Palermo
Dopo 30 anni ritrovati i brogliacci dell’inchiesta Mafia e appalti
A trovarli la Guardia di Finanza di Caltanissetta. Erano in "quattro buste di colore giallo ancora recanti i timbri apposti nel 1992"
Redazione5 Luglio 2025 - Cronaca



  • Cronaca

    Palermo – I militari del GICO della Guardia di Finanza di Caltanissetta, su delega della locale DDA, hanno compiuto alcune attività di ricerca e acquisizione documentale alla sede di Palermo.

    Nel corso delle attività, disposte, come detto dalla DDA nissena è stato finalmente possibile ritrovare i brogliacci delle intercettazioni effettuate negli anni ’90 circa le infiltrazioni di Cosa Nostra nel settore imprenditoriale e, in particolare, nelle aziende già appartenenti al Gruppo Ferruzzi.

    I brogliacci sono stati rinvenuti in quattro buste di colore giallo ancora recanti i timbri della Guardia di Finanza apposti nel 1992, ricoperti di polvere e lasciati a terra in archivi da tempo non utilizzati. Il ritrovamento dei brogliacci è stato ottenuto al termine di ricerche durate più di due anni e che hanno comportato la consultazione di più di 2000 faldoni con centinaia di migliaia di pagine di documenti.

    Il contenuto dei brogliacci è attualmente al vaglio delle Autorità inquirenti.

    Mafia e appalti

    Negli ultimi anni l’inchiesta Mafia e appalti è tornata alla ribalta della cronaca. Da tempo l’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino, e i due ex alti ufficiali del Ros dei carabinieri Mario Mori e Giuseppe De Donno  indicano il dossier come il movente segreto detro l’eliminazione dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

    Una tesi rilanciata negli ultimi mesi anche durante le audizioni in Commissione antimafia. E che esclude la cosiddetta “pista nera”, cioè quella che collega la strage di via d’Amelio alla strategia di destabilizzazione cominciata a Capaci.

    Individuare Mafia e appalti come unico movente delle bombe ha anche un altro pregio: cancella quanto ipotizzato in alcune inchieste poi archiviate. Come per esempio le indagini che legano la morte di Borsellino a informazioni che lo stesso magistrato poteva aver avuto sui legami tra Cosa Nostra e l’entourage di Silvio Berlusconi.

    Mafia e appalti è l’indagine alla base dell’antica frattura che – tra veleni e fughe di notizie – ha contrapposto il Ros ai pm di Palermo. La principale contestazione avanzata dai carabinieri e rilanciata da Trizzino è che i pm archiviarono l’inchiesta sui legami tra boss e imprenditori dopo aver arrestato solo 7 persone. Borsellino, però, era molto interessato a quell’indagine: è per questo motivo che sarebbe stato assassaninato. Il rapporto del Ros, sempre secondo la tesi di Mori e Trizzino, venne dunque insabbiato.




  • Italia
    Figlia di Riina e il marito indagati a Firenze per estorsione
    Avrebbero estorto denaro a due imprenditori toscani
    Redazione27 Giugno 2025 -



  • Firenze – Figlia di Riina e il marito indagati a Firenze per estorsione. Riesame ha disposto il carcere, misura al momento non esecutiva. Avrebbero estorto denaro a due imprenditori toscani.

    Per questo, il tribunale del Riesame di Firenze ha disposto la misura cautelare in carcere per Maria Concetta Riina e Antonino Ciavarello, rispettivamente figlia e genero del defunto capo di Cosa nostra Salvatore Riina.

    I due sono indagati, in concorso, per estorsione e di tentata estorsione, reati aggravati dal metodo mafioso. La procura dal capoluogo toscano aveva chiesto la misura che era stata però rigettata dal gip. Ora il Riesame, accogliendo il ricorso dei pm, l’ha disposta, ma il provvedimento è impugnabile e non sarà esecutivo fino a quando non sarà definitivo.

    I giudici hanno accolto l’appello della procura ritenendo fondato il pericolo di inquinamento probatorio e il pericolo di reiterazione del reato, oltre ai gravi indizi di colpevolezza dei reati e dell’aggravante del metodo mafioso.

    I fatti contestati risalgono ad agosto 2024. Maria Concetta Riina e Antonino Ciavarello, secondo quanto ricostruito dai carabinieri del Ros coordinati dalla Dda di Firenze, avrebbero inviato, riporta una nota della Procura, “pressanti e minacciose richieste di denaro che hanno sortito l’effetto voluto tanto da costringere uno dei due imprenditori a consegnare all’indagata anche una somma di denaro”. In particolare Ciavarello in quel periodo, nonostante fosse rinchiuso in un penitenziario, riusciva a inviare con un cellulare messaggi alla moglie e ai due imprenditori.




