Palermo – di Laura Spanò – Si è tenuta l’aula B2 del bunker di Pagliarelli, l’udienza preliminare presieduta dal giudice Ivana Vassallo e che ha riguardato 16 persone coinvolte nella maxi inchiesta antimafia tra Marsala e Mazara del Vallo. Il blitz antimafia condotto dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Palermo e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia, permise di disarticolare un’organizzazione mafiosa che esercitava un controllo pervasivo sulle aree rurali del Trapanese. Le indagini delle fiamme gialle accertarono una fitta rete di intimidazioni, estorsioni, un episodio di turbativa d’asta a una vendita giudiziaria al Tribunale di Marsala, controllo dei pascoli e degli allevamenti, secondo gli inquirenti retti da Pietro Burzotta, genero del boss defunto Vito Gondola, storico reggente del mandamento, oggi deceduto, pedina fondamentale del sistema dei pizzini di Matteo Messina Denaro. Secondo la ricostruzione della Direzione distrettuale antimafia di Palermo Domenico Centonze, 49 anni, di Mazara avrebbe fatto le veci del capomandamento Dario Messina che si trova in carcere. E in carcere è finito anche il fratello di Dario Messina, Alessandro.
Ieri gli avvocati Luigi Pipitone e Tommaso De Lisi, hanno sollevato alcune eccezioni preliminari relative ad alcuni decreti intercettativi sia telefonici che Trojan – un tipo di malware che si nasconde all’interno di software apparentemente innocui per ingannare l’utente e compromettere il sistema. Ci sono state poi anche delle eccezioni sulla indeterminatezza dei capi di imputazione e la verifica della regolarità delle notifiche. L’avvocato Vito Cimiotta ha anticipato che discuterà l’udienza preliminare e non farà riti alternativi. Il giudice Vassallo si è riservato di decidere rinviando l’udienza al 2 luglio. Per quella data scioglierà la riserva sulle eccezioni presentate dalla difesa, su eventuali interrogatori degli imputati e sulla scelta dei riti alternativi. Ha anche anticipato che nell’udienza già fissata per l’11 luglio ci sarà la discussione della difesa.
Gli imputati sono: Giancarlo Nicolò Angileri, di Marsala, libero. Paolo Apollo, di Mazara del Vallo, agli arresti domiciliari. Antonino Giovanni Bilello, di Marsala, libero. Pietro Burzotta, di Mazara del Vallo, in carcere a Civitavecchia. Lorenzo Buscaino, di Mazara del Vallo, libero. Domenico Centonze, di Mazara del Vallo, in carcere a Prato. Pietro Centonze (classe 1969), di Marsala, libero. Pietro Centonze (classe 1950), di Marsala, ai domiciliari. Ignazio Di Vita, di Mazara del Vallo, in carcere a Vibo Valentia.Vito Ferrantello, di Mazara del Vallo, libero. Michele Marino, di Marsala, libero. Alessandro Messina, di Mazara del Vallo, in carcere a Viterbo. Giovanni Piccione, di Marsala, libero. Giuseppe Prenci, di Mazara del Vallo, libero. Massimo Antonio Sfraga, di Mazara del Vallo, libero. Gaspare Tumbarello, di Marsala, libero.
Marsala – Eseguito dai Carabinieri del Comando Provinciale di Trapani un decreto di sequestro – ai fini della eventuale confisca – di beni immobili (un terreno e due fabbricati per un valore complessivo di 200 mila euro) nei confronti di due coniugi marsalesi. Si tratta di Leonardo Casano e Giuseppa Prinzivalli.
La misura di prevenzione patrimoniale è stata emessa dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Trapani su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo in virtù degli accertamenti svolti dai militari sulla sperequazione economica del nucleo familiare e sulla pericolosità sociale del 52enne Casano, che, attualmente detenuto, era stato raggiunto nel settembre del 2022 da misura cautelare nell’ambito dell’operazione “Hesperia”.
Operazione con la quale i Carabinieri del Comando Provinciale di Trapani avevano tratto in arresto 35 persone (23 in carcere e 12 ai domiciliari) appartenenti ai mandamenti mafiosi di Mazara del Vallo, Trapani e Castelvetrano.
Nel contesto dell’attività, nei confronti della coniuge 51enne Giuseppa Prinzivalli è stata inoltre data esecuzione all’ordine di espiazione della pena di 1 anno e 9 mesi di detenzione domiciliare a seguito della condanna per il reato di riciclaggio, per aver fatto confluire sul proprio conto corrente i proventi dell’attività di spaccio di stupefacenti.
