Castelvetrano
Nascosta nel sottofondo di un armadio, dentro c’erano 130 mila euro. Pare per le spese spicce del latitante
Il ritrovamento all'interno di un armadio in casa della sorella Rosalia
Rino Giacalone2 Maggio 2025 - Cronaca



  • Cronaca

    Castelvetrano – La cifra corrisponde, in eccesso, al Tfr (trattamento di fine rapporto) di un “normale” dipendente pubblico apicale con oltre 40 anni di servizio. Ma quei 130 mila euro nascosti nel sottofondo di un armadio in casa dei potenti Messina Denaro, trovati dai Carabinieri dei Ros nei giorni successivi alla cattura del latitante, pare fossero lì a disposizione per le spese spicce del latitante. Quisquiglie per il capo mafia che in media ogni mese spendeva tra i 10 mila e i 15 mila euro e che nel tempo, negli anni della sua latitanza, ha subito sequestri e confische, direttamente o in maniera indiretta, per svariati milioni di euro.

    I soldi celati dentro un mobile

    La scoperta della cassaforte celata dentro quel mobile nella disponibilità di Rosalia Messina Denaro, ha così arricchito di ulteriore particolare lo scenario del dopo cattura del pericoloso latitante. Soldi cash per l’ultimo dei corleonesi e il primo in tante cose nelle faccende di Cosa nostra trapanese.
    Occuparsi quindi delle necessità del latitante aveva un ricco ritorno per chi ne era incaricato, la certezza di mettere mano su ricompense nell’ordine del centonaio, massimop migliaio di euro, avere qualche regalo prezioso, ne beneficiavano vivandieri, autisti, maestrine e amanti, figliocci. Ma essere super ricercato, custodire segreti e fare il burattinaio di innumerevoli faccende, coltivare trame anche stragiste, aveva a sua volta il dorato ritorno, per il prootagonista di tutto questo, Matteo Messina Denaro.

    Le indagini

    Le indagini che hanno riguardato il boss nel corso della sua trentennale latitanza, hanno fatto via via emergere il suo ruolo di capo di Cosa nostra capace non solo di ordinare stragi e delitti, ma anche di tenere in mano le fila di molteplici attività imprenditoriali. Lui assoluto monarca di una holding imprenditoriale con svariati interessi. Uno scenario conclamato da numerosi provvedimenti di confisca, che hanno fatto risalire al boss un patrimonio per svariati milioni di euro. I soldi trovati nella cassaforte nascosta, trovata dai Carabinieri nella casa di famiglia, in via Alberto Mario a Castelvetrano, alla luce delle possidenze economiche del capo mafia, rappresentavano il portafoglio personale per far fronte alle esigenze immediata di quella latitanza dorata.

    Da quando il capo mafia è stato arrestato, ammonta a 800 mila euro il patrimonio trovato nella sua disponibilità, tra denaro e gioielli. A tenere il “tesoretto” era Rosalia Messina Denaro, frattanto è stata anche lei arrestata e condannata a 14 anni: ha seguito in carcere il marito, il mafioso di rango palermitano Filippo Guttaduaro, e suo figlio Francesco, il nipote prediletto di Matteo Messina Denaro. Rosalia Messina Denaro li custodiva perché il suo ruolo era non solo quello proprio di sorella del mafioso, ma lei stessa è stata riconosciuta essere “donna di mafia”. Gli appunti trovati nella sua casa sono stati letti come vere e proprie agende sulle quali tenere in ordine i conti, tra entrate e uscite, appunti sottolineati da sigle, queste quelle che nascondono i nomi dei complici di quella latitanza. Fino ad oggi sono finiti arrestati, con i congiunti più intimi, anche personaggi risultati primari solo per avere protetto la latitanza in quel di Campobello di Mazara: amanti, vivandieri e vivandiere, complici, prestanome, ma anche medici, come quelli che in appena dieci giorni hanno permesso al boss di ricevere quelle cure oncologiche che normalmente la sanità pubblica disbriga in mesi e mesi di liste di attesa. C’è ancora da stanare chi per trent’anni ha tagliato la strada agli investigatori che si occupavano della ricerca del pericoloso latitante.




