivono i pm – il ruolo svolto dalla Calcagno nel suo sistema di protezione, ruolo che consisteva nell’offrire ed adoperarsi su ’cose fatte per luì». Nello scritto la maestra mostrava anche di non credere a quello che le aveva detto il latitante e cioè che la relazione con la Calcagno risalisse ad aprile 2022. «E poi ci sono date che non mi quadrano. Tu mi parli di aprile 2022“ diceva. Bonafede sospettava che la storia tra i due fosse precedente. «E poi se ben ricordi ti disse che voleva parlarti già nell’agosto 2017, o l’hai dimenticato?», scriveva. Sempre sfogando la sua gelosia verso l’altra, Bonafede commentava: «per ora se penso a Sbrighisi che passava con quella faccia compiaciuta, dopo essere stata con te, le bastonate gliele darei eccome».
Infine in uno scritto del 30 dicembre 2022, Bonafede raccontava al capomafia di aver visto uscire dalla «zona chiave», il covo di Campobello di Mazara, proprio Calcagno. “Stavolta mi è cambiato l’umore, quella scena mi ha cambiato la giornata. Alle 11.40 circa ho visto Handicap che usciva dalla zona chiave, dritta come un palo e con una Louis Vuitton sicuramente regalata da te. Regali borse come un distintivo? Fuck», sbottava.
Palermo – La terza sezione della Corte d’Appello di Palermo presieduta da Sergio Gulotta, ha confermato la sentenza emessa, il 14 dicembre 2023, dal gup Ermelinda Marfia nel processo abbreviato a 27 persone coinvolte nell’operazione antimafia dei carabinieri «Hesperia». Assolto solo uno degli imputati condannati in primo grado, Paolo Bonanno, 50 anni, di Mazara del Vallo, ed ha rideterminando le pene ad altri tre.
L’operazione dei carabinieri risale al 6 settembre 2022, e disarticolò le famiglie mafiose di Marsala, Mazara del Vallo e Campobello di Mazara. Nell’indagine furono coinvolti 35 presunti mafiosi e fiancheggiatori di Cosa Nostra (otto sono stati processati con rito ordinario davanti il Tribunale di Marsala) riportando in cella fedelissimi del boss Matteo Messina Denaro, come il 69enne capomafia campobellese Francesco Luppino, zio della professoressa di matematica Floriana Calcagno arrestata stamane (14 aprile 2025) considerata non solo una delle amanti del boss (oggi deceduto) è accusata infatti di favoreggiamento aggravato e procurata inosservanza di pena. Avrebbe aiutato il latitante a sottrarsi alla cattura e di conseguenza ad esercitare il suo potere.
Queste le condanne: Francesco Luppino 20 anni; Marco Buffa, Mazara del Vallo 11 anni e 4 mersi; Leonardo Casano, Marsala, 6 anni; Antonino Cuttone, Mazara del Vallo, 18 anni; Piero Di Natale, Castelvetrano, 16 anni, Vito Gaiazzo, Mazara del Vallo, 9 anni e 4 mesi; Girolamo Li Causi, Marsala, 4 anni e 4 mesi; Jonathan Lucchese, Palermo, 3 anni e 8 mesi; Marco Manzo, Campobello di Mazara, 4 anni e 4 mesi; Antonino Nastasi, Campobello di Mazara, 5 anni e 4 mesi; Vincenzo Pisciotta, Mazara del Vallo, 6 anni e 4 mesi; Giuseppa Prinzivalli, Marsala, 5 anni.
Ed ancora: Francesco Pulizzi, Marsala, 5 anni; Antonino Ernesto Raia, Marsala, 12 anni; Francesco Raia, 28 anni e sei mesi (in continuazione con una sentenza del 2013); Tiziana Rallo Marsala, 8 anni e 8 mesi; Vito Rallo, 4 anni e 4 mesi; Vincenzo Romano, Mazara del Vallo, 6 anni; Carmelo Salerno, Paceco, 6 anni e 8 mesi; Giuseppe Speciale, Partinico, 5 anni e 4 mesi; Francesco Stallone, Campobello di Mazara, 4 anni e 4 mesi; Rosario Stallone, 3 anni e 4 mesi; Michele Vitale, Partinico, 6 anni.
Nell’abbreviato, il gup Marfia aveva inflitto a 27 imputati condanne per quasi 230 anni di carcere, e circa 140 mila euro di multe. Le pene più severe (20 anni di carcere) per Luppino e per il marsalese Francesco Giuseppe Raia, di 57. Per quest’ultimo, i giudici di secondo grado hanno rideterminato la pena in 28 anni e 6 mesi di carcere in continuazione con un’altra condanna definitiva dal 2014.