Palermo – Blitz antimafia dei Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo che 29 provvedimenti cautelari emessi dal Gip del Tribunale di Palermo su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia della locale Procura della Repubblica. Tredici delle 29 persone coinvolte nel blitz antimafia sono già detenute per altra causa.Con questi nuovi provvedimenti gli investigatori completano il lavoro che lo scorso febbraio portò al blitz dei 181.
Sono accusate di associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, estorsioni, esercizio abusivo del gioco d’azzardo, reati contro la persona, contro il patrimonio e in materia di armi, tutti aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose e altro.
Nell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia è compreso: il mandamento di Porta Nuova, che ingloba la parte centrale della città di Palermo, i mercati Ballarò, Capo e Vucciria.
Le indagini in continuità con le risultanze di Grande Inverno hanno confermato come “cosa nostra” sia un’associazione criminale vitale e al “passo coi tempi”: se infatti essa è fortemente legata alle regole dei “padri fondatori”, ai suoi antichi riti e al compimento delle “classiche” condotte illecite, come le estorsioni, il traffico di droga e il controllo delle scommesse clandestine online, dall’altro è emersa la capacità degli affiliati di ricorrere ai moderni mezzi di comunicazione per cercare di sfuggire alla pressione investigativa.
Il quadro che emerge dalle investigazioni restituisce una “cosa nostra” che, nonostante le numerose operazioni coordinate dalla Magistratura palermitana e portate avanti dai Carabinieri e dalle altre forze di polizia, continua a mantenere la sua presa: un’associazione coesa, violenta e vitale, che può contare su un’allarmante disponibilità di armi, strenuamente rispettosa del modello organizzativo e delle regole storiche, ben ancorata al proprio territorio sul quale esercita un costante controllo, incidendo significativamente sul tessuto economico attraverso le tradizionali attività illecite – quali l’imposizione della “protezione mafiosa” agli operatori economici e la gestione delle più remunerative piazze di spaccio – ma che trae i propri ingenti guadagni dal traffico di sostanze stupefacenti, prevalentemente cocaina e droghe sintetiche, nonché dal gioco clandestino online.
L’attuale segmento investigativo ha confermato, il ruolo centrale riconquistato da parte dei mandamenti cittadini rispetto a quelli della provincia, nell’ambito delle dinamiche criminali. Tra le attività criminali più remunerative per l’organizzazione criminale emerge ancora una volta il traffico di stupefacenti che oltre a garantire importanti proventi da reinvestire o da utilizzare per il sostentamento di affiliati e famiglie dei detenuti, consente all’organizzazione, attraverso il controllo delle piazze di spaccio, di esercitare una pressante azione di controllo del territorio. I pusher possono approvvigionarsi dal canale autorizzato e controllato dal mandamento oppure utilizzarne un altro, pagando all’organizzazione mafiosa una “tassa”. La non osservanza di tali imposizioni viene punita dagli esponenti mafiosi anche con violente ritorsioni. Analogamente il gioco digitale, al pari del traffico di stupefacenti, rappresenta una delle attività più remunerative dell’organizzazione che, oltre al controllo del territorio attraverso l’imposizione mafiosa dei “pannelli di gioco”, può contare su importanti introiti che consentono di rimpinguare le casse.
E’ emerso come la consorteria in linea con quanto registrato sugli altri mandamenti cittadini, può contare su una buona disponibilità di armi da fuoco, non limitandosi solo a detenerle ma in alcuni casi sono stati registrati episodi di cessione e vendita. Ulteriormente è emerso che “cosa nostra” non disdegna di fare uso della forza per la risoluzione dei problemi, facendo registrare e documentare numerosi pestaggi violenti.
Palermo – Sono 22 le persone arrestate, 17 sono finite in carcere e cinque ai domiciliari. Si tratta del bilancio di due differenti ordinanze di custodia cautelare firmate dal Gip di Palermo.
I provvedimenti restrittivi scaturiscono da due distinte attività investigative (convenzionalmente denominate “Curly” e “Murales”), condotte dalla Sezione Antidroga della Squadra Mobile della Questura di Palermo e coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo.
Le indagini hanno fatto emergere l’esistenza di un canale di importazione di cocaina e hashish in Sicilia. Droga smerciata nelle piazze di Trapani, Palermo, Caltanissetta, Siracusa e Agrigento.
Delle due consorterie delinquenziali una, ben strutturata e con ramificazioni nei quartieri cittadini di Ballarò, Brancaccio e Villaggio Santa Rosalia, i suoi principali adepti erano divenuti riferimento per diversi grossisti, che costantemente trovavano la disponibilità di sostanze stupefacenti anche nei periodi in cui le stesse scarseggiavano nel territorio palermitano, attraverso l’operosità di trafficanti di punta.
