Palermo
Corruzione: dopo Galvagno indagata l’assessore regionale Elvira Amata
L'indagine scattò dopo la costosa mostra organizzata dalla Sicilia al festival di Cannes
Redazione30 Giugno 2025 - Cronaca



  • Cronaca

    Palermo – Anche l’assessore regionale al Turismo Elvira Amata è indagata per corruzione. Le indagini sarebbero state avviate nel settembre del 2023. Nel gennaio scorso, la componente della giunta di Renato Schifani ha ricevuto un avviso di proroga delle indagini, con un termine fissato al 27 marzo del 2025.

    La vicenda rappresenterebbe uno dei filoni dell’inchiesta che ha coinvolto anche a vario titolo il presidente dell’Ars Gaetano Galvagno, imprenditori e collaboratori.

    Il nome dell’assessore è nell‘informativa principale depositata al Tribunale del Riesame di Palermo. Sotto intercettazione è finito il telefono di Giuseppe Martino, che dell’assessore al Turismo Amata è stato anche Vice capo di gabinetto vicario, prima di essere nominato Segretario particolare, lo scorso gennaio.

    Nell’informativa dei finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria sono finite anche le trascrizioni di alcune conversazioni di Amata, che nel gennaio è andata al Turismo mentre mentre Francesco Paolo Scarpinato si è spostato ai Beni culturali e dell’identità siciliana.

    Erano quelli i giorni delle polemiche per la costosa mostra organizzata dalla Sicilia al festival di Cannes e lo stop in autotutela del finanziamento da parte del governatore. Da questa vicenda sono partite le indagini.

    Tra gli episodi sotto esame della Procura di Palermo, pure la manifestazione Magico Natale, organizzata dalla Fondazione Dragotto. La vicepresidente della fondazione, Marcella Cannariato – indagata anch’ella per corruzione insieme a Galvagno – avrebbe discusso con Martino di una cifra di 100 mila euro, legata a un progetto da tenersi tra Messina, Catania e Palermo. Nella conversazione intercettata, Cannariato afferma: «Ho bisogno del tuo aiuto… non è che gratis l’aiuto tuo». Martino risponde parlando della necessità di un «lavoro certosino» e accenna a un possibile incarico futuro.

     




  • Trapani
    Gli “Amici Miei” di Custonaci
    Mafia, processo "Scialandro". "Non erano burloni ma mafiosi": il maggiore Cito ha descritto al Tribunale gli affari della cosca mafiosa di Custonaci, le infiltrazioni nella politica e negli appalti
    Rino Giacalone21 Febbraio 2025 - Cronaca



  • Bulgarella contro Tranchida Cronaca

    Trapani – La scena descritta pare ricalcare quella della sceneggiatura della fortunata serie cinematografica “Amici Miei”. Solo che i protagonisti sono parecchio diversi e lontani dagli attori che hanno lavorato insieme per una lunga serie, sotto le migliori regie. I comportamenti non erano quelli propri di quei bricconcelli amanti degli scherzi e delle burle. La combriccola, che amava farsi fotografare allegramente, con tanto di pollici all’insù, si muoveva bene ma per fare…affari, controllare appalti, gestire servizi pubblici, comprare e vendere voti. Nella serie “Amici Miei” ad un certo punto si spiega cos’è il genio.

    Ma chi ha avuto “intuizione, decisione e velocità d’esecuzione” (spiegazione cinematografica del “genio”, l’originale comprende la fantasia ma in questo caso non c’entra) non è stata la brigata che le mascalzonate le avrebbe fatte per davvero e non per scherzo, ma gli investigatori che hanno capito e subito si sono messi addosso.