  • Trapani
    “Il nome dei Melodia è ancora potente” – di Rino Giacalone
    Mafia, operazione "Eirene": sentito in Tribunale investigatore dello Sco
    Rino Giacalone6 Giugno 2025 - Cronaca



  • Bulgarella contro Tranchida Cronaca

    Trapani – E’ cominciato con una diatriba tra pm e difese il processo scaturito dall’operazione antimafia “Eirene” che nell’autunno 2024 vide arrestate, con le accuse di mafia, diverse persone tra Alcamo, Calatafimi e Trapani. Una indagine della Polizia che vide in campo investigatori dello Sco, Sisco, Squadra Mobile di Trapani e Palermo e che fotografò la dinamicità di una organizzazione mafiosa del tutto non timorosa dell’incalzare dell’azione giudiziaria nel tempo condotta contro Cosa nostra.

    Gli imputati

    Tra i principali imputati ci sono due politici di rango, l’ex senatore Nino Papania e l’ex vice sindaco di Alcamo Pasquale Perricone. Con loro soggetti alcuni conclamati mafiosi tornati in auge dopo antiche condanne. Tra gli imputati tre in particolare: Francesco Coppola, indicato dalla Procura antimafia di Palermo quale nuovo capo della famiglia mafiosa di Alcamo, il commerciante di origini castellammaresi ma residente a Trapani, Giosuè Di Gregorio e Giuseppe Diego Pipitone, una sorta di “rais” nel rione popolare San Giuliano di Erice. Quasi tutti gli indagati sono ancora in carcere, compresi Papania e Perricone, e in udienza il pm Pierangelo Padova ha chiesto ai giudici (collegio presieduto dal giudice Enzo Agate) ha chiesto, in previsione di una lunga durata del dibattimento, la sospensione dei termini della misura cautelare, questo per evitare scarcerazioni con il processo in corso.

    Le difese si sono opposte, portavoce l’avvocato Gallina che ha definito non tempestiva la richiesta del pm, quando ancora, ha sottolineato, si è all’esordio dell’istruttoria dibattimentale. Il Tribunale deciderà alla prossima udienza.

    I primi testi

    Intanto è cominciata la testimonianza di uno dei principali investigatori, il commissario dello Sco (Servizio Centrale Operativo) Mauro Riccitelli. E’ toccato a lui rispondere alle domande del pm Padova, un esame che non si è concluso e che proseguirà in una udienza già fissata per la fine del mese. Domande poste per evidenziare le “dinamiche” dell’associazione mafiosa che era dedita ad uno stretto controllo criminale del territorio. A Roma lo chiamavano il “mondo di mezzo”, dove la mafia si incontrava con la politica e i “colletti bianchi”, a Trapani alcune indagini su connessioni tra Cosa nostra e borghesia, indussero gli inquirenti che se ne occupavano a parlare di “terra di mezzo”, dove risiedeva e risiede ancora quell’area grigia fatta di soggetti pronti a dare manforte agli interessi mafiosi, l’indagine “Eirene” ha svelato una nuova identificazione letteraria della consorteria mafiosa, “mondo collaterale”. E’ questa la frase finita ascoltata durante le intercettazioni, e a pronunziarla sarebbe stato il personaggio maggiormente noto tra gli arrestati, l’ex senatore alcamese Nino Papania che nel processo con Pasquale Perricone è imputato di voto di scambio politico mafioso.

    L’indagine

    L’indagine è stata condotta per due anni tra il 2021 e il 2023. Durante questi mesi gli investigatori sono stati addosso agli indagati, seguiti anche in occasione di riunioni, come quella con uno degli uomini più potenti della mafia castellammarese, Mariano Asaro (citato nel processo ma non imputato), quando ci fu da rendere ragione al figlio di Pipitone, Diego, che aveva avuto una lite con l’alcamese Sebastiano Dara, mentre lavorava nella security di un locale a Trapani, a Villa Rosina. Un incontro organizzato, ha riferito il teste, da Giosuè Di Gregorio, intercettato a dire che “Asaro è uno importante, un boss”. Asaro, tornato libero da tempo, frattanto ha ottenuto anche la riabilitazione dal giudice di sorveglianza. La sua presenza alla riunione però fu d’aiuto a Pipitone, padre e figlio, “per via dei rapporti forti di Pipitone senior con la mafia castellammarese”. Su Giuseppe Diego Pipitone, l’investigatore dello Sco, ha ricordato, anche se genericamente, senza scendere nello specifico, “i rapporti con la politica trapanese”.

    Le controversie

    Pronto a dirimere controversie anche l’alcamese Coppola, Francesco detto Cicco. Una di queste in particolare avrebbe riguardato Ignazio Melodica, detto “u nico” o soprannominato “ragioniere”, soggetto che il commissario Riccitelli ha detto essere noto per sue precedenti sentenze di condanna. “Il nome dei Melodia è ancora adesso pesante” a proposito di mafia alcamese. Alla nutrita famiglia dei Melodia viene ricondotta per decenni la gestione di Cosa nostra e Coppola sarebbe stato uno dei “successori” dopo che gli esponenti più importanti di questa famiglia sono finiti in carcere o sono deceduti. Giosuè Di Gregorio in una intercettazione è stato ascoltato raccontare le proprie vicissitudini, e di avere scampato ogni pericolo dopo aver scelto “di vivere al fianco dei Melodia. Coppola si sarebbe occupato anche di indurre, tale Graziano Silaco, a lasciare la gestione di un maneggio dopo essere entrato in contrasto con il suo socio, Giuseppe Caruso, genero di Pasquale Perricone. Intervento che Coppola avrebbe condotto proprio su richiesta dell’ex vice sindaco di Alcamo. Tra gli episodi ancora indicati dall’investigatore dello Sco un copioso sequestro di armi e munizioni a casa di uno degli imputati, Antonino Minio.