  • Campobello di Mazara
    Mafia: la gelosia tradisce le donne di Messina Denaro
    Il restroscena dell'arresto della professoressa Floriana Calcagno che disse di non conoscere Matteo Messina Denaro
    Redazione15 Aprile 2025 - Cronaca



  • Cronaca

    Campobello di Mazara – Da ieri la professoressa di matematica, Floriana Calcagno di 50 anni è rinchiusa in carcere. E’ stata arrestata dai carabinieri del Ros e dai poliziotti dello Sco che indagano sulla rete di finacheggiatori del boss deceduto Matteo Messina Denaro.

    La professoressa sei giorni dopo la cattura di Messina Denaro a Palermo si era presentata spontaneamente dai carabinieri dicendo di avere avuto una breve relazione con Messina Denaro, ma lei lo conosceva come Francesco Salsi, medico in pensione. Una dichiarazione a cui gli investigatori e i magistrati mai hanno creduto. Così dopo mesi di indagini ieri la donna è finita in carcere.

    Le contestazioni dei magistrati alla donna

    A Floriana Calcagno i magistrati – il procuratore Maurizio de Lucia, l’aggiunto Paolo Guido e i pm Piero Padova e Gianluca De Leo- contestano, tra l’altro,  di aver assicurato a Matteo Messina Denaro «sostegno logistico, aiuto e supporto morale e materiale, nel territorio di Campobello di Mazara, Mazara del Vallo, Tre Fontane e in altre località della provincia di Trapani e di avergli assicurato, attraverso un sistema di staffetta e di scorta con la propria vettura, la possibilità di spostarsi da un comune all’altro in modo riservato».

    La gelosia delle amanti

    E’ proprio la gelosia delle amanti che sta facendo cadere a poco a poco quel muro di omertà che per 30 anni ha coperto la latitanza di Matteo Messina Denaro.

    Per ricostruire il ruolo avuto da Floriana Calcagno, nella latitanza di Matteo Messina Denaro sono stati fondamentali, oltre agli appunti trovati nel covo del capomafia, gli scritti indirizzati al boss da un’altra sua amante, la maestra Laura Bonafede, già condannata per associazione mafiosa. Nelle lettere per il ricercato la Bonafede indicava Calcagno con una serie di soprannomi, come «Handicap, Acchina o Sbrighisi». Incrociandoli con altri elementi, come le immagini registrate da diverse videocamere che hanno immortalato episodi raccontati dalla Bonafede e relativi alla donna, gli inquirenti hanno capito chi si celasse dietro gli pesudonimi.

    Il manoscritto

    Dal manoscritto trovato nel covo del ricercato emerge tutta la gelosia della Bonafede verso Calcagno. «Dici che Acchina ti aiuta come può. Ma cosa può fare per te?», scriveva. ”La frase di alto significato indiziante, faceva chiaramente intendere che il latitante in precedenza aveva confidato alla Bonafede – scrivono i pm – il ruolo svolto dalla Calcagno nel suo sistema di protezione, ruolo che consisteva nell’offrire ed adoperarsi su ’cose fatte per luì». Nello scritto la maestra mostrava anche di non credere a quello che le aveva detto il latitante e cioè che la relazione con la Calcagno risalisse ad aprile 2022. «E poi ci sono date che non mi quadrano. Tu mi parli di aprile 2022“ diceva. Bonafede sospettava che la storia tra i due fosse precedente. «E poi se ben ricordi ti disse che voleva parlarti già nell’agosto 2017, o l’hai dimenticato?», scriveva. Sempre sfogando la sua gelosia verso l’altra, Bonafede commentava: «per ora se penso a Sbrighisi che passava con quella faccia compiaciuta, dopo essere stata con te, le bastonate gliele darei eccome».

    L’ultimo scritto a pochi giorni dalla cattura

    Infine in uno scritto del 30 dicembre 2022, Bonafede raccontava al capomafia di aver visto uscire dalla «zona chiave», il covo di Campobello di Mazara, proprio Calcagno. “Stavolta mi è cambiato l’umore, quella scena mi ha cambiato la giornata. Alle 11.40 circa ho visto Handicap che usciva dalla zona chiave, dritta come un palo e con una Louis Vuitton sicuramente regalata da te. Regali borse come un distintivo? Fuck», sbottava.




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