    Custonaci tra il 2017 e il 2022 è stata preda di boss mafiosi conclamati, per le sentenze passate in giudicato, il carcere non li ha riabilitati ma semmai ha fatto fare a loro carriera, politici e imprenditori conniventi. E’ la sintesi che viene fuori dalla prima udienza del processo scaturito dall’operazione “Scialandro”: davanti al Tribunale, presidente giudice Troja a latere Marroccoli e Cantone, ha cominciato il racconto il maggiore dei Carabinieri Vito Cito, uno degli investigatori del Roni dell’Arma di Trapani, mente storica ma anche testimone attendibile delle dinamiche odierne di Cosa nostra trapanese.

    L’indagine “Scialandro” esplose con arresti e indagati eccellenti nell’ottobre del 2023. Una inchiesta coordinata dalla Procura antimafia di Palermo e condotta assieme da Carabinieri, Dia, Squadra Mobile, loro furono capaci di accendere i riflettori, senza essere visti, su una parte del territorio, da Custonaci a Trapani, da Dattilo a Marsala. Erano amici ma solo tra di loro e amici di Cosa nostra. Le responsabilità contestate agli otto imputati comparsi dinanzi al Tribunale, sono state minuziosamente descritti dal maggiore Cito che ha risposto alle domande dei pm Giacomo Brandini e Giulia Beaux. E’ stata quest’ultima in udienza a fare le domande seguendo passo passo le intercettazioni riportate nell’informativa. E il maggiore Cito ne ha riassunto via via il contenuto.

    Ma siamo solo all’inizio. Non sono state sufficienti le tre ore di deposizione, proseguirà a marzo. Gli imputati sono Pietro Armando Bonanno, Tano Gigante, Mario Mazzara Francesco Lipari, nomi pesanti del gotha mafioso trapanese, Giuseppe Maranzano, Francesco Todaro (tutti presenti e collegati in video conferenza dai rispettivi penitenziari essendo sottoposti a misura cautelare), in aula c’erano invece Mariano Minore e Giuseppe Zichichi.

    Altri indagati, dieci in tutto, sono stati già giudicati e condannati a complessivi 70 anni di carcere, col rito abbreviato, tra loro Giuseppe Costa(nella foto accanto), condannato per l’indagine Scialandro a 4 anni e 10 mesi. Questi da semplice uomo della manovalanza mafiosa, a lui fu affidata per un periodo la gestione del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo (figlio del pentito Santino, strangolato e sciolto nell’acido, per vendetta contro il padre) tenuto anche sequestrato nella frazione Purgatorio di Custonaci, scontata la pena per questo fatto, libero si è ritrovato ai vertici della famiglia mafiosa del suo paese, grazie anche alla parentela intanto stretta con il killer di Cosa nostra Vito Mazzara.

    Cosca mafiosa capace di infiltrarsi nel Comune, all’epoca guidato da uno dei più potenti uomini della Dc trapanese, il medico Giuseppe Morfino (indagato ma finito fuori dall’inchiesta): il maggiore Cito ha fatto cenno alla nomina a vice sindaco di Carlo Guarano, “uomo appartenente alla famiglia di mafia”. Morfino e Guarano furono i primi “bersagli” delle indagini, finiti intercettati per ordine dell’Antimafia. Questo perchè la Procura distrettuale raccolse subito lo spessore di Guarano, intercettato a parlare malamente in una occasione delle manifestazioni a ricordo del giudice Falcone, “sto minchia di Falcone”, cosa che fa ricordare lo sfogo di Matteo Messina Denaro, rimasto imbottigliato in strada a Palermo mentre tanta gente sfilava nel ricordo del magistrato.

    Non tutti sono rimasti a guardare quello che succedeva a Custonaci, e ci sono state le denunce: un imprenditore che ha denunciato i tentativi di avvicinamento, a proposito del controllo del mercato del calcestruzzo, Donato Bernardino, e un ex assessore, Giovanni Noto che decise di non far finta di nulla. Altri sedevano alle tavole dei banchetti elettorali non si sa quanto in modo inconsapevole.

