Roma – La stagione del 730 è iniziata e milioni di italiani stanno utilizzando lo Spid per accedere ai servizi della pubblica amministrazione. Ma proprio in questo periodo, aumenta il rischio della pericolosa truffa del “doppio Spid”, che mette a rischio rimborsi e pensioni. Scopri come riconoscerla, evitarla e cosa fare se sei già vittima.
Che cos’è la truffa del doppio Spid
Il “doppio Spid” sfrutta una debolezza del sistema: è possibile attivare più identità digitali valide con lo stesso codice fiscale, usando semplicemente indirizzi email e numeri di telefono diversi. I truffatori rubano documenti d’identità e selfie attraverso sms falsi (smishing), creando così un secondo Spid fraudolento. Con questa identità parallela possono incassare rimborsi fiscali o pensioni, modificare dati bancari e persino firmare documenti digitalmente a tua insaputa.
Come riconoscere il tentativo di smishing
Gli sms fraudolenti simulano comunicazioni ufficiali di enti come l’Inps e contengono link che conducono a siti falsi. Una volta aperto il sito, ti viene chiesto di inserire dati sensibili come documenti di identità o video-selfie. Fai attenzione: nessuna istituzione pubblica ti chiederà mai dati personali tramite sms.
Cosa fare per proteggersi dal doppio Spid
Controlla sempre l’Iban associato ai tuoi dati su portali ufficiali (Inps, Agenzia delle Entrate, NoiPA).
Non cliccare mai su link sospetti ricevuti tramite sms o email.
Utilizza sempre l’autenticazione a due fattori per una maggiore sicurezza.
Segnala subito eventuali anomalie al Cert-AgID e alla polizia postale.
Sei già stato truffato? Ecco cosa fare
Se hai inviato documenti o cliccato su link sospetti:
Denuncia immediatamente l’accaduto alla polizia postale.
Monitora costantemente il tuo conto corrente.
Richiedi subito il rimborso degli addebiti non autorizzati alla tua banca, utilizzando la direttiva Psd2.
Attenzione alla truffa dei 5 euro nei distributori
La Polizia Stradale lancia l’allarme: come riconoscere e difendersi dalla nuova truffa del carburante
Italia – Sta prendendo piede anche in Italia la truffa dei 5 euro, un raggiro subdolo che sfrutta la buona fede degli automobilisti, specialmente durante il rifornimento in self-service notturni. Dopo essersi diffuso in Francia, Spagna e Portogallo, questo inganno arriva ora nei distributori italiani, spingendo la Polizia Stradale a lanciare un appello urgente: massima attenzione e collaborazione da parte dei cittadini per fermare l’ondata di truffe.
Come funziona la truffa dei 5 euro
Il meccanismo è semplice ma ingannevole. Un individuo si avvicina mentre si fa benzina, spesso in orari notturni o in aree di servizio isolate, raccontando di avere problemi con la carta di pagamento. Chiede un “favore”: pagare solo 5 euro di carburante con la promessa di rimborsare subito in contanti.
Una volta ottenuto l’accesso alla pompa o alla carta, però, il truffatore riempie il serbatoio per importi ben superiori, approfittando della distrazione o dell’impossibilità della vittima di intervenire. In alcuni casi, viene anche usata l’intimidazione per completare il rifornimento e fuggire senza lasciare traccia.
Perché è pericolosa e in crescita
Questa truffa si diffonde velocemente a causa di:
Aumento delle stazioni automatizzate non presidiate
Carenza di controlli nelle ore notturne
Fiducia e cortesia spontanea degli automobilisti
Il danno economico può variare da 20 a oltre 100 euro, lasciando l’automobilista a dover coprire l’intero importo sottratto con l’inganno.
I consigli della Polizia Stradale
La prevenzione è fondamentale. Ecco come proteggersi:
Non accettare richieste di pagamento da sconosciuti, anche se sembrano urgenti o innocue.
Evita di fare rifornimento in orari notturni o in distributori isolati, preferendo quelli con personale.
Tieni sempre sotto controllo la tua carta e non condividere mai PIN o dispositivi di pagamento.
Segnala subito episodi sospetti chiamando il numero 112 o informando la Polizia Stradale.
Questi semplici comportamenti possono evitare spiacevoli sorprese e contribuire a fermare una truffa che colpisce proprio dove le persone si sentono più tranquille: alla pompa di benzina.
Sicurezza prima di tutto
Un piccolo gesto di fiducia può costare caro. La truffa dei 5 euro è solo una delle tante insidie quotidiane, ma con attenzione e consapevolezza possiamo tutti contribuire a fermare i truffatori. Segnalate gli episodi sospetti e condividete queste informazioni con amici e familiari: la prevenzione parte da ognuno di noi.
Hai mai vissuto un episodio simile? Raccontalo nei commenti o condividi questo articolo per aiutare altri a non cadere nella trappola. Seguici su TrapaniOggi.it per rimanere sempre aggiornato su sicurezza e attualità locale.