Così come accaduto a Trapani diverse volte, anche a Palermo, uno dei principali indagati aveva trasformato la sua abitazione, dove si trovava detenuto ai domiciliari, in un bunker della droga. Si occupava della promozione dell’associazione in cui era inserito, procacciando la sostanza stupefacente fuori dalla Sicilia ed occupandosi del mantenimento dei contatti con gli acquirenti, anche nei territori di altre Provincie siciliane, della gestione diretta delle trattative preliminari alle cessioni anche di ingenti quantitativi di droga, ponendosi a capo degli altri affiliati, ai quali assegnava precisi compiti e mansioni per l’esecuzione dei reati-fine perseguiti dal sodalizio di appartenenza.
Mentre si indagava su questo filone gli investigatori sono incappati in un altro filone. E’ stato individuato un altro gruppo criminale che si era sganciato dal principale che si stava attivando per aprire un canale di approvvigionamento di hashish e cocaina direttamente da Napoli. La piccola cellula criminale in esame, ricevuto lo stupefacente dalla Campania, curava il rifornimento dei grossisti di alcune piazze di spaccio palermitane e della Provincia. Nel corso dell’indagine Curly, a riscontro delle acquisizioni investigative relative ai due gruppi delinquenziali scoperti e sopra indicati, sono stati effettuati svariati sequestri, per un totale di circa 53 chilogrammi di hashish e di 2,3 chilogrammi di cocaina.
In questo secondo caso l’ordinanza del Gip, ha raggiunto una organizzazione che operava a Brancaccio, dove si trovavano due grossi depositi di cocaina. Anche quest’ultimo sodalizio era caratterizzato da un articolato assetto interno con suddivisione di compiti tra gli affiliati, ciascuno dei quali ricopriva un preciso ruolo, dai pusher alle figure apicali. Oltremodo importante era il sistema di comunicazione adottato. Gli appartenenti al sodalizio effettuavano, tra loro, video-chiamate attraverso note applicazioni social. In diversi casi evitando ogni scambio verbale ed utilizzando gesti convenzionali e movenze del corpo
Sequestrati complessivamente 11 chili di cocaina, oltre a 56.000 euro in contanti.
Palermo – Duro colpo alla mafia del palermitano. Nel corso di una maxi-operazione della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo sono stati disposti i fermi e gli arresti di 181 persone, tra boss, «colonnelli», uomini d’onore, ed estortori di diversi «mandamenti» del capoluogo siciliano e della provincia.
L’inchiesta, condotta dai carabinieri e coordinata dal procuratore Maurizio de Lucia e dalla procuratrice aggiunta Marzia Sabella, ha svelato l’organigramma delle principali famiglie, gli affari dei clan e l’ennesimo tentativo di Cosa nostra di ricostituire la Cupola provinciale e di reagire alla dura repressione che negli ultimi anni ha portato in cella migliaia di persone.
In pratica le indagini hanno fatto scoprire che Cosa nostra si stava ricompattando senza troppo clamore. Torna in carcere il boss di Porta Nuova, Tommaso Lo Presti, scarcerato per fine pena. Aveva celebrato le nozze d’argento a San Domenico, dove c’è la tomba di Falcone. In carcere anche Francolino Spadaro. In una delle cinque indagini confluite nella maxi operazione antimafia di questa notte, gli investigatori dei carabinieri del comando provinciale hanno scoperto il nuovo sistema con il quale i boss si riunivano per riorganizzare la nuova commissione provinciale, azzerata già una volta con gli arresti di dicembre 2018. I capimafia in carcere e quelli ancora liberi utilizzavano telefonini di ultima generazione con particolari software criptati per i summit fra mandamenti. Applicazioni di comunicazione con sistemi di crittografia avanzatissimi e difficilmente intercettabili.
L’operazione, che ha interessato anche altre città italiane, puntava a «disarticolare i mandamenti mafiosi della città di Palermo e provincia, in particolare quelli di “Porta Nuova”, “Pagliarelli”, “Tommaso Natale – San Lorenzo, “Santa Maria del Gesù” e “Bagheria”». Gli arrestati sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsioni, consumate o tentate, aggravate dal metodo mafioso, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, favoreggiamento personale, reati in materia di armi, contro il patrimonio, la persona, esercizio abusivo del gioco d’azzardo, e altro.
I particolari dell’operazione saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa prevista per le 10.
Articolo in aggiornamento.
Siracusa – Nelle prime ore di stamane, agenti della Polizia di Stato hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Catania, su richiesta della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, a carico di 22 soggetti.
A oro vengono contestati a vario titolo, i reati di: associazione per delinquere di stampo mafioso, concorso esterno in associazione di tipo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti con l’aggravante di cui all’art. 416 bis 1 del codice penale, detenzione, porto illegale di armi da sparo con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa e ricettazione.