    L’elenco degli affari è lungo, dal controllo dei voti, agli appalti pubblici. Sotto il controllo della cosca secondo il racconto del maggiore Cito i lavori per il lungomare e per il basolato di Cornino, la gestione delle forniture d’acqua, sapere tutto sui guadagni di certe attività, come quelle olearie, sul commercio delle pietre estratte dalla lavorazione del marmo.

    Le intercettazioni hanno captato tante cose, per Carlo Guarano (nella foto accanto) c’erano “i ragazzi” da favorire per gli appalti, Giovanni Marceca e Roberto Melita. E Guarano seguiva personalmente gli appalti, redaguendo in qualche caso l’architetto Giuseppe Morfino, cugino del sindaco, “possedeva tanto mano libera”. A Custonaci non si poteva sbagliare con chi rapportarsi, uno dei pezzi da 90 nel frattempo scomparsi, Antonino Todaro, aveva lasciato detto alla figlia che se avesse avuto bisogno “era con quelli che camminano con me” che avrebbe dovuto rivolgersi. E poi a comandare c’erano i fratelli Mazzara ai quali venivano rendicontati i lavori in corso.

    La testimonianza del maggiore Cito ha anche puntato i riflettori sul sindaco dell’epoca Morfino che non sarebbe stato del tutto ignaro ma non sono emersi profili di complicità. E’ emerso anche il caso di un ex dipendente comunale, Baldassare Campo, il figlio Giovanbattista fu assessore di Morfino, che aveva libero accesso nell’ufficio tecnico e utilizzava le postazioni per sapere di appalti e affidamenti. Tra i nomi indicati quello di Baldassare Bica un altro soggetto, non indagato, ma che l’investigatore ha indicato tra i referenti di Giovanni Marceca.

    L’indagine “Scialandro” fu una conseguenza dell’indagine “Scrigno”, e il maggiore Cito ha riferito della intercettazione di una conversazione tra l’imprenditore trapanese Ninni D’Aguanno e la moglie Ivana Inferrera nel periodo in cui questa fu candidata alle regionali nel 2017. Il marito è stato condannato, lei fu anche arrestata ma prosciolta da ogni accusa. Il marito il giorno dello spoglio elettorale, ha detto l’investigatore, le confidò di avere chiesto aiuto elettorale ai Mazzara di Custonaci, svelando “il nome dei Mazzara suscita timori riverenziali”. Aiuto inutile perché non venne eletta, ma a proposito di aiuti elettorali e di altro, il racconto del maggiore Cito non è terminato.

    Nel processo sono costituite diverse parti civili tra questi il Comune di Custonaci, le associazioni Pio La Torre, Caponnetto e Dino Grammatico.




  • Gibellina
    Funerali vietati dalla questura del boss di Gibellina Vincenzo Funari
    L'uomo considerato a capo della famiglia mafiosa di Gibellina è deceduto ieri pomeriggio
    Redazione18 Febbraio 2025 - Cronaca



  • Cronaca

    Gibellina – Il Questore di Trapani, ha disposto specifico divieto di svolgimento delle esequie in forma pubblica per Vincenzo Funari, deceduto ieri pomeriggio a Marsala. In virtù del provvedimento  è vietata ogni commemorazione od altra funzione religiosa che si svolga al di fuori del cimitero dove la salma dell’uomo, nelle prossime ore, verrà trasferita e tumulata.

    Funari deceduto a Marsala, nel pomeriggio di ieri, a capo della famiglia mafiosa di Gibellina, più volte arrestato poiché ritenuto appartenente alla consorteria mafiosa cosa nostra operante in provincia di Trapani per associazione per delinquere di tipo mafioso ed altri gravi reati.

    Funari 92 anni nel 2010 era tra gli arrestati nell’operazione “Nerone” dei Carabinieri e successivamente condannato nel processo svoltosi con il rito abbreviato al Tribunale di Palermo.

