Erice – C’erano i tamburi, i fischi degli arbitri, le mani alzate dei bambini dopo un canestro. C’erano le magliette sudate degli atleti, le pettorine dei volontari, le sedie in prima fila per chi crede nel cambiamento. E poi c’era lei, la città, vestita a festa ma senza maschere. Vera, accogliente, determinata. Erice ha chiuso la sua corsa davanti alla commissione ACES Europe con la testa alta. Perché, comunque vada, qualcosa di profondo è già successo.
Dal 29 al 31 maggio, Erice si è raccontata come non aveva mai fatto. Non con discorsi formali o slide da presentare, ma con gesti semplici: una stretta di mano tra generazioni, una palla che rotola su un campo, una corsa spensierata tra bambini di quartieri diversi. Ogni angolo della città è diventato campo da gioco, e ogni cittadino, a suo modo, ha indossato i colori di Erice.
Non serviva recitare, bastava essere sé stessi. La commissione ha visto tutto questo: l’umanità dietro un progetto, la passione dietro un sogno, il desiderio collettivo di sentirsi parte di qualcosa di più grande.
A guidare la delegazione, la sindaca Daniela Toscano, instancabile, sempre con un sorriso e una parola di gratitudine per chi si è speso in questi giorni. Accanto a lei l’assessora allo Sport Rossella Cosentino, che da mesi lavora a questa candidatura come fosse una staffetta: «Abbiamo corso insieme, ognuno con il suo passo, ma verso lo stesso traguardo».
E poi le associazioni, le scuole, gli atleti disabili, i piccoli delle giovanili, gli istruttori che da anni seminano sport in silenzio. Nessuno è stato escluso. Nessuno si è tirato indietro.
Non è un titolo che si cerca per vanità. La candidatura a Città Europea dello Sport 2027 è figlia di un lavoro quotidiano: strutture messe in sicurezza, progetti educativi, inclusione vera. È il risultato di chi ha creduto che anche una piccola città possa fare cose grandi. Che lo sport non è solo medaglie, ma sguardi che si incrociano e imparano a rispettarsi.
ACES Europe darà il suo verdetto entro la fine dell’anno. Ma qui a Erice c’è già chi sente di aver vinto. Perché oggi tutti parlano di sport. I ragazzi sognano una squadra. Gli adulti hanno riscoperto il piacere di applaudire. E gli anziani, seduti ai bordi di un campo, raccontano le partite di un tempo con gli occhi lucidi.
In un mondo che spesso divide, lo sport – qui – ha unito. E questo, a ben vedere, è il riconoscimento più bello.