Trapani – La scena descritta pare ricalcare quella della sceneggiatura della fortunata serie cinematografica “Amici Miei”. Solo che i protagonisti sono parecchio diversi e lontani dagli attori che hanno lavorato insieme per una lunga serie, sotto le migliori regie. I comportamenti non erano quelli propri di quei bricconcelli amanti degli scherzi e delle burle. La combriccola, che amava farsi fotografare allegramente, con tanto di pollici all’insù, si muoveva bene ma per fare…affari, controllare appalti, gestire servizi pubblici, comprare e vendere voti. Nella serie “Amici Miei” ad un certo punto si spiega cos’è il genio.
Ma chi ha avuto “intuizione, decisione e velocità d’esecuzione” (spiegazione cinematografica del “genio”, l’originale comprende la fantasia ma in questo caso non c’entra) non è stata la brigata che le mascalzonate le avrebbe fatte per davvero e non per scherzo, ma gli investigatori che hanno capito e subito si sono messi addosso.
Custonaci tra il 2017 e il 2022 è stata preda di boss mafiosi conclamati, per le sentenze passate in giudicato, il carcere non li ha riabilitati ma semmai ha fatto fare a loro carriera, politici e imprenditori conniventi. E’ la sintesi che viene fuori dalla prima udienza del processo scaturito dall’operazione “Scialandro”: davanti al Tribunale, presidente giudice Troja a latere Marroccoli e Cantone, ha cominciato il racconto il maggiore dei Carabinieri Vito Cito, uno degli investigatori del Roni dell’Arma di Trapani, mente storica ma anche testimone attendibile delle dinamiche odierne di Cosa nostra trapanese.
L’indagine “Scialandro” esplose con arresti e indagati eccellenti nell’ottobre del 2023. Una inchiesta coordinata dalla Procura antimafia di Palermo e condotta assieme da Carabinieri, Dia, Squadra Mobile, loro furono capaci di accendere i riflettori, senza essere visti, su una parte del territorio, da Custonaci a Trapani, da Dattilo a Marsala. Erano amici ma solo tra di loro e amici di Cosa nostra. Le responsabilità contestate agli otto imputati comparsi dinanzi al Tribunale, sono state minuziosamente descritti dal maggiore Cito che ha risposto alle domande dei pm Giacomo Brandini e Giulia Beaux. E’ stata quest’ultima in udienza a fare le domande seguendo passo passo le intercettazioni riportate nell’informativa. E il maggiore Cito ne ha riassunto via via il contenuto.
Ma siamo solo all’inizio. Non sono state sufficienti le tre ore di deposizione, proseguirà a marzo. Gli imputati sono Pietro Armando Bonanno, Tano Gigante, Mario Mazzara Francesco Lipari, nomi pesanti del gotha mafioso trapanese, Giuseppe Maranzano, Francesco Todaro (tutti presenti e collegati in video conferenza dai rispettivi penitenziari essendo sottoposti a misura cautelare), in aula c’erano invece Mariano Minore e Giuseppe Zichichi.
Altri indagati, dieci in tutto, sono stati già giudicati e condannati a complessivi 70 anni di carcere, col rito abbreviato, tra loro Giuseppe Costa(nella foto accanto), condannato per l’indagine Scialandro a 4 anni e 10 mesi. Questi da semplice uomo della manovalanza mafiosa, a lui fu affidata per un periodo la gestione del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo (figlio del pentito Santino, strangolato e sciolto nell’acido, per vendetta contro il padre) tenuto anche sequestrato nella frazione Purgatorio di Custonaci, scontata la pena per questo fatto, libero si è ritrovato ai vertici della famiglia mafiosa del suo paese, grazie anche alla parentela intanto stretta con il killer di Cosa nostra Vito Mazzara.
Cosca mafiosa capace di infiltrarsi nel Comune, all’epoca guidato da uno dei più potenti uomini della Dc trapanese, il medico Giuseppe Morfino (indagato ma finito fuori dall’inchiesta): il maggiore Cito ha fatto cenno alla nomina a vice sindaco di Carlo Guarano, “uomo appartenente alla famiglia di mafia”. Morfino e Guarano furono i primi “bersagli” delle indagini, finiti intercettati per ordine dell’Antimafia. Questo perchè la Procura distrettuale raccolse subito lo spessore di Guarano, intercettato a parlare malamente in una occasione delle manifestazioni a ricordo del giudice Falcone, “sto minchia di Falcone”, cosa che fa ricordare lo sfogo di Matteo Messina Denaro, rimasto imbottigliato in strada a Palermo mentre tanta gente sfilava nel ricordo del magistrato.
Non tutti sono rimasti a guardare quello che succedeva a Custonaci, e ci sono state le denunce: un imprenditore che ha denunciato i tentativi di avvicinamento, a proposito del controllo del mercato del calcestruzzo, Donato Bernardino, e un ex assessore, Giovanni Noto che decise di non far finta di nulla. Altri sedevano alle tavole dei banchetti elettorali non si sa quanto in modo inconsapevole.
L’elenco degli affari è lungo, dal controllo dei voti, agli appalti pubblici. Sotto il controllo della cosca secondo il racconto del maggiore Cito i lavori per il lungomare e per il basolato di Cornino, la gestione delle forniture d’acqua, sapere tutto sui guadagni di certe attività, come quelle olearie, sul commercio delle pietre estratte dalla lavorazione del marmo.
Le intercettazioni hanno captato tante cose, per Carlo Guarano (nella foto accanto) c’erano “i ragazzi” da favorire per gli appalti, Giovanni Marceca e Roberto Melita. E Guarano seguiva personalmente gli appalti, redaguendo in qualche caso l’architetto Giuseppe Morfino, cugino del sindaco, “possedeva tanto mano libera”. A Custonaci non si poteva sbagliare con chi rapportarsi, uno dei pezzi da 90 nel frattempo scomparsi, Antonino Todaro, aveva lasciato detto alla figlia che se avesse avuto bisogno “era con quelli che camminano con me” che avrebbe dovuto rivolgersi. E poi a comandare c’erano i fratelli Mazzara ai quali venivano rendicontati i lavori in corso.
La testimonianza del maggiore Cito ha anche puntato i riflettori sul sindaco dell’epoca Morfino che non sarebbe stato del tutto ignaro ma non sono emersi profili di complicità. E’ emerso anche il caso di un ex dipendente comunale, Baldassare Campo, il figlio Giovanbattista fu assessore di Morfino, che aveva libero accesso nell’ufficio tecnico e utilizzava le postazioni per sapere di appalti e affidamenti. Tra i nomi indicati quello di Baldassare Bica un altro soggetto, non indagato, ma che l’investigatore ha indicato tra i referenti di Giovanni Marceca.
L’indagine “Scialandro” fu una conseguenza dell’indagine “Scrigno”, e il maggiore Cito ha riferito della intercettazione di una conversazione tra l’imprenditore trapanese Ninni D’Aguanno e la moglie Ivana Inferrera nel periodo in cui questa fu candidata alle regionali nel 2017. Il marito è stato condannato, lei fu anche arrestata ma prosciolta da ogni accusa. Il marito il giorno dello spoglio elettorale, ha detto l’investigatore, le confidò di avere chiesto aiuto elettorale ai Mazzara di Custonaci, svelando “il nome dei Mazzara suscita timori riverenziali”. Aiuto inutile perché non venne eletta, ma a proposito di aiuti elettorali e di altro, il racconto del maggiore Cito non è terminato.
Nel processo sono costituite diverse parti civili tra questi il Comune di Custonaci, le associazioni Pio La Torre, Caponnetto e Dino Grammatico.