Mondo – #BeatPlasticPollution. È più di un hashtag, è un grido che rimbalza da un capo all’altro del pianeta. E oggi, 5 giugno, in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, quel grido si fa ancora più forte. Si leva dalle aule delle scuole, dalle spiagge affollate, dai pescherecci, dai balconi delle città. “Basta plastica.” È un appello. O forse, ormai, un ultimatum.
Non è solo una data sul calendario. È il giorno in cui – almeno per un attimo – dovremmo tutti fermarci e guardarci attorno. Perché l’inquinamento non è più una minaccia lontana. È già qui, sotto forma di frammenti trasparenti e insidiosi. Negli oceani, nei fiumi, nella sabbia. Persino nei nostri piatti.
E il problema non è solo “quanto” plastica c’è in giro. È quanto poco ne sappiamo gestire.
Ogni anno produciamo più di 400 milioni di tonnellate di plastica. Una cifra che non dice molto finché non la incroci con la realtà: un tappo tra le onde, una bottiglia mezza sepolta nella sabbia, un cotton fioc sulla battigia.
Secondo ISPRA, l’80% dei rifiuti marini è plastica. E il nostro Mediterraneo, che per secoli è stato crocevia di vita e civiltà, oggi è diventato uno dei mari più inquinati del mondo. Un bacino chiuso, vulnerabile, che fatica a rigenerarsi.
La verità è semplice e scomoda: ci siamo abituati troppo bene all’usa e getta. Una bottiglietta al volo, un sacchetto in più, un piatto di plastica per fare prima. Ma in natura, nulla si getta davvero. La plastica resta. E si sbriciola. E si insinua.
Le colpe? Tante, e condivise: infrastrutture di raccolta carenti, filiere del riciclo zoppicanti, poca informazione e troppa distrazione. Eppure, continuiamo a comportarci come se il problema fosse di qualcun altro.
Nel frattempo, la plastica si spezza in micro e nanoplastiche. Minuscole, sfuggenti, ovunque. Nei pesci. Nei molluschi. Nell’acqua. Nel nostro sangue, probabilmente. E con lei, un’eredità tossica che stiamo lasciando ai nostri figli.
Non è solo un problema ambientale. È economico, sanitario, culturale. Colpisce il turismo, la pesca, la credibilità di chi dice di amare il proprio territorio ma non lo protegge.
C’è chi dice che i piccoli gesti non servano. Ma non è vero. Se milioni di persone smettono di usare la plastica monouso, l’effetto si vede. Se ogni scuola insegna a differenziare bene, se ogni comune attiva un servizio di raccolta efficace, se ogni azienda ripensa i suoi imballaggi, qualcosa cambia.
La battaglia è culturale, prima ancora che tecnica. Serve una svolta: leggi iù coraggiose, educazione ambientale obbligatoria, controlli seri. Ma serve anche una nuova mentalità. Quella del riuso, della riparazione, del rispetto.
Perché se è vero che il tempo stringe, è anche vero che non è ancora troppo tardi.