    Ad apertura di udienza il Tribunale ha conferito a due periti l’incarico della trascrizione di numerose conversazioni indicate sia dal pm quanto dalle difese.




  • Palermo
    Mafia, blitz nel mandamento di Porta Nuova, 16 gli arresti, 29 gli indagati
    Per 13 persone è scattato l’obbligo di dimora e presentazione alla polizia giudiziaria
    Redazione3 Giugno 2025 - Cronaca



  • Cronaca

    Palermo – Blitz antimafia dei Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo che 29 provvedimenti cautelari emessi dal Gip del Tribunale di Palermo su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia della locale Procura della Repubblica. Tredici delle 29 persone coinvolte nel blitz antimafia sono già detenute per altra causa.Con questi nuovi provvedimenti gli investigatori completano il lavoro che lo scorso febbraio portò al blitz dei 181.

    Le accuse

    Sono accusate di associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, estorsioni, esercizio abusivo del gioco d’azzardo, reati contro la persona, contro il patrimonio e in materia di armi, tutti aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose e altro.

    Le zone colpite

    Nell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia è compreso: il mandamento di Porta Nuova, che ingloba la parte centrale della città di Palermo, i mercati Ballarò, Capo e Vucciria.

    Le indagini

    Le indagini in continuità con le risultanze di Grande Inverno hanno confermato come “cosa nostra” sia un’associazione criminale vitale e al “passo coi tempi”: se infatti essa è fortemente legata alle regole dei “padri fondatori”, ai suoi antichi riti e al compimento delle “classiche” condotte illecite, come le estorsioni, il traffico di droga e il controllo delle scommesse clandestine online, dall’altro è emersa la capacità degli affiliati di ricorrere ai moderni mezzi di comunicazione per cercare di sfuggire alla pressione investigativa.

    Una cosa nostra continua a mantenere la presa

    Il quadro che emerge dalle investigazioni restituisce una “cosa nostra” che, nonostante le numerose operazioni coordinate dalla Magistratura palermitana e portate avanti dai Carabinieri e dalle altre forze di polizia, continua a mantenere la sua presa: un’associazione coesa, violenta e vitale, che può contare su un’allarmante disponibilità di armi, strenuamente rispettosa del modello organizzativo e delle regole storiche, ben ancorata al proprio territorio sul quale esercita un costante controllo, incidendo significativamente sul tessuto economico attraverso le tradizionali attività illecite – quali l’imposizione della “protezione mafiosa” agli operatori economici e la gestione delle più remunerative piazze di spaccio – ma che trae i propri ingenti guadagni dal traffico di sostanze stupefacenti, prevalentemente cocaina e droghe sintetiche, nonché dal gioco clandestino online.

    Confermato il ruolo centrale riconquistato dai mandamenti cittadini

    L’attuale segmento investigativo ha confermato, il ruolo centrale riconquistato da parte dei mandamenti cittadini rispetto a quelli della provincia, nell’ambito delle dinamiche criminali. Tra le attività criminali più remunerative per l’organizzazione criminale emerge ancora una volta il traffico di stupefacenti che oltre a garantire importanti proventi da reinvestire o da utilizzare per il sostentamento di affiliati e famiglie dei detenuti, consente all’organizzazione, attraverso il controllo delle piazze di spaccio, di esercitare una pressante azione di controllo del territorio. I pusher possono approvvigionarsi dal canale autorizzato e controllato dal mandamento oppure utilizzarne un altro, pagando all’organizzazione mafiosa una “tassa”. La non osservanza di tali imposizioni viene punita dagli esponenti mafiosi anche con violente ritorsioni. Analogamente il gioco digitale, al pari del traffico di stupefacenti, rappresenta una delle attività più remunerative dell’organizzazione che, oltre al controllo del territorio attraverso l’imposizione mafiosa dei “pannelli di gioco”, può contare su importanti introiti che consentono di rimpinguare le casse.

    Chi sbaglia paga

    E’ emerso come la consorteria in linea con quanto registrato sugli altri mandamenti cittadini, può contare su una buona disponibilità di armi da fuoco, non limitandosi solo a detenerle ma in alcuni casi sono stati registrati episodi di cessione e vendita. Ulteriormente è emerso che “cosa nostra” non disdegna di fare uso della forza per la risoluzione dei problemi, facendo registrare e documentare numerosi pestaggi violenti.

