Trapani – Il Tribunale del Riesame di Palermo ha rigettato l’appello presentato dalla Procura di Trapani contro la revoca delle misure cautelari nei confronti di Giuseppe Colletta, Vito Dolce e Vito Polisano, i tre imprenditori funebri coinvolti nell’inchiesta sul presunto giro di mazzette al cimitero comunale di Trapani e le cui posizioni erano state riviste dal gip che li aveva individuati come parti offese.
I difensori, gli avvocati Umberto Coppola per Colletta; Giuseppe De Luca per Polisano e Salvatore Alagna per Dolce hanno sottolineato: «Questo pronunciamento conferma il provvedimento del gip che, all’esito dell’interrogatorio di garanzia, aveva affermato che i tre imprenditori erano persone offese».
I tre imprenditori, erano finiti tra gli indagati nell’inchiesta effettuata dalla Squadra Mobile di Trapani e coordinata dalla Procura, che aveva portato ai domiciliari l’ex necroforo comunale Mario Pizzurro e un operaio del cimitero, Emanuele Renato Grimaudo, accusati di gravi irregolarità nella gestione delle operazioni cimiteriali. Le ipotesi iniziali di corruzione erano però state riviste dal gip che ha parlato di concussione: i tre imprenditori non avrebbero agito con dolo, ma sarebbero stati vittime di pressioni indebite.
Trapani – di Rino Giacalone – Alle battute finali il processo scaturito dall’operazione “Artemisia” condotta nel 2019 dai Carabinieri di Trapani. A parlare ancora le difese degli imputati. All’ultima udienza non le ha mandate a dire l’avvocato Celestino Cardinale che non ha lesinato anche giudizi pesanti contro l’accusa pur di difendere a spada tratta, i propri assistiti, negando i fatti evidenti sostenuti dai pm, la sussistenza cioè di un’associazione segreta, utile a compiere corruzioni e concussioni, come logica conseguenza delle prove investigative. Cardinale difende il principale degli imputati del processo “Artemisia”, l’ex deputato regionale Giovanni Lo Sciuto, ritenuto a capo di una loggia segreta della massoneria, e il factotum di questi, Isidoro Calcara. Con loro altri quindici imputati.
La sua è stata l’ultima arringa del processo che si celebra dinanzi al Tribunale presieduto dal giudice Franco Messina, con a latere i giudici Bandiera e Cantone. Il pm Sara Morri ha chiesto condanne per tutti gli imputati per complessivi 155 anni di carcere. In generale i reati contestati sono quelli della violazione della legge Anselmi (quella contro la massoneria segreta), corruzione, induzione indebita, concussione, traffico di influenza illecita, truffa, falso, rivelazione segreti di ufficio.
L’avvocato Cardinale, che ha svilito con toni pure aspri il lavoro d’indagine della Procura di Trapani, e non ha mancato giudizi negativi contro la stampa, per come si è scritto, “con dubbia capacità”, in questi quattro anni di dibattimento: non facendo nomi, cosa già di per se poco coraggiosa, il riferimento è stato chiaramente rivolto a chi scrive, proponendo addirittura al Tribunale l’elenco dei titoli degli articoli non graditi. Il legale ha definito suggestiva la requisitoria e frutto di fantasia le investigazioni condotte dal Reparto Operativo dei Carabinieri di Trapani. Un’arringa che ha puntato tutto sull’accusa più pesante, quella della violazione della legge Anselmi, sostenendo l’infondatezza.
“La norma – ha detto – tende a impedire progetti eversivi e le interferenze con organi Costituzionali, ma nel processo di eversione non c’è niente e nemmeno risultano intaccate istituzioni di rango costituzionale”.
Il processo è vero non ha riguardato interferenze con alte istituzioni, ma non ritenere amministrazioni locali, Parlamento regionale, ufficio dell’Inps, istituzioni scolastiche e formative, fuori dall’alveo “costituzionale” è sembrata essere una forzatura. Ma decideranno i giudici se sono tali o meno, sempreché sussista il reato.