Palermo – Scoperto nel palermitano dalla guardia di Finanza una maxi-frode sulle accise dei carburanti. Le fiamme gialle hanno scoperto società di comodo e documenti falsi. Il meccanismo avrebbe permesso di sottrarre al pagamento delle imposte oltre 11 milioni di litri di prodotto petrolifero.
L’attività di indagine è stata effettuata dal nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo e il Gruppo operativo regionale Antifrode dell’Agenzia delle Dogane che hanno eseguito un’ordinanza emessa dal gip di Termini Imerese con cui è stato disposto il sequestro preventivo di 10 complessi aziendali, nonché di beni e di disponibilità finanziarie per oltre 15 milioni di euro nei confronti di 13 soggetti.
Il meccanismo della truffa
Attraverso diversi depositi commerciali riconducibili ai vertici del sodalizio criminale, l’organizzazione avrebbe emesso fatture per operazioni inesistenti e predisposto DAS fittizi al fine di documentare la vendita di carburante a “società di comodo” o aziende del tutto ignare di quanto avveniva, mentre lo stesso, in realtà, veniva ceduto “in nero” a soggetti terzi non aventi titolo a riceverlo.
Tutto questo consentiva di praticare prezzi fortemente concorrenziali a discapito degli altri operatori del settore. Il descritto sistema di frode – come accertato all’esito di indagini tecniche, servizi di riscontro su strada e mirate attività ispettive – avrebbe garantito un significativo abbattimento dell’I.V.A. e delle Accise dovute, oltre che delle imposte dirette, generando un’evasione d’imposta, e un conseguente danno alle casse dello Stato, pari a 15.231.376,80 euro.
Agli indagati sono contestati, a vario titolo, i reati di: associazione per delinquere, sottrazione all’accertamento o al pagamento dell’accisa sui prodotti energetici, irregolarità nella loro circolazione e illeciti di natura tributaria.
Palermo – Il Tribunale ha annullato il decreto di sequestro preventivo pari a 3,4 milioni di euro di Tele Rent. Il Tribunaleha infatti accolto il riesame depositato dagli avvocati Vincenzo Giacona Venuti e Mattia Caleca ed ha orindato la restituzione dei beni all’imprenditore Paolo Raffa.
All’accoglimento del ricorso proposto da Raffa segue anche la restituzione di quanto in sequestro alla società che gestisce l’emittente, assistita dall’ avvocato Raffaele Bonsignore. “Siamo soddisfatti del risultato raggiunto – dicono i legali. Un altro importante tassello che si aggiunge al rigetto della richiesta di applicazione degli arresti domiciliari ottenuto la settimana scorsa”.
Il gip di Palermo Maria Cristina Sala ha accolto la tesi degli avvocati Vincenzo Giacona Venuti e Mattia Caleca e rigettato la richiesta del Pm di applicazione della misura degli arresti domiciliari per Paolo Raffa, presidente del consiglio di amministrazione di Telerent.
“Siamo soddisfatti di questo primo risultato – dicono ancora gli avvocati – ma soprattutto dell’efficienza del nuovo strumento dell’interrogatorio di garanzia preventivo introdotto con la riforma del ministro Nordio, che ha permesso di esporre preventivamente l’assenza di esigenze che giustificassero il ricorso ad una misura grave come quella degli arresti domiciliari. Ci sarà il tempo per dimostrare anche la correttezza dell’operato di Telerent sotto la gestione del nostro assistito”.
L’inchiesta della Guardia di Finanza
Era stata la Guardia di finanza di Palermo, su richiesta della Procura, che nelle scorse settimane aveva eseguito un sequestro preventivo di 3,4 milioni di euro nei confronti dell’emittente televisiva locale. L’accusa: frode aggravata ai danni del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione, che eroga contributi pubblici alle televisioni locali.
Dalle indagini effettuate dalle fiamme gialle sarebbe emerso che: tra il 2016 e il 2023 l’emittente avrebbe dichiarato un numero di dipendenti, inclusi giornalisti, non corrispondente alla realtà. Tra questi figuravano anche parenti del legale rappresentante, i quali, stando agli investigatori, sarebbero stati assunti solo formalmente, senza svolgere attività lavorativa concreta.
Le assunzioni fittizie, nella tesi accusatoria, avrebbero avuto l’unico scopo di rispettare i requisiti necessari per accedere ai contributi pubblici, che ammontano complessivamente a oltre 4,1 milioni di euro, di cui 3,4 milioni già erogati, sequestrati e ora restituiti. Telerent fu fondata nel 1984 da Paolo Raffa, con sede inizialmente in viale Abruzzi, a Palermo, e successivamente in via Vann’Antò.
Agrigento – Dopo numerosi rinvii, ha preso il via con l’apertura davanti al tribunale collegiale di Agrigento, il processo scaturito dalla maxi inchiesta “Waterloo”, sulla presunta “rete” di corruttele che sarebbe stata messa in piedi dall’ex presidente di Girgenti Acque, Marco Campione. Nell’udienza del 10 febbraio sono state ammesse parti civili Codacons e Codacons Sicilia, rappresentate dall’avvocato Carmelo Sardella Dirigente dell’Ufficio Legale Regionale.