     




  • Trapani
    Dia: “Cosa nostra tra avvicendamenti e tentativi di stabilizzazione tra le nuove e le vecchie generazioni”
    Senza una vera leadership la mafia continua ad essere presenza silenziosa ma incisiva nell’economia legale
    Redazione27 Maggio 2025 - Cronaca



  • Cronaca

    Trapani – Cosa nostra non è sconfitta, ma è viva, radicata e ancora organizzata secondo un modello verticistico. È questo quanto emerge dalla Relazione semestrale della DIA (Direzione Investigativa Antimafia), presentata dal Direttore, Generale di Corpo d’Armata Michele Carbone.  Una relazione che offre una mappa dettagliata delle mafie presenti su tutto il territorio nazionale, con un’attenzione particolare anche alle organizzazioni criminali straniere attive in Italia.

    In Sicilia riflettori accesi sulle province di Palermo, Trapani e Agrigento.

    Inquietante il report tracciato dalla relazione annuale 2024 della Direzione Investigativa Antimafia. La provincia di Trapani si conferma territorio ad alta densità mafiosa, con un radicamento storico delle consorterie di Cosa nostra, ancora oggi operative attraverso metodi raffinati e una presenza silenziosa ma incisiva nell’economia legale.

    A testimoniarlo i 3.315 provvedimenti interdittivi antimafia emessi dalla Prefettura di Trapani nei confronti di società che operano nei settori più sensibili e redditizi dell’economia locale.

    Le interdittive colpiscono imprese attive nel comparto agricolo: coltivazione di vite, frutti oleosi e cereali, del movimento terra, edilizia, autotrasporti, lavorazioni agroalimentari, commercio all’ingrosso di ortofrutta e perfino agenzie funebri. Settori apparentemente ordinari che, secondo l’analisi della DIA, si sono rivelati terreno fertile per infiltrazioni mafiose e strategie di mimetizzazione criminale.

    Quattro gli storici mandamenti di Cosa nostra trapanese – Castelvetrano, Trapani, Mazara del Vallo e Alcamo. Insieme avrebbero messo in campo una rete articolata per condizionare il mercato, pilotare appalti, e occultare capitali di provenienza illecita.

    Secondo i dati forniti dalla Dia, la maggior concentrazione di attività mafiose sarebbe concentrata nella zona sud della provincia, tra Mazara e Castelvetrano, aree che – evidenzia la relazione – costituivano l’ambito operativo privilegiato di Matteo Messina Denaro, morto nel 2023, ma il cui potere criminale continua a produrre effetti attraverso la cosiddetta gestione “dinastica” degli affari mafiosi.

    La DIA sottolinea inoltre che numerosi soggetti colpiti da interdittiva erano già stati destinatari in passato di analoghi provvedimenti o erano legati a persone condannate per reati di mafia o sottoposte a misure di prevenzione. In molti casi, le società erano state riorganizzate formalmente per aggirare i controlli, mentre gli interessi delle consorterie venivano protetti attraverso intestazioni fittizie e operazioni collusive con imprenditori e funzionari compiacenti.

    Le maggiori operazioni antimafia nel territorio trapanese

    Tante le operazioni effettuate nel 2024 nel territorio trapanese che vanno dalla repressione del traffico di stupefacenti e delle estorsioni al contrasto della mafia imprenditoriale. Tra queste: l’operazione “Olegna” contro gli intrecci tra mafia, politica e affari; “Scialandro” che ha colpito le famiglie di Custonaci, Valderice e Trapani; e il maxi sequestro di aziende agroalimentari coinvolte in frodi fiscali e riciclaggio.

    Infine, un intero capitolo è dedicato agli atti intimidatori e agli episodi violenti avvenuti nel 2024, tra cui attentati incendiari, danneggiamenti ad aziende e strutture pubbliche, e una fitta attività investigativa contro gruppi criminali stranieri attivi nel favoreggiamento dell‘immigrazione clandestina.

    L’allarme lanciato dalla DIA è chiaro: la criminalità organizzata a Trapani non solo non arretra, ma si trasforma e si adatta, sfruttando le debolezze del sistema economico e amministrativo per continuare a generare profitto e consenso sociale. Un fenomeno che, pur agendo spesso sottotraccia, influisce sul rispetto della legalità e sullo sviluppo del territorio e chiede una reazione coordinata e determinata da parte delle Istituzioni e della società civile.

    Palermo: otto mandamenti, una struttura ancora verticale

    Il quadro tracciato è chiaro: nonostante decenni di azioni repressive condotte da magistratura e forze dell’ordine, le articolazioni territoriali di Cosa nostra sono pienamente operative. A Palermo città, i mandamenti restano otto, a cui si aggiungono sette nel resto della provincia. La struttura mafiosa continua a funzionare con vertici ben identificati, famiglie e gerarchie interne, anche se si registrano tentativi – finora incompleti – di ricostituire un organismo direttivo unitario sul modello della tradizionale commissione.

