Le tonnare siciliane, un tempo cuore pulsante dell’economia e della vita quotidiana di molte comunità costiere, oggi giacciono in gran parte abbandonate, testimoni silenziosi di un’epoca che non c’è più. La loro storia si intreccia con la cultura, le tradizioni e i sacrifici di generazioni di uomini e donne che vivevano di pesca e trasformazione del tonno, lasciando un’eredità profonda e struggente.
Le tonnare in Sicilia hanno origini antichissime. Furono i Fenici i primi a introdurre questo sistema di pesca nelle acque dell’isola, perfezionato poi dagli Arabi nel Medioevo. Il meccanismo della tonnara, con le sue reti a camere, chiamate “isole”, serviva a intrappolare i tonni nel loro percorso migratorio verso il Mediterraneo.
Ma non era solo una questione di pesca: le tonnare erano vere e proprie economie a ciclo chiuso, con le comunità locali che dipendevano da esse per il lavoro, il cibo e il commercio. Favignana, Bonagia, San Giuliano Palazzo (Trapani), Scopello: questi nomi evocano ancora oggi il ricordo di un’epoca in cui il tonno rosso siciliano era ricercato in tutto il mondo per la sua qualità ineguagliabile.
La “mattanza”, l’ultimo atto della pesca del tonno, era molto più di una semplice cattura: era un rituale, un evento collettivo, un momento di grande tensione emotiva e religiosa. I “tonnaroti”, guidati dal Rais, eseguivano una coreografia crudele ma necessaria, scandita da canti, preghiere e comandi antichi. Il mare si tingeva di rosso e, con esso, la storia di un mestiere tramandato di padre in figlio.
La tonnara di Favignana fu una delle più importanti e celebri della Sicilia, sotto il controllo della famiglia Florio, che ne fece un simbolo di innovazione e prosperità economica. I Florio, imprenditori visionari, modernizzarono le tecniche di pesca e di conservazione del tonno, creando un fiorente commercio che rese la tonnara un’eccellenza nel Mediterraneo.
Con il progresso tecnologico e le nuove leggi sulla pesca, le tonnare hanno iniziato un lento declino. L’industrializzazione del settore ittico, la pesca intensiva e le restrizioni europee sulla cattura del tonno rosso hanno reso insostenibile il modello delle tonnare tradizionali. Molte di esse sono state chiuse, lasciando dietro di sé solo rovine e ricordi.
Oggi alcune tonnare, come quella di Favignana e di Bonagia e Scopello, sono state trasformate in musei e centri culturali, mentre altre restano in attesa di un destino migliore. La tonnara di San Giuliano Palazzo, un tempo parte del vasto sistema di pesca siciliano, è oggi quasi dimenticata, ma la sua memoria vive nei racconti dei pescatori e nelle immagini d’epoca che testimoniano la grandezza di un passato che non può essere cancellato. I vecchi tonnaroti raccontano con nostalgia i giorni in cui il pesce fresco arrivava direttamente dalle reti ai mercati di Trapani, quando il profumo del tonno appena pescato inondava le strade e le tavole siciliane.
Il tonno non era solo un prodotto commerciale, ma un ingrediente centrale della cucina siciliana. Dalle conserve sott’olio alle bottarghe, fino alla ventresca e al lattume, ogni parte del tonno veniva utilizzata, seguendo antiche ricette tramandate nei secoli.
Le tonnare hanno dato vita anche a un ricco patrimonio folkloristico: feste patronali dedicate ai santi protettori dei pescatori, canzoni popolari, racconti e leggende legati al mare e ai suoi abitanti. Il legame tra il popolo siciliano e le tonnare non era solo economico, ma profondamente spirituale e comunitario.
Le tonnare siciliane rappresentano un pezzo di storia che merita di essere ricordato e valorizzato. Non sono solo strutture in rovina, ma simboli di un’identità che rischia di perdersi. Mentre alcuni progetti di recupero stanno cercando di riportarle in vita, resta la consapevolezza che il tempo delle grandi mattanze è ormai passato, lasciando spazio a una struggente nostalgia e al dovere di custodire la memoria di un mestiere e di una cultura che hanno reso la Sicilia unica nel mondo.