    Grazie ad una serie di intercettazioni ambientali e telefoniche disposte presso l’abitazione di Funari, al tempo ai domiciliari per una precedente inchiesta giudiziaria, gli investigatori dell’Arma avevano ricostruito le attività di Cosa Nostra in quel territorio. Il capo mafia, infatti, riceveva tranquillamente “ospiti”,  che provenivano anche da Marsala, per mettere a punto le strategie criminali.

    Sempre in quelle intercettazioni, era emerso come la presenza dell’allora latitante Matteo Messina Denaro nel territorio desse fastidio ai boss. Funari, ancora intercettato, diceva “fino a che c’è iddu in giro beddu tempo un cinn’è” (“fino a che c’è questo in giro bel tempo non ce ne sarà per nessuno”), una lamentela per la massiccia presenza investigativa volta alla cattura del capo mafia di Castelvetrano che faceva sentire gli affiliati, e lo dicevano nelle conversazioni intercettate, “con il fiato sul collo”.

    La tipologia di provvedimento disposta dal Questore  ha la finalità di scongiurare che i funerali possano costituire il pretesto per manifestazioni di consenso più o meno esplicito verso l’organizzazione mafiosa.




  • Trapani
    L’onorevole “risolve i guai”
    Processo Artemisia: seconda giornata per la requisitoria. Le posizioni dell'ex coordinatore Inps Orlando e dei poliziotti Passanante, Virgilio e Giacobbe. "Un patto di corruzione"
    Rino Giacalone1 Febbraio 2025 - Cronaca



  • Bulgarella contro Tranchida Cronaca

    Trapani – Ancora un’altra lunga udienza impegnata per cinque ore con la requisitoria del pm Sara Morri nel processo scaturito dall’operazione dei Carabinieri di Trapani, marzo 2019, cosiddetta “Artemisia” e che si celebra dinanzi al Tribunale di Trapani, presieduto dal giudice Franco Messina, a latere i giudici Bandiera e Cantone. Quella di oggi non è stata però l’udienza finale, al pm ne servirà un’altra, il prossimo 28 febbraio, per toccare, prima delle richieste finali dell’accusa, l’ultimo dei 19 capi di imputazione, quello che ipotizza, a carico di sette dei diciassette imputati, l’esistenza di una associazione segreta, in violazione della legge Anselmi. Si tratta del capitolo investigativo relativo all’ipotesi dell’esistenza a Castelvetrano di una loggia massonica segreta, capeggiata dall’ex deputato regionale del centrodestra (Ncd) Giovanni Lo Sciuto.

    Parola al Pm

    Carte alla mano, la trascrizione delle intercettazioni, le deposizioni degli investigatori e di alcuni testi, i dialoghi intercettati in carcere di alcuni degli imputati, nonché il contenuto dei verbali di interrogatorio, il pm Sara Morri ha delineato quello che nel tempo sarebbe stato lo “sportello unico” per risolvere ogni “guaio” e ogni “problema”, guai e problemi di qualsivoglia natura, gestito dal principale degli imputati, l’ex deputato regionale Giovanni Lo Sciuto. Un impegno politico il suo sempre all’interno del centrodestra, da ultimo nella formazione Ncd che faceva riferimento all’allora ministro Angelino Alfano. Ad essere stati scandagliati i rapporti di corruttela tra Lo Sciuto e tre poliziotti, Salvatore Passanante, Salvatore Virgilio e Salvatore Giacobbe, nonché quelli tra l’ex deputato regionale e il coordinatore del servizio di medicina legale dell’Inps di Trapani, Rosario Orlando. Tutti legati con Lo Sciuto da “un patto”. Comune denominatore la “messa a disposizione”, ha affermato il pm Sara Morri, “per risolvere interessi privati”: a prescindere dall’esito di alcune segnalazioni o raccomandazioni, per la pubblica accusa “la corruzione è maturata già con la sola promessa”. E Lo Sciuto di promesse ne faceva tante, ogni giorno.