    Un’organizzazione adattiva: meno violenza, più dialogo

    Secondo la DIA, la mafia palermitana ha sviluppato strategie adattive alla pressione giudiziaria: predilige un coordinamento orizzontale tra i mandamenti, che consente una gestione condivisa delle attività criminali e una composizione non violenta delle controversie interne, sempre più frequente nelle ultime operazioni di polizia giudiziaria. La violenza viene mantenuta come estrema ratio, ma la sua minaccia resta uno strumento fondamentale per esercitare potere sul territorio. Oltre al controllo sociale e al traffico illecito, Cosa nostra guarda sempre più all’infiltrazione nel mondo dell’impresa. L’interesse è duplice: da un lato, ripulire i proventi criminali; dall’altro, acquisire influenza nei settori produttivi, approfittando anche delle difficoltà di alcune aziende locali. Un fenomeno già noto, ma che il report della DIA sottolinea come in crescita e da monitorare con la massima attenzione.

    La Stidda e Agrigento

    La stidda si caratterizza per una struttura orizzontale, composta da gruppi autonomi storicamente nati in contrapposizione a cosa nostra, ma che attualmente hanno attuato con quest’ultima intese di condivisione e spartizione degli affari illeciti. In Sicilia orientale, e in particolare nella città di Catania, la pluralità delle consorterie – che comprende articolazioni di cosa nostra nonché altre formazioni mafiose distinte ma affini a quest’ultima per natura – ha generato una coabitazione criminale in cui la resilienza e la flui- dità strutturale rappresentano i tratti distintivi di cosa nostra catanese. Quest’ultima, diversamente dalla rigida organizzazione palermita- na, si caratterizza per un marcato dinamismo affaristico alternando con le altre organizzazioni di tipo mafioso periodi di pacifica convi- venza, ovvero di non belligeranza, a momenti di frizione che talvolta degenerano in momenti di fibrillazione tra clan.

    Sicilia orientale

    Anche a Catania, le innumerevoli azioni investigative e le condanne comminate hanno costretto, nel tempo, le diverse organizzazioni mafiose ad un ricorrente ricambio nelle posizioni apicali sebbene tutte siano comunque sempre riuscite a mantenere perlopiù inalterata la loro operatività. Considerate le complesse relazioni tra le famiglie di cosa nostra e gli altri clan presenti nella Sicilia orientale, gli attuali equilibri si configurano, infatti, come assetti a “geometria variabile”, in ragione della fluidità delle leadership criminali e dei business illeciti oggetto di contesa, ele- menti che generano alleanze e tregue tra i diversi clan. Nei territori di Siracusa e Ragusa si evidenziano, inoltre, le influenze della cosa no- stra catanese e, in misura minore, della stidda gelese, mentre a Messina le consorterie presentano un modus operandi che, da un lato, si ri- fanno all’ortodossia di cosa nostra palermitana e, dall’altro, risente dell’influenza dei gruppi criminali etnei.

    Cosa nostra manifesta una presenza capillare su tutta l’isola, con proiezioni che, già nei decenni passati, si sono estese all’estero.

    Interforze e ruolo delle Prefetture

    La relazione documenta anche l’impegno della DIA nei Gruppi Interforze antimafia attivi presso ogni Prefettura (istituiti con il D.M. del 21 marzo 2017) e il supporto alle autorità prefettizie nell’applicazione delle misure amministrative antimafia previste dal Codice Antimafia. Un’attività parallela e preventiva, volta a bloccare sul nascere le possibili infiltrazioni nei contratti pubblici, nelle concessioni e nei finanziamenti.

    Il messaggio

    Il messaggio della DIA è chiaro: le mafie non arretrano, cambiano pelle. Cosa nostra, in particolare, resta una presenza organizzata, silenziosa ma efficace, capace di riprodurre potere e consenso anche in contesti mutati. La lotta non è finita. E continua su più fronti: investigativo, economico e culturale.

     




  • Palermo
    Mafia. Quattro arresti a Misilmeri per tentata estorsione e violenza [Video]
    L'operazione è stata condotta dai carabinieri. I nomi dei fermati
    Redazione20 Maggio 2025 - Cronaca



  • Cronaca

    Misilmeri (Palermo) – Sono quattro le persone arrestate nell’ambito di una operazione antimafia condotta dai carabinieri di Misilmeri. Sono accusate a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso, tentata estorsione, violenza privata, favoreggiamento e illecita concorrenza.

    Tra i destinatari della misura cautelare un quarantenne palermitano indagato per favoreggiamento personale perché avrebbe ricoperto il ruolo di intermediario consentendo «al capo del mandamento di Misilmeri-Belmonte di impartire direttive e fissare appuntamenti riservati e finalizzati a decidere questioni associative nel tentativo di eludere le investigazioni dei carabinieri».

    I Nomi degli arrestati

    Il gip Walter Turturici ha disposto il carcere per Melchiorre Badagliacco, detto Antonino, nato a Palermo di 52 anni, e Salvatore Baiamonte, 53 anni. Ai domiciliari con braccialetto elettronico sono stati portati Giuseppe Gigliotta, detto Giusto, di Misilmeri di 61 anni e Giuseppe Carmicino detto Fabio, nato a Palermo, di 40 anni.

    L’operazione ha assestato un duro colpi ai vertici della famiglia mafiosa di Misilmeri. Due di loro, su disposizione del gip, sono finiti in carcere, gli altri due ai domiciliari con il braccialetto elettronico.