“Improponibile una sovrapposizione di quanto emerso dal processo con i fatti più famosi risalenti agli anni ’80, quelli della loggia P2 (quella scoperta dai pm milanesi in Toscana, i cui elenchi di aderenti erano negli archivi di Villa Wanda di Licio Gelli) o ancora della loggia trapanese Iside 2 (scoperta dietro il paravento del circolo Scontrino e guidata dal gran maestro Gianni Grimaudo)”.
Per il difensore di Lo Sciuto, il deus ex machina, o il direttore d’orchestra come definito dal pm, c’è la certezza che nessun reato regge alla prova del dibattimento e così ha chiesto l’assoluzione per l’ex deputato e per Isidoro Calcara, per i quali l’accusa ha chiesto condanne rispettivamente a quattordici anni e a sei anni e sei mesi. Non esiste nessuna loggia segreta e semmai attorno a Lo Sciuto “era solita raccogliersi una galassia di buoni amici”. Condizionamenti? “No, semplici raccomandazioni insufficienti a dimostrare l’esistenza di una massoneria segreta…raccomandazioni che facevano parte del ciclo della raccolta di un puro consenso elettorale”. “Lo Sciuto non è mai stato massone, è stato ritenuto tale solo per pregiudizi”. Insomma lo scenario investigativo per il difensore è colmo solo di fati leciti, se segnalazioni o collocazioni ci sono state “sono state fatte con il sigillo della legalità…il processo ha riferito fatti che fanno parte della quotidianità della politica”.
Le richieste di condanna per l’avvocato Cardinale “non hanno tenuto conto del nulla emerso dalle 72 udienze, è mancato il confronto critico con le risultanze dibattimentali”. E poi ancora l’attacco alla stampa: “ le richieste di colpevolezza, frutto di un teorema ambiguo, indotte dalla faziosità della stampa”. Una intera giornata di intervento: l’arringa si è conclusa con la scontata richiesta assolutoria per i suoi due assistiti.
Adesso la parola tocca al pm Morri per la replica, a seguire potranno nuovamente intervenire le difese.
Per Lo Sciuto sono stati chiesti 14 anni. Nove anni per l’ex re della formazione professionale Paolo Genco, otto anni per Gaspare Magro, sei anni per l’ex sindaco di Castelvetrano Felice Errante, sette anni per Gaspare Angileri, due anni per Maria Luisa Mortillaro, sei anni e sei mesi per Isidoro Calcara, nove anni e sei mesi per l’ex coordinatore Inps Rosario Orlando, sei anni per Tommaso Geraci, due anni e sei mesi ciascuni per Vincenzo Chiofalo, Gaspare Berlino e Luciano Perricone, sette anni per Vincenzo Giammarinato. Tra gli imputati anche tre poliziotti: otto anni sono stati chiesti per Vincenzo Passanante, sette anni e sei mesi per Salvatore Virgilio, undici anni per Salvatore Giacobbe.
Ancora pochi giorni, poi la parola passerà al collegio per la sentenza.
Agrigento – ( Fonte lasicilia.it) – C’è una clamorosa svolta nell’inchiesta sulle presunte tangenti per truccare appalti per 60 milioni di euro ad Agrigento, tra cui la nuova rete idrica. Il quattordicesimo indagato è infatti l’ormai ex assessore regionale all’Energia Roberto Di Mauro, 69 anni, dominus da oltre trent’anni della politica agrigentina. L’indiscrezione rilanciata dal sito grandangoloagrigento ha trovato conferme in ambienti giudiziari e lasicilia.it ha potuto consultare l’«avviso accertamenti tecnici non ripetibili» che è stato notificato anche all’esponente autonomista, insieme ad altre tredici persone. Il provvedimento porta la firma del procuratore della Repubblica di Agrigento Giovanni Di Leo e del sostituto procuratore Rita Barbieri. Roberto Di Mauro, insieme all’architetto Sebastiano Alesci, 66 anni, all’imprenditore e sindaco di Maletto Giuseppe Capizzi di 38 anni e Giovanni Campagna, 46 anni, segretario particolare di Di Mauro, è accusato in concorso con gli altri tre di turbativa d’asta e frode nelle pubbliche forniture.