    Cosa è emerso dall’inchiesta

    L’inchiesta ha fatto emergere la grande confidenza tra Lo Sciuto, i poliziotti sotto indagine e Orlando. I primi avrebbero tradito anche certe indagini. Orlando si occupava delle pratiche Inps indicate dal deputato e in cambio otteneva benefit, e di contro Lo Sciuto conteggiava i voti che otteneva per ogni pratica che andava in porto. Ai tre poliziotti, Passanante in servizio al Commissariato di Castelvetrano. Virgilio, alla Dia di Trapani, Giacobbe alla Questura di Palermo, il pm ha contestato comportamenti che non hanno onorato la divisa indossata e tutto questo per avere in cambio assunzioni di familiari presso l’Anfe (Formazione Professionale) di Paolo Genco o per avere risolte questioni burocratiche inerenti una coop che si occupava di accoglienza dei migranti. Rapporti di grande confidenza che hanno anche permesso a Lo Sciuto di apprendere cose che giammai avrebbe dovuto sapere, indagini della Procura di Marsala e la stessa indagine della Procura di Trapani, sfociata poi nell’odierno processo. Ma anche di una indagine della Procura di Palermo che aveva come bersaglio una donna che sarebbe stata in relazione con il presidente Anfe Genco, e che nel frattempo era uno dei “bersagli” nell’ambito della ricerca del latitante Matteo Messina Denaro. Una indagine quest’ultima svelata dal poliziotto Virgilio che, ha evidenziato l’accusa, faceva anche accessi abusivi alla banca dati delle forze dell’ordine. Da Giacobbe poi Lo Sciuto avrebbe appreso dell’indagine che lo riguardava, “hai il telefono sotto controllo”, lo avvertì Isidoro Calcara, anche lui imputato nel processo per essere stato una sorta di tuttofare del politico, e che era stato ultimo destinatario della notizia fornita dal poliziotto.

    L’esistenza dell’indagine nei suoi confronti, Lo Sciuto la ebbe confermata dall’allora presidente dell’Ars, Francesco Cascio, che a sua volta aveva avuto conferma da Giovannantonio Macchiarola, capo di gabinetto del ministro Alfano (che all’epoca dei fatti sedeva al ministero degli Interni). Lo Sciuto se la prese a male con Cascio, perché appurò che il suo “amico” presidente dell’Ars sapeva dell’inchiesta già da un paio di mesi, ma si era guardato bene dall’informarlo, salvo darne conferma in occasione di un incontro ottenuto da Lo Sciuto a Palazzo dei Normanni: “quello minchia lo sapeva e non me lo ha detto – si sfogava l’on. Lo Sciuto con Calcara di ritorno da Palermo – sanno tutte cose (riferendosi ai magistrati ndr) sono bastardi”. Il medico Rosario Orlando era poi il grimaldello nelle mani di Lo Sciuto per la gestione delle pratiche per il riconoscimento delle invalidità all’interno dell’Inps di Trapani. E Orlando per i favori resi in un paio di occasioni chiese a Lo Sciuto il tornaconto per vedere aiutata la figlia a ottenere una borsa di studio presso l’Università di Palermo o ancora un posto nei beni culturali. Referente di Lo Sciuto all’epoca fu l’allora rettore, oggi sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, e poi gli ambienti romani, ancora Macchiarola per contattare il sottosegretario Dorina Bianchi. Altro favore chiesto quello per una sanatoria che riguardava un ristorante di Castelvetrano. Cascio, Lagalla e Macchiarola erano indagati, le loro posizioni sono state stralciate, e infine archiviate a Palermo e a Roma.





  • Altre Notizie
  • Altre Notizie di Cronaca
    Redazione
    Redazione
    Redazione
    Settimana memoria mafia Erice
    Rino Giacalone
    Redazione
    Laura Spanò
    Papania e Perricone
    Rino Giacalone
    Redazione
    Carcere di Trapani, rinvenuti dalla polizia due smartphone
    Redazione
    carabinieri trapani
    Redazione
    Estorsione imprenditore Partinico Palermo
    Redazione
    Redazione