    Le indagini

    «Secondo le ricostruzioni degli inquirenti – spiegano dal comando provinciale dell’Arma – due dei quattro indagati sarebbero appartenuti a Cosa nostra. Le indagini hanno fatto luce, inoltre, su numerosi tentativi di estorsione ai danni di imprenditori del luogo. Alcuni degli indagati si sarebbero resi protagonisti anche di atti di violenza privata e di concorrenza sleale nei confronti di un venditore ambulante per condizionarne l’attività economica e affermare così la propria egemonia criminale sul territorio».

    Da quanto emerso nel corso delle indagini, l’organizzazione mafiosa avrebbe avuto la disponibilità di armi che sarebbero state utilizzate per imporre e affermare il loro controllo criminale nell’area di riferimento e perpetrare reati contro la persona.





  • Palermo
    Il Procuratore aggiunto Paolo Guido nuovo procuratore di Bologna
    Ha coordianto le indagini che hanno portato alla cattura di Matteo Messina Denaro
    Redazione14 Maggio 2025 - Cronaca



  • Cronaca

    Palermo – È stato uno degli artefici dell’arresto del capomafia di Castelvetrano Matteo Messina Denaro, coordinando le indagini insieme al procuratore capo Maurizio De Lucia.

    Il plenum del consiglio superiore della magistratura ha nominato il procuratore aggiunto di Palermo Paolo Guido nuovo procuratore di Bologna. Guido ha ottenuto 15 voti contro i 12 della concorrente, Rosa Raffa, ex procuratore aggiunto a Messina. Nato a Cosenza 58 anni, Paolo Guido ha trascorso tutta la sua carriera in magistratura a Palermo.

    Guido, passato alla dda dove ha coordinato le inchieste prima sulle cosche palermitane, poi sui clan trapanesi e sulla cattura dell’ex latitante Matteo Messina Denaro, finito in manette il 16 gennaio del 2023.

    Come considerò la cattura di Messina Denaro

    Ricevendo il premio per la sezione Legalità “Diego Tajani 2023”, il procuratore Guido disse: «Mi sono sempre limitato a svolgere un ruolo di coordinamento, a mediare, a fare delle scelte, credo, però, che nei risultati che sono arrivati nella lotta di contrasto a Cosa Nostra lo Stato c’è stato. La cattura di Messina Denaro arriva alla fine di un percorso, fatto da capacità che lo Stato ha avuto di chiudere in un angolo un latitante, a costringerlo a commettere degli errori, e alla fine ad arrestarlo. E’ stata una grande operazione di polizia giudiziaria, ma è stato anche il termine finale di un’azione di contrasto che dura da diversi anni e che ci ha consentito di dare dei durissimi colpi alle associazioni mafiose. L’arresto del 16 gennaio è stato anche un momento simbolico, l’arresto dell’ultimo corleonese, l’ultimo stragista libero, protagonista di una stagione che non si è ripetuta, ma che in quegli anni ha messo in ginocchio lo Stato».




  • Campobello di Mazara
    Sequestrati beni per 3 milioni all’autista di Messina Denaro [Video]
    Maxi sequestro a Campobello di Mazara: bloccati beni per 3 milioni a Giovanni Luppino
    Redazione11 Marzo 2025 - Cronaca



  • Estorsione imprenditore Partinico Palermo Cronaca

    Campobello di Mazara –  I finanzieri del comando provinciale di Palermo hanno eseguito un sequestro di beni per oltre 3 milioni di euro nei confronti di Giovanni Luppino, indicato dagli investigatori come l’autista del boss, Matteo Messina Denaro (deceduto). Il provvedimento, emesso dal tribunale di Trapani – sezione misure di prevenzione, ha colpito il patrimonio di Luppino, arrestato il 16 gennaio 2023 insieme al capomafia presso la clinica La Maddalena di Palermo, dove il boss doveva sottoporsi a cure oncologiche.

    La rete di finanziamenti per la latitanza del boss

    Le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, hanno permesso di tracciare flussi di denaro destinati al mantenimento della latitanza di Messina Denaro. Attraverso l’analisi di bonifici e assegni emessi da soggetti vicini al boss, gli inquirenti hanno individuato una rete di finanziamenti a sostegno del mafioso, dimostrando il ruolo attivo di Luppino nell’assicurare il sostegno economico al ricercato.

    I beni sequestrati: aziende, immobili e conti bancari

    Il sequestro ha riguardato un vasto patrimonio, tra cui:

    Condanna in primo grado per l’autista del boss

    Giovanni Luppino è stato condannato in primo grado a 9 anni e 2 mesi di reclusione per il suo coinvolgimento nelle attività del clan. La sua vicinanza a Messina Denaro e il ruolo svolto nella rete di supporto al boss hanno portato le autorità a disporre il sequestro preventivo dei suoi beni.

    Un duro colpo alle finanze mafiose

    L’operazione della Guardia di Finanza rappresenta un ulteriore passo avanti nella lotta contro la criminalità organizzata, colpendo le risorse economiche che hanno garantito per anni l’impunità ai vertici di Cosa Nostra in provincia di Trapani. Il sequestro rientra in una strategia più ampia volta a smantellare le basi finanziarie della mafia siciliana e in particolare di quella che ha fino ad oggi finanziato e protetto la trentennale latitanza dell’ormai deceduto boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro.