Secondo la Procura Di Mauro e gli altri tre avrebbero fatto sì che fosse costituito il consorzio di imprese Della organizzando la partecipazione alla gara e la relativa aggiudicazione dei lavori, con la complicità di Alesci e di altri pubblici funzionari agrigentini presentando un’offerta con un ribasso di oltre il 30% inidonea ad assicurare la concreta esecuzione dei lavori e senza in realtà avere i requisiti economici e di organizzazione aziendale per affrontare un lavoro come la ristrutturazione ed automazione della rete idrica di Agrigento. Secondo gli inquirenti Alesci, come componente della commissione di gara ha attribuito i punteggi alle offerte economiche presentate, Capizzi invece si era rifiutato di fornire al direttore dei lavori la documentazione prevista perché in quel momento era sottoposto ad una misura interdittiva (per un’altra vicenda di corruzione nel Messinese, ndr) e omettendo la predisposizione di qualsiasi organizzazione di cantiere fino al mese di aprile del 2025 in attesa dell’erogazione della tranche iniziale del finanziamento e predisponendosi con Campagna e con la mediazione di Di Mauro per l’avvio dei lavori in grave ritardo e a mezzo di subappalti di fatto non autorizzati. In sostanza le accuse ai quattro è di avere alterato la procedura di aggiudicazione dei lavori predisponendosi anche per una frode in pubbliche forniture operata attraverso la effettuazione di lavori parziali e a mezzo di subappalti non autorizzati in violazione delle norme di lavoro e sicurezza.
Di Mauro è accusato anche di associazione per delinquere insieme a Sebastiano Alesci, all’imprenditore Diego Cammarata, alla sorella di quest’ultimo Federica Cammarata, alla madre dei due Carmela Moscato, all’altro imprenditore Luigi Sutera Sardo e a Vittorio Giarratana. Per la Procura di Agrigento Alesci e Di Mauro, insieme agli altri hanno costituito e comunque fatto parte di una associazione per delinquere finalizzata al reperimento e alla distrazione a fini privati di risorse pubbliche provenienti dalla Regione mediante la turbativa d’asta, il peculato, la corruzione e la concussione attraverso meccanismo di spartizione dei pubblici appalti, degli incarichi di progettazione e di quelli amministrativi connessi ai finanziamenti gestiti della Regione ed in particolare dall’assessorato all’Energia (del quale Di Mauro fino al mese scorso era l’assessore regionale), alla progettazione e di affidamento di servizi fondati sulla proprietà di imprese compiacenti e su una capillare opera di corruzione e di condizionamento di progettisti, pubblici funzionari, dirigenti di enti locali, assessorati, organismi d’ambito territoriale e determinando anche l’individuazione delle stazioni appaltanti e comunque operando per mantenere Alesci o tecnici compiacenti nel ruolo di Rup nonché di assicurare a Di Mauro direttamente o a suoi patrocinati appoggio politico interno delle amministrazioni comunali e degli enti territoriali della provincia di Agrigento.
Uno dei 14 indagati è Vittorio Giarratana. Nella sua casa di Ravanusa lo scorso 14 maggio i poliziotti della Squadra Mobile durante una perquisizione hanno trovato 50.700 euro in contatti suddivisi in mazzette di banconote da 500 euro, 200 euro, 100 euro, 50 euro e 20 euro. La Procura di Agrigento sta procedendo ora ad accertamenti tecnici non ripetibili come l’estrapolazione della copia forense dei cellulari e di tutto il materiale informatico sequestrato agli indagati. La stessa procura che per giovedì 22 maggio ha convocato un vertice parla di “rilevanti ragioni di urgenza legate alla entità degli accertamenti da effettuare e alla gravità del quadro emergente dalle indagini e considerata l’esigenza di accertare la ritualità di appalti conferiti per svariati milioni di euro”.