Marsala
Mafia. Attesa per oggi la sentenza per il medico Alfonso Tumbarello
L'accusa ha chiesto 18 anni di carcere
Redazione7 Maggio 2025 - Cronaca



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    Marsala – Davanti al Tribunale di Marsala presieduto da Vito Marcello Saladino, è attesa per oggi la sentenza nei confronti di Alfonso Tumbarello, l’ex medico di base di Campobello di Mazara finito a processo con l’accusa di aver curato Matteo Messina Denaro sotto falsa identità.

    Al termine della requisitoria tenuta lo scorso 22 gennaio dal pm della Dda di Palermo Gianluca De Leo  per Tumbarello erano stati chiesti 18 anni di carcere. Per l’accusa l’ex medico di base di Campobello di Mazara, città dove il boss oggi deceduto ha vissuto per almeno cinque anni, protetto e riverito da una schiera di favoreggiatori, sarebbe stato un complice prescrivendo e firmando 95 ricette per i farmaci e 42 analisi. Per un totale di 137 prescrizioni per consentire all’allora boss latitante Matteo Messina Denaro, di potersi curare dal cancro di cui soffriva, sotto il falso nome di «Andrea Bonafede», di poter accedere quindi ad ambulatori medici e ospedali per curarsi a spese dello stato nonostante fosse latitante. Secondo l’accusa, il medico avrebbe visitato personalmente Matteo Messina Denaro e sarebbe stato consapevole della sua identità.

    La figura dell’ex medico di base di Campobello di Mazara

    Alfonso Tumbarello ex medico di base di Campobello di Mazara, secondo la ricostruzione degli inquirenti, tra il 2020 e il 2022, ha prescritto ricette per cure oncologiche ed esami diagnostici a nome di Andrea Bonafede, classe 1963. Ma il vero assistito era Matteo Messina Denaro, latitante e già gravemente malato. Le ricette – molte delle quali ritirate in farmacia da Bonafede stesso o da altri soggetti vicini al boss – erano solo una parte di un quadro più ampio: secondo l’accusa, Tumbarello sarebbe stato un tassello fondamentale nella rete di supporto che ha permesso a Messina Denaro di ricevere cure di alto livello, anche durante l’emergenza sanitaria causata dal Covid-19. Lo stesso pubblico ministero, Gianluca De Leo, ha sottolineato in aula l’anomalia della velocità con cui il boss riuscì a essere curato: “In soli tre giorni – ha detto – aveva già una diagnosi e un appuntamento dal chirurgo, mentre il sistema sanitario era in ginocchio”.

    La difesa di Tumbarello

    La difesa del medico, affidata agli avvocati Gioacchino Sbacchi e Giuseppe Pantaleo, ha invece contestato ogni addebito. Per i legali, Tumbarello non conosceva la vera identità del paziente e agì in totale buona fede. “È stato ingannato dai due Andrea Bonafede – ha sostenuto Sbacchi durante l’arringa –. Tumbarello non aveva rapporti personali con loro, né vantaggi economici. Era convinto di fare il suo dovere”. Pantaleo ha sottolineato che il medico non ha mai cancellato messaggi o contatti dal proprio telefono, anche dopo l’arresto del boss: “Chi è colpevole si preoccupa di nascondere le prove. Lui non ha toccato una virgola. Ha conservato tutto, anche vecchissimi messaggi”. Inoltre, i legali hanno fatto notare come anche altri medici e strutture sanitarie – tra cui la clinica La Maddalena di Palermo – abbiano curato “Bonafede” senza accorgersi della vera identità. “Non c’è alcuna prova concreta di una sua volontà di favorire la mafia – ha ribadito Pantaleo –. Solo ipotesi e suggestioni”.




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