  • Pio La Torre: 43 anni dopo l’omicidio che fa ancora discutere
    A 43 anni dalla morte di Pio La Torre, emergono ancora interrogativi sui mandanti del suo omicidio. Mafia e politica, quali connessioni?
    Redazione27 Febbraio 2025 - Attualità



  • Omicidio di Pio La Torre Attualità

    locandina pio la torreSono passati 43 anni dalla brutale uccisione di Pio La Torre, dirigente del Partito Comunista Italiano, ma il suo assassinio resta ancora oggi un tema di dibattito. Chi lo ha voluto morto? La mafia, certamente. Ma solo la mafia?

    Le indagini e i processi hanno confermato che dietro l’omicidio avvenuto il 30 aprile 1982 a Palermo ci fossero Totò Riina e Bernardo Provenzano, i vertici di Cosa Nostra. Tuttavia, il quadro è più complesso: La Torre, da sempre impegnato nella lotta contro la criminalità organizzata, si era anche opposto all’installazione dei missili NATO a Comiso, una battaglia pacifista che aveva mobilitato migliaia di persone.

    Pio La Torre non era solo un politico, ma un simbolo della lotta alla mafia e per la giustizia sociale. Il suo impegno e la sua capacità di coinvolgere il popolo lo resero un nemico pericoloso per molti poteri, non solo mafiosi.

    A ricordarne la figura e i misteri della sua morte sarà Armando Sorrentino, avvocato e dirigente dell’ANPI, che discuterà dell’eredità politica e civile di La Torre in un evento organizzato dall’ANPI Trapani il 4 marzo a Palazzo D’Alì. Insieme a lui, i giornalisti Fabio Pace e Rino Giacalone analizzeranno il contesto storico e le ombre che ancora avvolgono l’assassinio.




  • Trapani
    Gli “Amici Miei” di Custonaci
    Mafia, processo "Scialandro". "Non erano burloni ma mafiosi": il maggiore Cito ha descritto al Tribunale gli affari della cosca mafiosa di Custonaci, le infiltrazioni nella politica e negli appalti
    Rino Giacalone21 Febbraio 2025 - Cronaca



  • Bulgarella contro Tranchida Cronaca

    Trapani – La scena descritta pare ricalcare quella della sceneggiatura della fortunata serie cinematografica “Amici Miei”. Solo che i protagonisti sono parecchio diversi e lontani dagli attori che hanno lavorato insieme per una lunga serie, sotto le migliori regie. I comportamenti non erano quelli propri di quei bricconcelli amanti degli scherzi e delle burle. La combriccola, che amava farsi fotografare allegramente, con tanto di pollici all’insù, si muoveva bene ma per fare…affari, controllare appalti, gestire servizi pubblici, comprare e vendere voti. Nella serie “Amici Miei” ad un certo punto si spiega cos’è il genio.

    Ma chi ha avuto “intuizione, decisione e velocità d’esecuzione” (spiegazione cinematografica del “genio”, l’originale comprende la fantasia ma in questo caso non c’entra) non è stata la brigata che le mascalzonate le avrebbe fatte per davvero e non per scherzo, ma gli investigatori che hanno capito e subito si sono messi addosso.

    Custonaci tra il 2017 e il 2022 è stata preda di boss mafiosi conclamati, per le sentenze passate in giudicato, il carcere non li ha riabilitati ma semmai ha fatto fare a loro carriera, politici e imprenditori conniventi. E’ la sintesi che viene fuori dalla prima udienza del processo scaturito dall’operazione “Scialandro”: davanti al Tribunale, presidente giudice Troja a latere Marroccoli e Cantone, ha cominciato il racconto il maggiore dei Carabinieri Vito Cito, uno degli investigatori del Roni dell’Arma di Trapani, mente storica ma anche testimone attendibile delle dinamiche odierne di Cosa nostra trapanese.

    L’indagine “Scialandro” esplose con arresti e indagati eccellenti nell’ottobre del 2023. Una inchiesta coordinata dalla Procura antimafia di Palermo e condotta assieme da Carabinieri, Dia, Squadra Mobile, loro furono capaci di accendere i riflettori, senza essere visti, su una parte del territorio, da Custonaci a Trapani, da Dattilo a Marsala. Erano amici ma solo tra di loro e amici di Cosa nostra. Le responsabilità contestate agli otto imputati comparsi dinanzi al Tribunale, sono state minuziosamente descritti dal maggiore Cito che ha risposto alle domande dei pm Giacomo Brandini e Giulia Beaux. E’ stata quest’ultima in udienza a fare le domande seguendo passo passo le intercettazioni riportate nell’informativa. E il maggiore Cito ne ha riassunto via via il contenuto.