Sono 23 imputati accusati a vario titolo di associazione per delinquere, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, falsità materiale, frode nelle pubbliche forniture, inquinamento ambientale, danneggiamento, frode agli utenti sulla depurazione, frodi sulla tariffa ed abuso d’ufficio.
L’udienza è stata aggiornata al 24 marzo per lo scioglimento della riserva da parte del collegio giudicante su una perizia trascrittiva di intercettazioni telefoniche e per l’esame dei primi tre testi della pubblica accusa.
Secondo l’accusa professionisti, politici, uomini delle istituzioni e forze dell’ordine sarebbero stati a disposizione della società e, in particolare dello stesso Campione, in cambio di favori e posti di lavoro per familiari e amici.
Le gravissime condotte contestate di illecita gestione dei servizi di depurazione delle acque reflue e di fognatura della girgenti acque s.p.a. e di frodi agli utenti sulla depurazione e sulla tariffa avrebbero cagionato- afferma il Codacons – un grave danno per l’ambiente, un evidente pericolo per l’incolumita’ e la salute pubblica ed un grave pregiudizio alla pluralità di consumatori ed utenti, che l’Associazione intende tutelare. Tra le condotte illecite contestate si annoverano, infatti, il doloso danneggiamento delle reti idriche e le illecite interruzioni del servizio di fornitura dell’acqua, simulando guasti inesistenti, lo sversamento di reflui fognari in mare senza alcun processo depurativo, cagionando una compromissione anche di zone naturali protette, e comunque di particolare pregio e carattere naturalistico e ambientale.
L’ammissione del Codacons e del Codacons Sicilia come parti civili segna un passaggio cruciale nel processo, rafforzando l’azione di contrasto alle frode e gli abusi subiti dai cittadini.
PALERMO – Quattro anni fa la pandemia. Oggi la guardia di Finanza del comando provinciale di Palermo, dopo una serie di indagini ha sequestrato beni e disponibilità finanziarie per oltre 10 milioni di euro nei confronti di due società, con sede a Palermo e in provincia di Enna, e dei rispettivi amministratori.
I finanzieri hanno accertato che le mascherine anti Covid non sarebbero state conformi agli standard di sicurezza, mentre i documenti che ne certificavano la qualità sarebbero stati contraffatti.
I nomi degli indagati
Gli indagati per frode nelle pubbliche forniture sono Carmelo Grassia della “Keiwell Solution Italia srl” di Troina e due cittadini di origine indiana Gupta e Dipyn Fankay della “Italia Paramount Strategies” di Palermo.
I finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria avrebbero riscontrato “significative irregolarità in relazione a numerose forniture di mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione individuale” vendute al Dipartimento della Protezione civile della Regione siciliana durante l’emergenza Covid.
Secondo l’accusa, pur di massimizzare i propri guadagni i tre indagati avrebbero fornito “prodotti non conformi ai previsti standard di sicurezza, producendo a corredo documentazione viziata da gravi lacune e contraffatta”. Nel periodo dell’emergenza Coronavirus la guardia di finanza aveva sequestrato 35 milioni di pezzi insicuri, di cui due milioni forniti dalle due società colpite dal sequestro.
“L’operazione di oggi testimonia la costante attenzione e l’impegno profuso dalla guardia di finanza, nell’ambito delle indagini delegate dalla Procura della Repubblica di Palermo – si legge in una nota del comando provinciale – nel contrasto agli illeciti ai danni della pubblica amministrazione che incidono sulla qualità dei servizi forniti ai cittadini, mettendo a rischio, in taluni casi, la sicurezza e la salute degli stessi”.
Palermo – I finanzieri del Comando Provinciale di Palermo hanno dato esecuzione a un decreto emesso dal Gip presso il Tribunale su richiesta della Procura, con cui è stato disposto il sequestro preventivo, nei confronti di una società e del suo legale rappresentante, di beni e disponibilità finanziarie per un importo di circa 3,4 milioni di euro.
Indagini
Le indagini, condotte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Palermo, riguardano i contributi pubblici concessi dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy a Telerent, negli anni dal 2016 al 2023.
Anomalie nella gestione
Nel corso delle indagini la Finanza ha riscontrato diverse anomalie per quanto riguarda il numero di lavoratori impiegati, compresi i giornalisti, che devono essere “effettivamente applicati nell’attività di fornitura di servizi media audiovisivi”.
Assunzioni fittizzie
Sarebbe emerso che diversi dipendenti (tra cui alcuni familiari del legale rappresentante) sarebbero stati assunti in modo fittizio, per poter accedere ai finanziamenti pubblici, senza in realtà prestare alcuna attività lavorativa per l’emittente, ma solo prestazioni saltuarie e del tutto marginali.
Ipotesi di Frode
Da qui l’ipotesi avanzata dalle Fiamme Gialle che si sia trattato di una frode che avrebbe consentito a Telerent di ottenere indebitamente oltre 4,1 milioni di euro, di cui 3,4 milioni di euro già erogati e oggi posti sotto sequestro dall’Autorità Giudiziaria.