Siamo nell'estate del 1992, la prima Repubblica, all'insaputa dei protagonisti è agli sgoccioli. Prima di finire nella tempesta giudiziaria il CAF ( Craxi, Andreotti, Forlani) regge l'Italia ed è arrivato il momento di risolvere il rebus Quirinale. L'intelligenza politica di Andreotti gli suggerì sempre di tenersi lontano dalla competizione quirinaliza ma questa volta è cosciente che può giocarsela. Sia lui che Forlani però ostentano indifferenza. Il tira e molla va avanti per un pò con Forlani che giura di preferire la carica di segretario piuttosto che rinchiudersi nella "prigione dorata" del Colle e con il Divo Giulio che si mostra ancora più indifferente.
Ma come si sa davanti ad un buon caffè si risolve tutto. A Palazzo Chigi Forlani rassicura Andreotti: " Giulio, il candidato giusto sei tu". Il progetto prevede Andreotti Presidente della Repubblica, Craxi alla guida di Palazzo Chigi mentre il buon Forlani continuerà a guidare la Dc. Cirino Pomicino e Nino Cristofori si mettono in moto per raggranellare i voti necessari ma tempo tre quarti d'ora arriva la doccia fredda: una telefonata del ministro Enzo Scotti annuncia il " non possumus" del correntone doroteo alla candidatura di Andreotti.
Il 15 maggio, a scrutinio segreto, i grandi elettori indicano in Arnaldo Forlani il candidato ufficiale con il pieno appoggio del 'Cinghialone' Craxi. La corrente andreottiana, quasi un partito nel partito, si vendica e Forlani si ferma a 29 voti dal traguardo e il 17 annuncia il suo ritiro. Forlani con una mossa disperata fa un patto con Craxi per il socialista Vassalli ma quest'ultimo il 22 cadrà sotto i colpi dei franchi tiratori e per Forlani arrivò l'ora di dimettersi da segretario della Dc.
A mille chilometri di distanza, siamo al 23 di maggio, una bomba sull'autostrada Palermo-Punta Raisi mette fine allo spettacolo di inconcludenza che sta andando in scena. Il giudice Falcone, la compagna Francesca Morvillo e cinque uomini della scorta saltano per aria vittime della furia distruttrice di Cosa Nostra.
Nei corridoi di Montecitorio comincia a circolare il nome di Oscar Luigi Scalfaro , presidente della Camera, votato fino ad allora solo dai radicali e pochi altri. Già da qualche giorno i capi dei grandi partiti avevano ben compreso che per uscire dall'impasse bisognava puntare o su Spadolini o sul democristiano Scalfaro. La strage siciliana non lascia tempo ad altri inutili bizantinismi: Spadolini è ostile ai socialisti e anche Achille Occhetto zittisce qualche mugugno all'interno del Pds.
Il 25 maggio il nuovo presidente viene eletto con una maggioranza che all'inizio nessuno poteva prevedere: 672 voti.