Trapani è una città di mare, vento e luce, ma è anche la culla di una delle tradizioni artigianali più affascinanti del Mediterraneo: la lavorazione del **corallo rosso**. Da secoli, questo prezioso dono del mare viene trasformato in opere d’arte, tramandando saperi antichi e raccontando storie di devozione, cultura e bellezza.
Il corallium rubrum, noto come corallo rosso mediterraneo, è una specie unica per intensità cromatica e compattezza, caratteristiche che lo rendono particolarmente adatto alla lavorazione artistica. Si trova sui fondali rocciosi tra i 30 e i 200 metri di profondità, soprattutto lungo le coste della Sicilia, della Sardegna e della Tunisia.
Un tempo, i corallari trapanesi solcavano il mare aperto per settimane, sfidando le onde con le loro imbarcazioni per pescare il corallo con l’antico metodo della croce di Sant’Andrea: una pesante struttura in legno e ferro che, trascinata sui fondali, spezzava i rami di corallo, facendoli risalire in superficie impigliati nelle reti. Questo metodo, sebbene efficace, ha contribuito alla riduzione delle colonie, portando oggi a una pesca più regolamentata e sostenibile.
Il corallo rosso è avvolto da un’aura di mistero fin dall’antichità. Secondo la mitologia greca, sarebbe nato dal sangue della Gorgone Medusa, pietrificata da Perseo. Per i Romani era un amuleto contro il malocchio, mentre nel Medioevo veniva usato per proteggere i bambini dalle malattie.
A partire dal XV secolo, Trapani divenne uno dei centri più importanti per la lavorazione del corallo, al pari di Torre del Greco e Alghero. Nel periodo barocco, gli artigiani trapanesi raggiunsero un livello di eccellenza straordinario, esportando le loro opere in tutta Europa e ricevendo commissioni da nobili, ordini religiosi e persino dalla Santa Sede.
A Trapani, il corallo non è solo un materiale prezioso, ma un elemento che si fonde con l’identità stessa della città. Gli artigiani, detti curaddari” (nome dal quale nasceva una strada citttadina chiamata Via Corallai), che lo lavoravano con tecniche raffinate, spesso abbinandolo a oro, argento e madreperla.
Le opere più celebri della tradizione trapanese includono:
Gioielli e amuleti: orecchini, bracciali, rosari e spille, spesso con motivi marini o sacri.
Oggetti devozionali: reliquiari, crocifissi e Madonne scolpite in corallo, destinati a chiese e collezioni private.
Quadri scultura: autentiche meraviglie artistiche in cui il corallo veniva incastonato su supporti d’argento, dando vita a scene bibliche e mitologiche.
Uno degli esempi più straordinari di questa arte è il Tesoro della Madonna di Trapani, conservato presso il Santuario dell’Annunziata: una serie di gioielli e oggetti sacri realizzati con l’abilità impareggiabile dei maestri trapanesi.
Un Amuleto Contro il Malocchio: Ancora oggi in Sicilia, si regala un piccolo corallo rosso ai neonati per proteggerli dagli influssi negativi. Il corallo è considerato un talismano che porta fortuna e salute.
Sangue del Mare: I pescatori trapanesi chiamavano il corallo “u sangu ru mari” (il sangue del mare), credendo che avesse proprietà magiche e curative.
L’Ultimo Artigiano del Corallo: Con il passare dei secoli, la lavorazione del corallo a Trapani si è ridotta, ma ancora oggi alcune botteghe artigiane continuano a custodire questo sapere antico.
Chiunque voglia immergersi in questa tradizione non può perdersi una visita al Museo Regionale Pepoli, dove è custodita una straordinaria collezione di opere in corallo, tra cui tabernacoli, busti e reliquiari.
Oggi, il corallo rosso è sempre più raro e la sua pesca è regolamentata per preservarne le colonie. Tuttavia, l’arte e la storia che lo accompagnano continuano a vivere nel cuore di Trapani, rendendo ogni pezzo non solo un manufatto, ma un frammento di cultura, bellezza e passione.