    Ma siamo solo all’inizio. Non sono state sufficienti le tre ore di deposizione, proseguirà a marzo. Gli imputati sono Pietro Armando Bonanno, Tano Gigante, Mario Mazzara Francesco Lipari, nomi pesanti del gotha mafioso trapanese, Giuseppe Maranzano, Francesco Todaro (tutti presenti e collegati in video conferenza dai rispettivi penitenziari essendo sottoposti a misura cautelare), in aula c’erano invece Mariano Minore e Giuseppe Zichichi.

    Altri indagati, dieci in tutto, sono stati già giudicati e condannati a complessivi 70 anni di carcere, col rito abbreviato, tra loro Giuseppe Costa(nella foto accanto), condannato per l’indagine Scialandro a 4 anni e 10 mesi. Questi da semplice uomo della manovalanza mafiosa, a lui fu affidata per un periodo la gestione del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo (figlio del pentito Santino, strangolato e sciolto nell’acido, per vendetta contro il padre) tenuto anche sequestrato nella frazione Purgatorio di Custonaci, scontata la pena per questo fatto, libero si è ritrovato ai vertici della famiglia mafiosa del suo paese, grazie anche alla parentela intanto stretta con il killer di Cosa nostra Vito Mazzara.

    Cosca mafiosa capace di infiltrarsi nel Comune, all’epoca guidato da uno dei più potenti uomini della Dc trapanese, il medico Giuseppe Morfino (indagato ma finito fuori dall’inchiesta): il maggiore Cito ha fatto cenno alla nomina a vice sindaco di Carlo Guarano, “uomo appartenente alla famiglia di mafia”. Morfino e Guarano furono i primi “bersagli” delle indagini, finiti intercettati per ordine dell’Antimafia. Questo perchè la Procura distrettuale raccolse subito lo spessore di Guarano, intercettato a parlare malamente in una occasione delle manifestazioni a ricordo del giudice Falcone, “sto minchia di Falcone”, cosa che fa ricordare lo sfogo di Matteo Messina Denaro, rimasto imbottigliato in strada a Palermo mentre tanta gente sfilava nel ricordo del magistrato.

    Non tutti sono rimasti a guardare quello che succedeva a Custonaci, e ci sono state le denunce: un imprenditore che ha denunciato i tentativi di avvicinamento, a proposito del controllo del mercato del calcestruzzo, Donato Bernardino, e un ex assessore, Giovanni Noto che decise di non far finta di nulla. Altri sedevano alle tavole dei banchetti elettorali non si sa quanto in modo inconsapevole.

    L’elenco degli affari è lungo, dal controllo dei voti, agli appalti pubblici. Sotto il controllo della cosca secondo il racconto del maggiore Cito i lavori per il lungomare e per il basolato di Cornino, la gestione delle forniture d’acqua, sapere tutto sui guadagni di certe attività, come quelle olearie, sul commercio delle pietre estratte dalla lavorazione del marmo.

    Le intercettazioni hanno captato tante cose, per Carlo Guarano (nella foto accanto) c’erano “i ragazzi” da favorire per gli appalti, Giovanni Marceca e Roberto Melita. E Guarano seguiva personalmente gli appalti, redaguendo in qualche caso l’architetto Giuseppe Morfino, cugino del sindaco, “possedeva tanto mano libera”. A Custonaci non si poteva sbagliare con chi rapportarsi, uno dei pezzi da 90 nel frattempo scomparsi, Antonino Todaro, aveva lasciato detto alla figlia che se avesse avuto bisogno “era con quelli che camminano con me” che avrebbe dovuto rivolgersi. E poi a comandare c’erano i fratelli Mazzara ai quali venivano rendicontati i lavori in corso.

    La testimonianza del maggiore Cito ha anche puntato i riflettori sul sindaco dell’epoca Morfino che non sarebbe stato del tutto ignaro ma non sono emersi profili di complicità. E’ emerso anche il caso di un ex dipendente comunale, Baldassare Campo, il figlio Giovanbattista fu assessore di Morfino, che aveva libero accesso nell’ufficio tecnico e utilizzava le postazioni per sapere di appalti e affidamenti. Tra i nomi indicati quello di Baldassare Bica un altro soggetto, non indagato, ma che l’investigatore ha indicato tra i referenti di Giovanni Marceca.

    L’indagine “Scialandro” fu una conseguenza dell’indagine “Scrigno”, e il maggiore Cito ha riferito della intercettazione di una conversazione tra l’imprenditore trapanese Ninni D’Aguanno e la moglie Ivana Inferrera nel periodo in cui questa fu candidata alle regionali nel 2017. Il marito è stato condannato, lei fu anche arrestata ma prosciolta da ogni accusa. Il marito il giorno dello spoglio elettorale, ha detto l’investigatore, le confidò di avere chiesto aiuto elettorale ai Mazzara di Custonaci, svelando “il nome dei Mazzara suscita timori riverenziali”. Aiuto inutile perché non venne eletta, ma a proposito di aiuti elettorali e di altro, il racconto del maggiore Cito non è terminato.

    Nel processo sono costituite diverse parti civili tra questi il Comune di Custonaci, le associazioni Pio La Torre, Caponnetto e Dino Grammatico.





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