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Le mani della mafia sul metano: spunta l'ombra di Matteo Messina Denaro

22 Maggio 2013 12:56, di Redazione
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Un ingente patrimonio costituito da società, attività commerciali, immobili di pregio e disponibilità finanziarie, del valore complessivo di circa 48 ...

Un ingente patrimonio costituito da società, attività commerciali, immobili di pregio e disponibilità finanziarie, del valore complessivo di circa 48 milioni di euro, è stato sequestrato dalla Guardia di finanza di Palermo, in esecuzione di un provvedimento emesso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo su proposta della Procura della Repubblica. Il sequestro è frutto dell'indagine, avviata dal procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi e dal sostituto Dario Scaletta, e condotta dal nucleo di Polizia tributaria delle Fiamme Gialle, che ha fatto emergere le infiltrazioni di Cosa Nostra e dei suoi leader storici negli affari della Gas Spa, costituita da un funzionario regionale, Ezio Brancato. Tra questi, oltre a Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella, spunta l'ombra di Matteo Messina Denaro. L'interessamento del boss latitante di Castelvetrano potrebbe anche lasciar ipotizzare che, tra gli imprenditori coinvolti nel giro di affari, ce ne possa essere qualcuno della provincia di Trapani. Il gruppo imprenditoriale, fra gli anni Ottanta e Novanta, ha curato la metanizzazione di diverse aree del territorio siciliano godendo, secondo gli investigatori, della protezione della mafia e di appoggi politici, in particolare dell'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, che avrebbe consentito di ottenere ben 72 concessioni per i lavori di metanizzazione di comuni siciliani e abruzzesi. I lavori di realizzazione, in più occasioni, erano stati affidati in sub appalto a imprese direttamente riconducibili a soggetti con precedenti per mafia e, comunque, vicini alla criminalità organizzata. Gli investigatori hanno passato al setaccio decine di contratti di appalto e hanno ottenuto riscontri anche dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia come Giovanni Brusca, l'alcamese Vincenzo Ferro (figlio del capomafia, e anche lui collaboratore di giustizia, Giuseppe Ferro) Antonino Giuffré. Anche al contenuto di alcuni "pizzini" sequestrati a boss mafiosi è stato utile alle indagini. Gli inquirenti hanno ricostruito la storia delle diverse società del gruppo e delle ricchezze accumulate nel tempo dalla famiglia del fondatore, Ezio Brancato, subentrata nelle gestione dopo il suo decesso avvenuto nel 2000. Le indagini hanno permesso di appurare che la cessione dell'intero pacchetto azionario e del patrimonio delle società, nel 2004, per un corrispettivo di circa 115 milioni di euro, avrebbe permesso agli eredi dell'imprenditore di "ripulire" i capitali acquisiti grazie all'appoggio di Cosa Nostra nella costituzione di nuove società, nell'avvio di attività commerciali e nell'acquisto di beni immobili a Palermo e nella provincia di Sassari, tra appartamenti, ville e case di pregio. Tra i beni sequestrati, in Sicilia e Sardegna, ci sono società immobiliari e di produzione di metalli preziosi, imprese agricole, attività commerciali di prodotti petroliferi, oggetti d'arte, appartamenti, uffici, locali affittati ad importanti aziende e catene commerciali, immobili, magazzini e disponibilità bancarie.

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