Trapani
D’Alì, cercasi misura alternativa alla detenzione in cella Milano
L'ex sottosegretario è in carcere dal dicembre 2022 per concorso esterno in associazione mafiosa. Parere negativo della Procura di Palermo
Rino Giacalone22 Ottobre 2025 - Cronaca
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    Trapani – di Rino Giacalone –  L’ex sottosegretario e senatore Tonino D’Alì potrebbe lasciare il carcere di Opera, a Milano, dove è detenuto dal dicembre 2022. Il noto politico trapanese sta scontando una condanna a sei anni per concorso esterno in associazione mafiosa. In carcere si consegnò spontaneamente il 13 dicembre di tre anni addietro, a poche ore dalla pronuncia della Cassazione che confermò il giudizio di colpevolezza pronunciato nel 2021 dalla Corte di Appello di Palermo.

    La difesa adesso ha chiesto al Tribunale di Sorveglianza di Milano, l’applicazione di una misura alternativa alla detenzione in carcere, per finire di scontare l’intera condanna. E’ attesa la decisione del giudice di sorveglianza di Milano, dopo una prima udienza tenutasi nelle scorse settimane. La pronuncia potrebbe essere imminente.

    Chi è Antonio D’Alì

    D’Alì, proprietario e dirigente della Banca Sicula di Trapani, latifondista e tra i maggiori imprenditori siciliani, all’esordio di Forza Italia entrò a Palazzo Madama come senatore dal 1994 e sino al 2018, fedelissimo a lungo di Silvio Berlusconi, con il quale fu dal 2001 al 2006 sottosegretario al ministero dell’Interno, nell’ultimo periodo del suo impegno parlamentare preferì approdare nell’Ncd di Angelino Alfano. Il suo processo cominciò nel 2011, per due volte ne uscì fuori con una sentenza che si potrebbe definire “andreottiana”, una pronuncia simile a quella che ha riguardato il più volte presidente del Consiglio Giulio Andreotti, per D’Alì reato prescritto sino al 1993 e assolto per il periodo successivo. Poi però è intervenuta la Cassazione che ha disposto un nuovo processo di Appello, conclusosi nel luglio 2021 con una sentenza di colpevolezza, confermata infine, a dicembre 2022, dalla massima corte.

    Un processo. cominciato nel 2011, con la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Procura distrettuale di Palermo, svoltosi con il rito abbreviato e in tutti i gradi di giudizio e nei processi i Pubblici Ministeri della dda di Palermo e la Procura Generale, hanno sempre chiesto la condanna del politico a sette anni e quattro mesi, per i suoi rapporti fin troppo ravvicinati con la cupola mafiosa trapanese, in particolare con i famigerati Messina Denaro, Francesco e Matteo, padre e figlio, i padrini più noti di Cosa nostra in provincia di Trapani. I primi giudici, il gup in primo grado e la IV sezione della Corte di Appello di Palermo in secondo grado, hanno però respinto le richieste di condanna. La Cassazione però contestò la divisione temporale, ritenendo invece che non era possibile riconoscere alcuna interruzione nella condotta del politico.

    E così nel gennaio 2018 la sentenza di prescrizione e assoluzione venne cancellata: nelle motivazioni fu scritto che i giudici avevano “illogicamente e immotivatamente svalutato il sostegno elettorale di Cosa Nostra a D’Alì“. La nuova pronuncia è arrivata nel luglio 2021, da parte della III sezione penale della Corte di Appello di Palermo, ed è stata di piena colpevolezza. Condanna quindi per concorso esterno in associazione mafiosa diventata definitiva nel dicembre 2023, con l’interdizione di tre anni dai pubblici uffici.

    Un politico secondo le motivazioni che hanno accompagnato la sua condanna che è stato a disposizione dei Messina Denaro, colpevole di aver “contribuito al sostegno e al rafforzamento di Cosa nostra, mettendo a disposizione dei boss il ruolo istituzionale.

    Nel 2017, mentre era candidato a sindaco di Trapani, D’Alì fu anche raggiunto da una misura di prevenzione, per pericolosità sociale, con l’applicazione del divieto di dimora a Trapani, decisione confermata dal Tribunale di Sorveglianza nel’agosto 2019 e però poi riformata in senso opposto negli altri gradi di giudizio, ipotesi di pericolosità sociale respinta.

    Durante la sua detenzione ad Opera, D’Alì è stato più volte protagonista in iniziative dei radicali e dell’associazione “Nessuno tocchi Caino”, intervenendo su vicende riguardanti la realtà della carcerazione in Italia.

    La Procura antimafia di Palermo però rispetto alla richiesta avanzata dai legali di D’Alì ha dato un parere contrario, cosa che comunque non ha indotto il giudice di sorveglianza a pronunciare già il rigetto. L’udienza è andata avanti e la decisione finale pare dovrebbe arrivare a fine mese

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